SENTENZA N. 194
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Marche, riapprovata il 20 marzo 1996, recante: "Norme speciali di semplificazione delle procedure contabili relative alla realizzazione di programmi comunitari", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 5 aprile 1996, depositato in Cancelleria il 15 successivo ed iscritto al n. 17 del registro ricorsi 1996.
Visto l'atto di costituzione della Regione Marche;
udito nell'udienza pubblica dell'8 aprile 1997 il Giudice relatore Massimo Vari;
uditi l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il ricorrente, e l'avvocato Antonio Cochetti per la Regione Marche.
Ritenuto in fatto
1.-- Con ricorso depositato il 15 aprile 1996 (r. ric. n. 17 del 1996), il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato -- in riferimento agli artt. 97, 117 e 119 della Costituzione -- questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Marche, recante "Norme speciali di semplificazione delle procedure contabili relative alla realizzazione di programmi comunitari", approvata il 31 ottobre 1995 e riapprovata, a maggioranza assoluta, il 20 marzo 1996.
Secondo il ricorrente, la delibera legislativa impugnata, derogando espressamente agli artt. 73, 66, 101, e 85 della legge regionale 30 aprile 1980, n. 25, recante l'ordinamento contabile della Regione, viola le disposizioni di principio della legge 19 maggio 1976, n. 335 (Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni), attesa la corrispondenza fra i due testi legislativi menzionati.
Nè il fine di migliorare l'efficienza dell'azione amministrativa connessa all'attuazione dei programmi cofinanziati dall'Unione europea può indurre a reputare appropriato e proporzionato a tal fine lo sconvolgimento, nei suoi cardini, dell'apparato di bilancio e di contabilità della Regione, trattandosi di esigenza che non potrebbe non essere rimessa al legislatore nazionale, "onde garantire un quadro unitario nei rapporti con la Comunità europea ed una omogeneità di condizioni di intervento delle Regioni nella attuazione dei programmi comunitari".
2.-- Vengono, perciò, denunciati:
-- l'art. 2 che, in contrasto con le disposizioni di cui agli artt. 5, 15, 20 e 21 della predetta legge n. 335 del 1976, prevede una deroga alla disciplina concernente l'imputazione delle spese che restano, infatti, riferite agli esercizi in cui sono state iscritte per la prima volta, anzichè utilizzare il sistema della "contabilizzazione tra le economie e la reiscrizione alla competenza dell'esercizio successivo";
-- l'art. 3 che, nel consentire di apportare variazioni al bilancio regionale con atto amministrativo, come pure di apportare storni da un capitolo all'altro, violerebbe le disposizioni di cui agli artt. 15 e 16 della menzionata legge-quadro;
-- l'art. 4 che, nel contemplare l'ipotesi del mantenimento di somme impegnate nel conto dei residui passivi fino alla scadenza dei termini previsti per la realizzazione delle azioni cofinanziate dall'Unione europea, si porrebbe in contrasto non solo con l'art. 20 della medesima legge, che definisce la tipologia e le modalità di conservazione dei residui, ma anche con la normativa contabile in materia di perenzione amministrativa;
-- l'art. 5 che, nel derogare ai limiti di esecuzione degli impegni di spesa riferiti alle attività o agli interventi cofinanziati dall'Unione europea, colliderebbe con l'art. 15 della legge stessa.
3.-- Nel costituirsi in giudizio la Regione Marche eccepisce preliminarmente l'inammissibilità del ricorso assumendo che i motivi posti a fondamento dello stesso, eccedono l'ambito dell'atto di rinvio, che, secondo la resistente, "non ha certamente posto in grado il Consiglio regionale di individuare le censure dedotte così da poterle eventualmente eliminare in sede di riesame".
