SENTENZA N. 114
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 565, comma 2, del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 464 stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 22 maggio 1996 dal Pretore di Lucera, nel procedimento penale a carico di Di Bello Stefania Concetta, iscritta al n. 813 del registro ordinanze del 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 marzo 1997 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto in fatto
1. Nel corso di un dibattimento instaurato a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, il Pretore di Lucera ha sollevato, con ordinanza 22 maggio 1996, questione di legittimità costituzionale dell'art. 565, comma 2, del codice di procedura penale in relazione all'art. 464 stesso codice, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Premesso che la difesa dell'imputato aveva proposto eccezione di nullità del decreto che aveva disposto il giudizio ai sensi degli artt. 565, comma 2, e 555, comma 1 lettera e), cod. proc. pen., per omessa indicazione dell'avviso che l'imputato poteva chiedere riti alternativi, il Pretore rileva che nel giudizio in corso, instaurato a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, trovano applicazione gli articoli 459 e seguenti cod. proc. pen. (disposizioni relative al procedimento per decreto per reati di competenza del tribunale), espressamente richiamati dall'art. 565 cod. proc. pen. Tra le norme a cui fa rinvio l'art. 565 figura anche l'art. 464 cod. proc. pen., che a sua volta richiama l'art. 456, commi 1, 3 e 5, cod. proc. pen., e non anche il comma 2, ove é previsto l'avviso che l'imputato può chiedere i riti alternativi. Tale omissione - prosegue il Pretore - comporta che le disposizioni che regolano il decreto che dispone il giudizio a seguito di opposizione a decreto penale di condanna non impongono che debba essere dato all'imputato l'avviso che può chiedere l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. o di essere ammesso all'oblazione. E ciò nonostante che il termine per tali richieste non sia ancora spirato, potendo le stesse essere proposte sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (art. 446, comma 1, cod. proc. pen., art. 162, primo comma, e art. 162-bis, primo comma, cod. pen.), con possibilità di riproposizione, per l'oblazione, addirittura fino alla discussione del dibattimento di primo grado (art. 162-bis, quinto comma, cod. pen.).
2. Secondo il rimettente, la non previsione a pena di nullità nel comma 2 dell'art. 565 cod. proc. pen. dell'avviso circa la facoltà di chiedere i riti alternativi é giustificata solo in relazione alla facoltà di chiedere il rito abbreviato, il cui termine perentorio si consuma con la proposizione dell'opposizione; in riferimento agli altri due istituti (patteggiamento e oblazione), l'omissione sarebbe invece in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, in quanto l'avviso della facoltà di usufruire dei riti alternativi attiene all'esercizio del diritto alla difesa, come affermato nella sentenza della Corte costituzionale n. 497 del 1995.
L'omissione dell'avviso e della relativa sanzione di nullità si porrebbe in contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione, per l'irragionevole disparità di trattamento riservata a coloro che sono stati citati a giudizio nelle forme dell'art. 464 cod. proc. pen., a seguito di opposizione a decreto penale di condanna non accompagnata da alcuna specifica richiesta in ordine al rito, pur versando tali soggetti in situazione sostanzialmente eguale rispetto a chi é stato citato a giudizio dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 555 cod. proc. pen.
3. Si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la reiezione dell'eccezione.
L'Avvocatura sostiene che sul termine per la richiesta dei riti alternativi diversi dall'abbreviato a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, vi é contrasto nella giurisprudenza della Corte di cassazione.
In alcune sentenze la Cassazione ha affermato infatti che "l'eventuale richiesta di riti alternativi vada inderogabilmente proposta con la dichiarazione d'opposizione". Seguendo tale lettura la questione proposta sarebbe irrilevante.
In altre pronunzie la Corte di cassazione ha però ritenuto che "la richiesta di applicazione di pena ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. non deve essere inderogabilmente contenuta nella dichiarazione d'opposizione, ma può essere presentata entro il termine generalmente indicato nell'art. 446 cod. proc. pen. per il procedimento di patteggiamento della pena".
Tuttavia anche seguendo tale seconda interpretazione l'eccezione sarebbe infondata, poichè la sentenza della Corte costituzionale n. 497 del 1995, richiamata dal rimettente, si riferisce a situazione processuale di gran lunga diversa per modalità e tempi. Nel caso di cui all'art. 555 cod. proc. pen. l'avviso della facoltà di presentare richiesta di riti alternativi viene dato per la prima volta in occasione dell'emissione del decreto di citazione a giudizio, mentre nel procedimento instaurato a seguito di opposizione a decreto penale di condanna l'imputato é stato già avvertito della facoltà di chiedere riti alternativi con la notificazione del decreto di condanna ed ha già potuto esercitare le sue scelte difensive.
Considerato in diritto
1. La questione sottoposta all'esame della Corte ha per oggetto l'art. 565, comma 2, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 464, stesso codice, nella parte in cui non prevede che il decreto di citazione a giudizio emesso in seguito all'opposizione a decreto penale di condanna contenga a pena di nullità l'avviso che l'imputato ha ancora la facoltà di chiedere nel giudizio dibattimentale l'applicazione della pena o di essere ammesso all'oblazione.
