SENTENZA N. 293
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 4, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) e 6 del d.P.R. 22 luglio 1996, n. 484 (Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale), promossi con ordinanze emesse il 16 giugno 1996 dal Pretore di Napoli, il 22 novembre 1996 (n. 2 ordd.) dal Pretore di Bari ed il 3 dicembre 1996 dal Tribunale di Avellino, rispettivamente iscritte ai nn. 897 del registro ordinanze 1996 ed ai nn. 29, 30 e 142 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1996 e nn. 6 e 14, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visto l'atto di costituzione di Amalio Battista, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 3 giugno 1997 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
udito l'Avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. -- Il Pretore di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 16 giugno 1996, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 4, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) che stabilisce: "il rapporto tra le unità sanitarie locali e i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, convenzionati con il Servizio sanitario nazionale (...), cessa al compimento del settantesimo anno di età", in quanto si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 4, 32 e 33, quinto comma, della Costituzione.
Il giudice era stato adito dai dottori Nicola Mezzacapo e Giuseppe Petrilli, medici di medicina generale di libera scelta, perchè riconoscesse loro il diritto di continuare a svolgere le prestazioni in regime di convenzione con la azienda sanitaria locale, che aveva comunicato ad entrambi la risoluzione del rapporto per il raggiungimento del limite di età previsto dall'art. 11 del d.P.R. 28 settembre 1990, n. 314, recante "Accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici di medicina generale".
Il Pretore accoglieva la domanda cautelare, previa disapplicazione della norma regolamentare, ma, nel corso del giudizio di merito, entrava in vigore la legge 28 dicembre 1995, n. 549, che prevede la medesima causa estintiva della convenzione già contenuta nell'accordo collettivo.
Il rimettente, nel delineare le argomentazioni che fondano il dubbio di costituzionalità della norma in esame, premette che "il rapporto medico generale di base - servizio sanitario é (...) un rapporto libero-professionale e quello tra il medico ed il paziente é fondato sulla libertà di scelta dell'assistito". Le due essenziali connotazioni sarebbero state progressivamente accentuate dall'evoluzione legislativa prodottasi dalla istituzione del Servizio sanitario nazionale fino al più recente riordino del settore sanitario pubblico, rispetto alla quale "la norma introdotta dalla legge 28 dicembre 1995 n. 549, nel prevedere un rigido limite legale di età all'esercizio dell'attività di medico di base (...)" appare del tutto incoerente, ponendosi in contrasto anche "con la <<deregulation>> in atto" e con l' evoluzione del sistema verso forme sempre più flessibili di organizzazione.
La reiterata enunciazione legislativa di principio secondo cui compete all'assistito la facoltà di scelta del proprio medico con reciproche e costanti possibilità di revoca da parte del primo e di ricusazione da parte del secondo, la riconduzione del professionista al controllo e, se del caso, al potere sanzionatorio dell' Ordine di appartenenza, nonchè la valorizzazione di concrete situazioni di incompatibilità in luogo di predeterminati e astratti criteri di efficienza del sistema costituiscono - ad avviso del Pretore - gli elementi che confortano la linea di tendenza interrotta dalla norma in esame.
2. -- Qualificato come libero-professionale il rapporto tra amministrazione sanitaria e medico di base, il giudice a quo identifica nell' imposizione del termine finale della convenzione una lesione irragionevole dell'eguaglianza di trattamento (art. 3 della Costituzione), dato che analoga regolamentazione non é mai prevista per altro libero professionista, nè "per nessun altro tipo di convenzione"; neanche, in particolare, per lo "specialista ambulatoriale convenzionato", figura per la quale il dies ad quem é liberamente fissato dai contratti collettivi.
Inoltre, poichè per "l'abilitazione all'esercizio professionale" l'art. 33, quinto comma, della Costituzione stabilisce la sola condizione del superamento di "un esame di Stato", la disposizione confliggerebbe anche con detta norma.
La considerazione che, secondo il rimettente, "il limite di settant'anni deve ritenersi fissato nell'interesse della tutela della salute dei cittadini, sul presupposto che il passare degli anni ed il naturale invecchiamento dell'individuo lo rendono non più affidabile sul piano dell'efficienza professionale", indurrebbe, altresì, a ritenere che l'art. 2, comma 4, della legge 28 dicembre 1995, n.549, violi anche l'art. 32 della Costituzione, ossia "il diritto alla salute degli assistiti", perchè questi ultimi "si vedono privati del proprio medico di fiducia dopo anni di assistenza".
La norma violerebbe, infine, anche l'art.4 della Costituzione, che riconosce il "diritto-dovere" al lavoro, in vista del benessere individuale e collettivo, in quanto, in contrario, neppure giova osservare che al medico é comunque consentito di svolgere l'attività libero-professionale, tenuto conto della difficoltà di intraprenderla all'età di settanta anni.