Nel merito la difesa della Regione Marche, evidenziato che la delibera legislativa impugnata ha come scopo di individuare misure idonee ad accelerare le procedure preordinate alla realizzazione dei programmi cofinanziati dall'Unione europea, osserva che i rilievi mossi nel ricorso dalla Presidenza del Consiglio, circa la violazione dei principi contabili vigenti, dovrebbero essere apprezzati non solo con riferimento alle norme della legge cornice, ma anche distinguendo "criteri direttivi che unitariamente si impongono da possibili deroghe" che trovino riscontro nell'ordinamento nazionale per il perseguimento di finalità di particolare interesse costituzionale.
Sul punto vengono indicati, quali esempi di norme derogatorie relative alle variazioni nel conto residui, l'art. 1, comma 7, del decreto-legge 28 agosto 1995, n. 359, nel testo coordinato con la legge di conversione 27 ottobre 1995, n. 436 e l'art. 4, comma 8, del decreto-legge 23 dicembre 1995, n. 546 (non convertito).
Fatto riferimento, altresí, alla circolare del 10 novembre 1995 con la quale il Ministro del bilancio e della programmazione economica ha richiamato l'attenzione delle Amministrazioni regionali sulla esigenza di porre in essere strumenti idonei alla "accelerazione delle procedure di esecuzione degli interventi cofinanziati", la Regione rileva, infine, che il presunto contrasto dell'art. 5 della delibera impugnata con l'art. 15 della legge n. 335 del 1976 non ha costituito oggetto di rilievo fra quelli enunciati nel telegramma del Commissario del Governo.
Si conclude, pertanto, per l'inammissibilità e comunque per l'infondatezza del ricorso.
Considerato in diritto
1.-- Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, in riferimento agli artt. 97, 117 e 119 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Marche, riapprovata il 20 marzo 1996, recante "Norme speciali di semplificazione delle procedure contabili relative alla realizzazione di programmi comunitari".
Secondo il ricorrente la legge in questione introduce deroghe all'ordinamento del bilancio e della contabilità della Regione, che non possono trovare giustificazione nel pur condivisibile fine di migliorare l'efficienza dell'azione amministrativa per l'attuazione dei programmi cofinanziati dall'Unione europea, spettando eventualmente al legislatore nazionale la valutazione dell'opportunità di adottare misure eccezionali in materia, sì da garantire un quadro unitario nei rapporti con la Comunità.
2.-- Nel rilevare che il regime derogatorio investe norme contabili generali della Regione che corrispondono a disposizioni di principio della legge 19 maggio 1976, n. 335, recante "Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni", vengono in particolare denunciati:
-- l'art. 2 che, nell'introdurre deroghe alla disciplina afferente l'imputazione delle spese che considera ancora riferite agli esercizi in cui sono state iscritte per la prima volta, si porrebbe in contrasto con gli artt. 5, 15, 20 e 21 della predetta legge n. 335 del 1976;
-- l'art. 3 che, nel consentire di apportare variazioni, con atto amministrativo, al bilancio regionale al di fuori dalle categorie consentite, prevedendo altresí la facoltà di storni da un capitolo all'altro del bilancio stesso, contrasterebbe con gli artt. 15 e 16 della menzionata legge-quadro;
-- l'art. 4 che, nel prevedere il mantenimento di somme impegnate nel conto dei residui passivi, fino alla scadenza dei termini previsti per la realizzazione delle azioni cofinanziate dall'Unione europea, disattenderebbe l'art. 20 della medesima legge;
-- l'art. 5 che, nel derogare ai limiti temporali di assunzione degli impegni di spesa riferiti alle attività o agli interventi cofinanziati dall'Unione europea, confliggerebbe con l'art. 15 della stessa legge.
3.-- In via pregiudiziale, la Regione Marche deduce l'inammissibilità delle sollevate questioni, in quanto i motivi posti a fondamento del ricorso eccederebbero l'ambito dell'atto di rinvio, la cui genericità non avrebbe consentito al Consiglio regionale di individuare le censure dedotte, sì da poterle eventualmente eliminare in sede di riesame.