Ad avviso del Pretore rimettente, tale omissione si porrebbe in contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, per violazione del diritto dell'imputato di essere informato della facoltà di avvalersi dei riti alternativi, nonchè con l'art. 3 della Costituzione, a causa dell'ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento riservata agli imputati rinviati a giudizio a seguito di opposizione a decreto penale di condanna rispetto agli imputati nei cui confronti il pubblico ministero ha emesso il decreto di citazione a giudizio a norma dell'art. 555 cod. proc. pen., ove l'avviso relativo alla facoltà di chiedere i riti alternativi é previsto, a seguito della sentenza n. 497 del 1995, a pena di nullità.
2. La questione é infondata.
3. La disciplina del decreto penale e della relativa opposizione nel procedimento davanti al pretore é contenuta nell'art. 565 cod. proc. pen., che nel primo comma opera un rinvio generale alle norme relative al procedimento per decreto per i reati di competenza del tribunale (articoli 459-464 cod. proc. pen.), stabilendo poi, nel secondo comma, che con l'atto di opposizione l'imputato chiede al giudice di emettere il decreto che dispone il giudizio, ovvero il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen.
Tra le norme oggetto di rinvio figura quindi anche l'art. 464 cod. proc. pen., relativo al giudizio conseguente all'opposizione al decreto penale, che a sua volta richiama l'art. 456 cod. proc. pen., ove é contenuta la disciplina del giudizio immediato. Peraltro, l'art. 464 richiama solo i commi 1, 3 e 5 dell'art. 456 cod. proc. pen., e non anche il secondo comma, ove si precisa che il decreto che dispone il giudizio immediato contiene l'avviso che l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena.
Come é stato messo in rilievo dal giudice a quo, nel procedimento davanti al pretore la legge non prevede, quindi, che il decreto che dispone il giudizio emesso a seguito di opposizione debba contenere l'avviso che l'imputato può chiedere l'applicazione della pena o di essere ammesso all'oblazione, cioé i due riti alternativi per i quali non sono ancora intervenuti termini di decadenza: l'applicazione della pena può, infatti, essere chiesta sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (art. 446, comma 1, cod. proc. pen.) e l'oblazione prima dell'apertura del dibattimento (art. 162, primo comma, cod. pen.), con possibilità di riproporre la domanda sino all'inizio della discussione finale del dibattimento di primo grado nel caso dell'oblazione disciplinata dall'art. 162-bis, quinto comma, cod. pen.
Non sussistono, peraltro, i profili di illegittimità denunciati dal giudice a quo, in quanto la disciplina ora descritta non contrasta con il diritto di difesa, nè riserva un'irragionevole e deteriore disparità di trattamento all'imputato rinviato a giudizio a seguito di opposizione a decreto penale rispetto all'imputato nei cui confronti é stato emesso il decreto di citazione a giudizio disciplinato dall'art. 555 cod. proc. pen. Nel primo caso, infatti, l'imputato ha già ricevuto l'avviso, contenuto nel decreto penale di condanna, che può chiedere il giudizio immediato, ovvero il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena (art. 460, comma 1, lettera e), cod. proc. pen), ed é quindi già stato raggiunto da una piena informazione circa le facoltà che può esercitare in ordine ai riti alternativi. Ove l'imputato non abbia operato, in sede di opposizione al decreto penale, l'opzione per un rito alternativo, ma si sia limitato a presentare dichiarazione di opposizione ovvero a chiedere il giudizio, non vi é quindi motivo di rinnovare tale avviso, che risulterebbe pertanto inutile.
In effetti, é questa la ragione assorbente che spiega e giustifica la peculiare disciplina del decreto che dispone il giudizio emesso a seguito di opposizione a decreto penale, messa in rilievo senza contrasti dalla dottrina e dalla giurisprudenza e richiamata anche da questa Corte in una diversa questione di legittimità relativa al combinato disposto degli articoli 565 e 460 cod. proc. pen. (ordinanza n. 346 del 1992).
D'altra parte, salvo quanto riguarda la richiesta di giudizio abbreviato, per la quale opera il termine di decadenza di quindici giorni previsto dall'art. 460, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., non vi sono preclusioni a che l'imputato, che nella dichiarazione di opposizione non abbia indicato alcuna opzione in ordine al rito, si avvalga dopo il rinvio a giudizio della facoltà di chiedere l'applicazione della pena o di essere ammesso all'oblazione, sino alla scadenza dei termini rispettivamente stabiliti per i due riti alternativi, così come precisato da questa Corte nella sentenza n. 344 del 1991 e sostenuto dalla costante giurisprudenza di legittimità successiva al 1993.
4. In conclusione, la norma denunciata risponde a criteri di razionalità, coerenti con la disciplina degli avvisi già contenuti nel decreto penale di condanna e tali da escludere la dedotta violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 565, comma 2, del codice di procedura penale in relazione all'art. 464 stesso codice, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Lucera, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 aprile 1997.
Renato GRANATA, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in cancelleria il 22 aprile 1997.