3. -- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'infondatezza della questione.
La difesa erariale osserva che "la previsione del limite di settanta anni di età si ricollega a generali esigenze connesse con lo svolgimento del servizio sanitario nazionale, nel quadro delle finalità organizzative, con tipiche connotazioni pubblicistiche, per la regolamentazione uniforme dei rapporti in questione". La norma impugnata potrebbe, quindi, addirittura esprimere un favor verso i soggetti che si assumono lesi, se si considera che, nel lavoro autonomo, vige la regola generale del recesso ad nutum (art. 2237 cod. civ.).
La ratio legis deve, in realtà, essere individuata nel fine di garantire rapporti ottimali tra il medico inquadrato in una struttura pubblica ed il cittadino utente, che é del resto l'unico profilo sul quale la disposizione spiega effetti: infatti, essa non pone alcun ostacolo all'esercizio professionale del medico ultrasettantenne, sicchè appare chiaro che il richiamo del parametro dell'art.33, quinto comma, della Costituzione non é pertinente.
La disparità prospettata nell'ordinanza tra la serie di soggetti cui appartengono gli attori in causa e gli specialisti ambulatoriali convenzionati sarebbe, inoltre, inesistente, dato che anche per questi ultimi é stabilita una identica causa di risoluzione.
Il rapporto fiduciario medico-paziente, proprio in virtù dell'art. 32 della Costituzione, ben può, infine, costituire oggetto di regolamentazione qualora miri, come nella specie, ad incentivare l'offerta di prestazioni sanitarie da parte di persone più giovani e scientificamente aggiornate, nell'interesse stesso dell'utenza.
4. -- Il Pretore di Bari, in funzione di giudice del lavoro, con due ordinanze del 22 novembre 1996, di identico tenore, sostanzialmente riproduttive degli argomenti contenuti nel provvedimento del Pretore di Napoli, ha del pari proposto questione di costituzionalità dell'art. 2, comma 4, della legge n. 549 del 1995, in riferimento agli artt. 3, 4, 32, e 33, quinto comma, della Costituzione, nel giudizio proposto dai dottori Domenico Lorusso e Vito Iacobellis, quali "medici generalisti", al fine di ottenere la continuazione del rapporto convenzionale con la azienda sanitaria locale, che, invece, intendeva risolverlo per il raggiungimento dei settanta anni di età da parte dei due sanitari.
Il giudice, dopo aver accolto per decreto le domande cautelari di entrambi i ricorrenti, ascoltate le parti in contraddittorio, "sospende(va) la convalida del decreto emesso inaudita altera parte", al fine appunto di sollevare d'ufficio la questione di legittimità costituzionale.
Anche in questo giudizio si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri che, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata.
Il resistente, a sostegno delle conclusioni, richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato, orientata nel ritenere l'adeguatezza della previsione della risoluzione del rapporto di lavoro autonomo con enti pubblici a seguito del raggiungimento di un'età incompatibile con le finalità della struttura di riferimento. La difesa erariale osserva, altresì, che gli accordi collettivi per il triennio 1995-1997, hanno fissato in settanta anni l'età che dà luogo alla cessazione del rapporto convenzionale per tutte le categorie di professionisti interessate alla sollevata questione, così sopprimendo la stessa possibilità di ritenere esistenti le disuguaglianze prospettate dal rimettente. La considerazione che il privato gode di un'ampia possibilità di scelta del nuovo medico di fiducia, destinato a sostituire quello allontanato dal Servizio sanitario nazionale, il quale, dal canto suo, rimane arbitro di aderire o meno alla convenzione, specialmente se intende sottrarsi al relativo regime evitando di incontrare condizioni ulteriori rispetto a quella posta a presidio dell'adeguatezza della sua preparazione tecnica (art. 33, quinto comma, della Costituzione), fa, infine, escludere, ad avviso dell'Avvocatura, la dedotta violazione dell'art. 33, quinto comma, della Costituzione.
5. -- Il Tribunale di Avellino, nel decidere il reclamo avverso il diniego della misura cautelare richiesta dal dottor Amalio Battista, allo scopo di ottenere la prosecuzione del rapporto convenzionale, nonostante il compimento del settantesimo anno di età, con ordinanza del 3 dicembre 1996, ha parimenti sollevato questione di legittimità costituzionale della norma in esame ed inoltre dell'"art. 6 del d.P.R. 22 luglio 1996" (verosimilmente riferendosi all'atto distinto dal n. 484, recante "Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, ai sensi dell'art. 4, comma 9, della legge n. 412/91 e dell'art. 8 del decreto legislativo n. 502/92, come modificato dal decreto legislativo n. 517/93, sottoscritto il 25 giugno 1996 e modificato in data 6 giugno 1996"), in riferimento agli stessi parametri indicati dai giudici di Napoli e di Bari e sulla scorta delle stesse argomentazioni da essi svolte.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, nel costituirsi in giudizio, ha eccepito l'inammissibilità e comunque l'infondatezza della questione, esplicando nella memoria depositata in prossimità dell'udienza le ragioni a conforto della conclusione, sostanzialmente reiterative di quelle articolate nelle difese depositate negli altri giudizi.
