ORDINANZA N.231
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 444 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 22 maggio 1996 dal Pretore di Livorno nel procedimento penale a carico di Monfardini Sergio, iscritta al n. 881 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 maggio 1997 il Giudice relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto che nel corso del procedimento penale a carico di Monfardini Sergio, tratto a giudizio con decreto di citazione del Pretore di Livorno, in data 26 ottobre 1995, per rispondere del delitto di omicidio colposo, all'udienza del 12 aprile 1996, prima dell'apertura del dibattimento, l'imputato formulava istanza di applicazione della pena, a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, chiedendo che la pena di mesi tre di reclusione fosse sostituita con quella pecuniaria corrispondente, pari a L. 2.250.000 di multa, grazie al riconoscimento delle attenuanti generiche, di quella del danno risarcito e all'ulteriore diminuzione di pena dovuta alla scelta del rito;
che, pur avendo il pubblico ministero prestato il consenso, il pretore rigettava la richiesta, ritenendo incongrua la pena patteggiata;
che in conseguenza dell'incompatibilità del giudice, derivante dall'accennata pronuncia di rigetto, il processo veniva rimesso alla cognizione di un diverso magistrato e fissato per l'udienza del 22 maggio 1996;
che l'imputato reiterava l'istanza di applicazione della pena nei medesimi termini, ottenendo ancora il consenso del pubblico ministero;
che, orientato a respingerla per le medesime ragioni esposte dal primo giudicante nell'ordinanza del 12 aprile, il pretore ha sollevato d'ufficio, in riferimento agli artt. 3, 25 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 444 del codice di procedura penale;
che, nel pronunciare le sentenze nn. 186 del 1992 e 313 del 1990, la Corte non avrebbe chiarito se ed entro quali limiti possa ammettersi la riproposizione della medesima richiesta innanzi ad altro giudice chiamato a conoscere del processo in conseguenza dell'incompatibilità dichiarata con la citata sentenza n. 186 del 1992;
che la carenza di previsione normativa al riguardo consentirebbe la reiterazione ad libitum, nei medesimi termini, con svalutazione integrale del giudizio di incongruità della pena espresso dal primo giudice e con violazione di alcuni principi costituzionali qui di seguito invocati;
che tale disciplina sarebbe infatti contraria all'art. 97, con lesione del canone di buon andamento, permettendo la reiterazione d'una richiesta, già rigettata con provvedimento motivato del giudice, senza l'indicazione di alcun fatto giuridico nuovo, o diverso, tale da giustificare il riesame;
che la riproposizione dell'istanza di applicazione della pena concordata potrebbe, per il possibile rigetto conseguente, determinare il paradosso di rendere incompatibili tutti i magistrati potenzialmente disponibili;
che di una simile disciplina si potrebbe sospettare come preordinata alla scelta del giudice, in violazione dell'art. 25 della Costituzione;
che si dovrebbe dubitare, altresì, circa la ragionevolezza della possibilità illimitata di reiterazione della richiesta di pena concordata, anche perchè si vanificherebbero le precedenti pronunce di rigetto;
che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per la manifesta infondatezza della questione, in quanto già decisa con la sentenza n. 439 del 1993.
Considerato che la Corte é chiamata a un nuovo giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 444 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 25 e 97 della Costituzione, poichè - con lesione di detti parametri - consentirebbe la riproposizione di una richiesta già rigettata con provvedimento motivato del giudice, senza che sia indicato alcun fatto giuridico nuovo, o diverso, tale da giustificare il riesame;
che é errato il presupposto interpretativo, perchè la reiterazione delle richieste di applicazione della pena, da cui muove il rimettente, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. l'ordinanza n. 199 del 1995 e la sentenza n. 439 del 1993) é ammissibile solo se e in quanto esse abbiano un contenuto diverso, apprezzato alla luce del principio del corretto uso degli strumenti processuali;
che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 444 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25 e 97 della Costituzione, dal Pretore di Livorno con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1997.
Presidente: Giuliano VASSALLI
Redattore: Francesco GUIZZI
Depositata in cancelleria il 4 luglio 1997.