Sentenza n. 384/97

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SENTENZA N.384

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’ art. 79, sesto comma, del decreto Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), promosso con ordinanza emessa il 12 ottobre 1994 dalla Commissione tributaria di primo grado di Vasto sul ricorso proposto da Cerroni Mario contro l’ufficio distrettuale delle imposte dirette di Vasto, iscritta al n. 894 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 1996.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 1997 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso di una controversia tributaria promossa da Cerroni Mario avverso l’iscrizione a ruolo di imposta ILOR, la Commissione tributaria di Vasto, con ordinanza emessa il 12 ottobre 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 79, sesto comma, del decreto Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) nella parte in cui prevede che il reddito di una impresa minore non può essere determinato in misura inferiore a quello risultante dall’applicazione dei criteri previsti dall’art. 80 dello stesso testo unico per un valore di ricavi minore di 18 milioni di lire.

A parere del giudice rimettente, la norma impugnata impone in ogni caso e senza offrire al contribuente la possibilità di dare prova contraria, di dichiarare un reddito minimo fissato a priori dal legislatore anche se non effettivamente conseguito.

Da ciò deriverebbe pertanto il contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione "non avendo il Costituente preteso di fissare alcun limite per il legislatore all’infuori del rispetto della progressività e della capacità contributiva del cittadino contribuente".

2.— Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza della questione.

Ha in particolare osservato la difesa erariale che la disposizione censurata si limita a prevedere che il reddito imponibile netto debba essere determinato applicando "ai ricavi di cui all’art. 53" - e cioé ai ricavi effettivamente conseguiti - un coefficiente di redditività che riduce l’entrata lorda al reddito netto. Ne consegue, pertanto, che la presunzione riguarda solo la redditività e non la base di calcolo costituita dai ricavi effettivi.

Ha inoltre evidenziato l’Avvocatura generale dello Stato che tale presunzione di redditività non é comunque imposta in modo assoluto dal momento che l’impresa ha sempre la possibilità di optare per il regime di contabilità ordinaria ed in tale situazione affrontare l’accertamento senza vincoli nè di minimo nè di massimo.

Considerato in diritto

1.— La questione che la Commissione tributaria di Vasto sottopone all’esame della Corte é se l’art. 79, sesto comma, del decreto Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nella parte in cui prevede che il reddito di una impresa minore non può essere determinato in misura inferiore a quello risultante dall’applicazione dei criteri previsti dall’art. 80 dello stesso testo unico per un valore di ricavi non superiore a 18 milioni di lire, sia in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione in quanto così si impone al contribuente di dichiarare un reddito minimo in misura predeterminata dal legislatore senza offrirgli la possibilità di fornire prova contraria.

2.— La questione non é fondata.

Sul piano interpretativo della norma impugnata, va in primo luogo osservato che l’ordinanza di rimessione si riferisce ad un accertamento fiscale che, anche in presenza di una perdita di esercizio, riteneva presunto un reddito non inferiore a 18 milioni di lire. In proposito fa osservare l’Avvocatura dello Stato che in realtà la norma si limita a prevedere che il reddito imponibile netto debba essere determinato applicando "ai ricavi di cui all’art. 53" un coefficiente di redditività che riduce l’entrata lorda al reddito netto. Non potrebbe pertanto escludersi che i "ricavi" cui la disposizione fa riferimento siano quelli realmente conseguiti.

Tale rilievo é esatto, nel senso che la presunzione prevista dalla legge fiscale riguarda solo la misura dei coefficienti di redditività, sulla base dei ricavi effettivamente conseguiti. Sicchè la doglianza della laconica ordinanza di rimessione andrebbe intesa nel senso che essa si riferisce alla presunzione della redditività.

Qualunque sia l’interpretazione prescelta occorre, peraltro, evidenziare anzitutto che in tema di presunzioni tributarie questa Corte ha di recente affermato (sentenza n. 137 del 1997) che il ricorso alle medesime é lecito, essendo volto a proteggere l’interesse generale alla riscossione delle imposte contro ogni tentativo di evasione. Pur se la affermata legittimità delle presunzioni sembrerebbe riferibile soltanto a quelle di carattere relativo, la norma censurata non può ritenersi in contrasto con i parametri costituzionali invocati per le considerazioni che seguono.

3.— Con riguardo alla denunciata violazione del principio di uguaglianza, assai succintamente motivata nell’ordinanza di rimessione, questa Corte ha già avuto modo di affermare (ordinanza n. 246 del 1993) che la diversa disciplina prevista per i contribuenti che si avvalgono del regime della contabilità semplificata, rispetto a quelli che adottano il regime della contabilità ordinaria, é giustificata dalla diversità delle situazioni poste a raffronto.

Inoltre - e ciò vale anche per ritenere insussistente la violazione del principio di cui all’art. 53 della Costituzione - il regime della contabilità semplificata é il frutto di una libera opzione del contribuente, che a tale fine considera i vantaggi ed i rischi che questa comporta.

Ed invero, il regime della contabilità semplificata é stato previsto per le imprese minori prevalentemente allo scopo di agevolare e di rendere meno onerosa la tenuta delle scritture contabili, consentendo alle stesse di limitarsi alla tenuta dei registri a fini IVA e del registro dei beni ammortizzabili.

In ogni caso va rilevato, come già in precedenza affermato, (sentenza n. 3 del 1988), che al contribuente rimane la facoltà di optare per il regime ordinario, potendo così affrontare l’accertamento senza alcun vincolo nè di minimo nè di massimo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 79, sesto comma, del decreto Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di 1° grado di Vasto con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 1997.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Fernando SANTOSUOSSO

Depositata in cancelleria il 11 dicembre 1997.