Si é costituita in giudizio anche la parte privata, svolgendo argomentazioni a sostegno della tesi prospettata nell'ordinanza di rimessione e deducendo, ulteriormente, la violazione anche dell'art. 97 della Costituzione.
6. -- All'udienza pubblica l'Avvocatura dello Stato ha insistito nelle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1. -- La questione di legittimità costituzionale, sollevata con quattro distinte, ma sostanzialmente coincidenti, ordinanze, concerne l'art. 2, comma 4, della legge 28 dicembre 1995, n.549 (nonchè l'art. 6 del d.P.R. 22 luglio 1996, n. 484, di identico contenuto dispositivo, ma insindacabile in questa sede non avendo forza di legge), il quale dispone la risoluzione del rapporto di convenzione tra i medici di base (nonchè i pediatri di libera scelta) e le aziende sanitarie locali al raggiungimento del settantesimo anno di età dei professionisti. Secondo i giudici rimettenti la norma predetta viola una pluralità di disposizioni costituzionali: l'art. 3 della Costituzione, in quanto determina disparità di trattamento, in generale, rispetto agli esercenti l'attività professionale libera e, in particolare, rispetto ai professionisti legati da rapporto di lavoro con l'amministrazione sanitaria secondo il modulo convenzionale, vale a dire gli specialisti ambulatoriali; l'art. 4 della Costituzione, in quanto limita il diritto individuale al lavoro; l'art. 32 della Costituzione, in quanto, sottraendo al paziente la facoltà di avvalersi dell'opera del proprio medico di fiducia, incide negativamente sulla tutela del bene della salute; l'art. 33, quinto comma, della Costituzione, in quanto introducendo una condizione anagrafica, ulteriore rispetto all'unica prevista, cioé "l'esame di Stato", restringe il libero esercizio dell'attività professionale.
2. -- I giudizi hanno ad oggetto la risoluzione di identiche questioni e vanno quindi riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
3. -- I dubbi di legittimità costituzionale che investono l'art. 2, comma 4, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 -unica norma scrutinabile- non sono fondati in riferimento a tutti i profili prospettati.
3.1 -- Il rapporto convenzionale di prestazione d'opera, che lega i medici di base (ed i pediatri di libera scelta) alle aziende sanitarie locali, si qualifica, secondo il costante indirizzo giurisprudenziale della Corte di cassazione, per la significativa compresenza di momenti pubblicistici e di momenti privatistici che lo connotano di sicura peculiarità, tale da impedirne l'omologazione con l'attività professionale esercitata dai lavoratori autonomi, quali prestatori d'opera intellettuale.
Si deve, infatti, ricordare che, secondo lo stesso indirizzo giurisprudenziale, il rapporto individuale di convenzionamento va inquadrato in un sistema che, sia alla stregua della disciplina attuativa dell'art. 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, sia alla stregua della trasformazione dovuta ai successivi atti normativi, ha avuto di mira il pieno coinvolgimento funzionale dei sanitari convenzionati nelle finalità e nell'organizzazione della azienda sanitaria locale, considerata come struttura qualificante del Servizio sanitario nazionale, chiamandoli così ad operare secondo una logica di integrazione sia reciproca, sia rispetto a tutti i servizi della azienda sanitaria locale, in una visione promozionale della tutela della salute.
In tale contesto, il rapporto individuale di convenzionamento, anche per effetto dei contenuti specifici della disciplina collettiva stabilita in funzione del perseguimento delle complesse finalità del Servizio sanitario nazionale, presenta profili del tutto peculiari, tipici dei cosiddetti rapporti di parasubordinazione (art. 409, numero 3, del codice di procedura civile), che giustificano la previsione di modalità di espletamento della prestazione diverse da quelle libero-professionali. Ne consegue che, data la non omogeneità delle situazioni di riferimento, appare incongrua la prospettata comparazione e quindi insussistente l'ipotizzata violazione del principio di eguaglianza.