4.-- Come questa Corte ha avuto più volte occasione di rilevare, il procedimento di controllo previsto dall'art. 127 della Costituzione nei confronti delle leggi regionali si articola in due fasi tra loro strettamente collegate: il rinvio governativo al Consiglio regionale della delibera legislativa ed, eventualmente, l'impugnazione della stessa innanzi alla Corte, in caso di riapprovazione. Si tratta di due momenti che devono non solo evidenziare una sostanziale corrispondenza, ma soddisfare anche l'esigenza che i motivi prospettati nel ricorso siano prefigurati, quanto meno nelle loro linee essenziali o in forma sintetica, fin dall'atto di rinvio, ponendo, in tal modo, il Consiglio regionale in grado di conoscere utilmente i dubbi di legittimità sollevati dal Governo, sì da poterli eliminare in sede di riesame oppure di contestarne la fondatezza riapprovando la legge.
Analoga esigenza di chiarezza e specificazione investe anche la deliberazione che il Consiglio dei ministri é tenuto ad adottare in previsione del ricorso di legittimità costituzionale, per ragioni di natura non formale bensì sostanziale, connesse all'importanza dell'atto di impugnativa della legge ed alla gravità dei suoi possibili effetti di natura costituzionale. Infatti, la decisione dell'organo al quale spetta, in rappresentanza dell'unità dell'ordinamento, il potere di sollecitare la reintegrazione dell'ordine costituzionale, che si assume leso da una legge regionale (o provinciale), rientra fra quelle scelte di politica istituzionale che esigono che venga prefigurata, quanto meno nelle sue linee essenziali, la violazione ipotizzata, ed al tempo stesso che sia delimitato, con sufficiente chiarezza, l'oggetto della questione (sentenze nn. 496 del 1993 e 172 del 1994). Anche se non si richiede che le delibere di autorizzazione al ricorso in via principale siano complete e dettagliate, gli elementi in esse contenuti devono consentire di comprendere esattamente la portata della volontà del Consiglio dei ministri in ordine alla questione di costituzionalità che esso ha inteso sollevare, con specifico riferimento oltre che alla normativa impugnata, ai parametri costituzionali violati, sia pure, se del caso, attraverso l'integrazione della motivazione della delibera con quella contenuta nel precedente provvedimento di rinvio al Consiglio regionale (sentenza n. 233 del 1994).
5.-- Questi criteri non appaiono rispettati nè dall'atto di rinvio, nè dalla successiva delibera del Consiglio dei ministri, nei quali, in maniera estremamente concisa e con formula pressochè identica, ci si limita a rilevare soltanto che la legge regionale, attraverso le deroghe in essa previste (variazioni dei residui, conservazione oltre i termini previsti delle somme non impegnate anzichè reiscrizione delle economie, ecc.), "viola i principi contabili vigenti". Si tratta dunque della mera enunciazione, per di più solo a carattere esemplificativo, di una serie di oggetti senza indicazione nè delle singole disposizioni cui essi si riferiscono, nè dei parametri costituzionali invocati, nè delle disposizioni di legge statale contenenti le norme interposte da cui sarebbero desumibili i principi che si assumono violati. L'omissione negli atti menzionati degli elementi minimi occorrenti per determinare con sufficiente chiarezza i termini delle lamentate illegittimità, comporta, perciò, l'inammissibilità delle questioni sollevate con il ricorso in epigrafe.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3, 4 e 5 della legge della Regione Marche riapprovata il 20 marzo 1996 recante "Norme speciali di semplificazione delle procedure contabili relative alla realizzazione di programmi comunitari", sollevate, in riferimento agli artt. 97, 117 e 119 della Costituzione ed agli artt. 5, 15, 16, 20 e 21 della legge 19 maggio 1976, n. 335 (Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1997.
Renato GRANATA: Presidente
Massimo VARI: Redattore
Depositata in cancelleria il 24 giugno 1997.