Parimenti incongrua é la proposta comparazione con i medici specialisti ambulatoriali -anche essi peraltro legati all'amministrazione sanitaria da vincoli sorti sulla base di accordi collettivi nazionali- quali soggetti che, assertivamente a parità di situazioni, riceverebbero tuttavia un trattamento diverso rispetto ai medici di medicina generale. Innanzi tutto, va premesso che l'ipotizzata diversità di disciplina, per quanto riguarda il limite di età per la cessazione del rapporto, oggi non sussiste più, poichè l'art. 6, comma 4, lettera e), del d.P.R. 29 luglio 1996, n. 500, recante "Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali, sottoscritto il 2 febbraio 1996", ha espressamente previsto anche per questi ultimi, quale causa di "revoca dell'incarico (con) effetto immediato", il compimento del 70° anno di età, Ciò premesso, va comunque notato che tra queste due categorie professionali di sanitari prese in considerazione dai giudici rimettenti é riscontrabile una pluralità di elementi di differenziazione delle relative discipline organizzative ed economiche, tra i quali sicuramente rilevante é il profilo attinente alla natura privata o pubblica del luogo -come struttura organizzata- in cui le rispettive prestazioni professionali sono erogate, in quanto proprio quest'ultimo emerge dai relativi accordi collettivi nazionali come elemento specificamente discretivo dei diversi tipi di rapporto di lavoro, che possono intercorrere con le strutture sanitarie locali.
D'altra parte, su un piano più generale, occorre ricordare che la contrattazione collettiva per la disciplina dei rapporti fra il Servizio sanitario nazionale e le varie categorie dei medici convenzionati si é tendenzialmente uniformata, negli ultimi anni, nel prestabilire l'età di 70 anni quale termine di cessazione del rapporto di convenzionamento. In ogni caso, va tenuto presente che questa Corte ha più volte riconosciuto, sia pure in diversi contesti normativi, l'ampia discrezionalità del legislatore in tema di fissazione e prolungamento dell'età pensionabile, con il solo limite della manifesta arbitrarietà (da ultimo: sentenze n. 422 del 1994 e n. 162 del 1997).
Appare quindi infondata, sotto i profili prospettati, la censura di violazione del principio di eguaglianza.
3.2 -- Neppure sussiste la violazione dell'art. 4 della Costituzione. La norma infatti, secondo l'interpretazione di questa Corte, concerne precipuamente "l'accesso al mercato del lavoro" e non può quindi essere evocata in riferimento alla questione dei limiti di età per la risoluzione del rapporto, in base ad un principio applicato da questa Corte proprio in una fattispecie analoga a quella ora in esame (ordinanza n. 380 del 1994). D'altra parte, la norma censurata dell'art. 2, comma 4, della legge n. 549 del 1995 non incide affatto sul diritto in generale di esercitare l'attività libero-professionale, ma limita esclusivamente l'esercizio di quella svolta all'interno delle strutture sanitarie pubbliche, secondo un criterio non irragionevole, in quanto finalizzato ad assicurare la migliore funzionalità del servizio.
3.3 -- La norma denunciata non contrasta neppure con l'art. 32 della Costituzione.
La tutela della salute é infatti diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività e proprio in questa prospettiva é consentito, secondo la giurisprudenza costituzionale, all'amministrazione sanitaria di predisporre, nel quadro di "preminenti esigenze organizzative e funzionali" (sentenza n. 175 del 1982), una disciplina del diritto di scelta del medico, da parte del cittadino utente, tale da assicurare, attraverso un ragionevole bilanciamento di interessi contrapposti, come si verifica nella specie, la più adeguata garanzia del singolo e la migliore efficienza del servizio. In ogni caso, si deve osservare che la norma denunciata non comporta alcuna lesione del diritto alla tutela della salute, perchè non impedisce certo al cittadino utente di continuare ad avvalersi, anche se in regime libero-professionale puro, delle prestazioni del proprio medico di fiducia, anche dopo la risoluzione della convenzione che lega quest'ultimo con il Servizio sanitario nazionale.
3.4 -- Infine deve essere rigettata anche la questione di costituzionalità sollevata in riferimento all'art. 33, quinto comma, della Costituzione, il quale non viene certo in rilievo quando si discuta non dell'"abilitazione all'esercizio professionale", in quanto tale, bensì del solo mantenimento di un particolare rapporto di lavoro, che ha ad oggetto prestazioni tipicamente professionali. E' quindi evidente come l'art.2, comma 4, della legge n. 549 del 1995 non ponga alcuna condizione ulteriore, oltre all'"esame di Stato", per l'"abilitazione" allo svolgimento della professione medica.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 4, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevate, in riferimento agli articoli 3, 4, 32 e 33, quinto comma, della Costituzione, dal Pretore di Napoli, dal Pretore di Bari, e dal Tribunale di Avellino, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Piero Alberto CAPOTOSTI
Depositata in cancelleria il 30 luglio 1997.