Sentenza n. 497 del 1995

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SENTENZA N. 497

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 555, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 29 giugno 1994 dal Pretore di Milano nel procedimento penale a carico di Bussachini Alberto Giovanni, iscritta al n. 51 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 18 ottobre 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

1. -Il Pretore di Milano ha ritenuto rilevante, e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma e 97, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 555, comma 2, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non commina la nullità per mancanza degli avvisi prescritti dalla precedente lettera e)".

2. -Nel corso di un procedimento penale, il Pretore di Milano ha riscontrato che, nel decreto di citazione a giudizio, il pubblico ministero, in violazione del disposto di cui all'art. 555 comma 1 lettera e) del codice di procedura penale, non ha indicato all'imputato la facoltà di chiedere il giudizio abbreviato ovvero l'applicazione della pena, nè ha constatato che tale avvertimento sia stato fatto dal pubblico ministero in altro, separato o precedente atto; nondimeno -ha rilevato il giudice a quo -l'omissione dell'avviso in parola non è sanzionata da alcuna nullità. Osserva il remittente che in un procedimento come quello pretorile, in cui non vi è udienza preliminare, verrebbe così ad essere leso, in una delle possibili manifestazioni, il diritto di difesa di cui all'art. 24, secondo comma, della Costituzione. Inoltre, in assenza di una specifica sanzione, verrebbe reso vano l'intendimento legislativo di "deflazionare" il dibattimento incentivando l'imputato ad accedere ai riti alternativi, con gravi implicazioni organizzative e ritardi della fase dibattimentale, resa così non obbligatoria, ma quasi inevitabile: di qui, ad avviso del remittente un secondo profilo di incostituzionalità per violazione di quei criteri di efficienza, enunciati all'art. 97 della Costituzione, cui deve essere improntata ogni attività pubblica. Infine, conclude il Pretore, è implicito che per scelta discrezionale del pubblico ministero verrebbe ad essere violata anche la parità di trattamento dei cittadini ex art. 3 della Costituzione.

3. -È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità, e comunque per l'infondatezza, della questione. In primo luogo la difesa del Governo rileva che, per quanto attiene al profilo dell'assunta violazione dell'art. 3 della Costituzione, questa Corte ha più volte ribadito la necessità di una "esplicita" indicazione delle ragioni a sostegno della non manifesta infondatezza mentre sul punto il remittente si limita ad una laconica affermazione di principio. Sul punto dovrebbe, pertanto, concludersi per una declaratoria di inammissibilità. Destituita di fondamento dovrebbe poi ritenersi la questione della asserita violazione del diritto di difesa che, invece, appare assicurata nel momento in cui viene posta, a condizione di nullità, la norma di cui alla lettera f) che garantisce l'imputato circa una assistenza difensiva tecnica. È, appunto, grazie a quest'ultima sostiene l'Avvocatura che egli potrà essere edotto circa la possibilità di adire riti alternativi e in ordine a tutti gli altri diritti difensivi che gli spettano. In definitiva, prosegue l'Avvocatura, la scelta legislativa di sanzionare con la nullità solo la mancata indicazione dei requisiti di cui alle lettere c), d) ed f) appare del tutto ragionevole anche sotto un profilo di funzionalità del sistema. Diversamente opinando, si dovrebbe giungere ad ipotizzare, non solo per l'ipotesi di cui alla lettera e), ma anche per le altre prescrizioni dello stesso e di altri articoli, l'obbligo di una "esposizione anticipata e dettagliata" di tutte le possibilità difensive che spettano all'imputato, con il rischio di trasformare i provvedimenti come il decreto di citazione in una sorta di piccoli "breviari". Parimenti infondato risulterebbe il richiamo all'art. 97 della Costituzione in quanto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, detta disposizione, pur potendo riferirsi anche agli organi dell'amministrazione della giustizia, "attiene esclusivamente alle leggi concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari e al loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, mentre è del tutto estranea al tema dell'esercizio della funzione giurisdizionale, nel suo complesso e in relazione ai diversi provvedimenti che costituiscono espressione di tale esercizio".

Considerato in diritto

1. -Il Pretore di Milano dubita, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma e 97, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 555, comma 2, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non commina la nullità per mancanza degli avvisi prescritti alla precedente lettera e)".

2. -In sintesi, il giudice remittente ritiene che la disciplina risultante dalla norma impugnata, in quanto non prevede la nullità del decreto di citazione a giudizio nel caso di mancato avviso all'imputato della facoltà di richiedere riti alternativi, ovvero di presentare domanda di oblazione, contrasti: con l'art. 3 della Costituzione: perchè rimetterebbe ad una scelta discrezionale del pubblico ministero l'avviso di cui alla lettera e) del cit. art. 555; con l'art. 97 della Costituzione: per violazione dei criteri di efficienza cui deve essere improntata ogni attività pubblica, in quanto, in mancanza dell'avviso, l'imputato non viene incentivato ad accedere ai riti alternativi, con gravi implicazioni organizzative e ritardi della fase dibatti mentale; con l'art. 24 della Costituzione: per lesione del diritto di difesa, in quanto, non essendo prevista nel procedimento pretorile la fase dell'udienza preliminare, l'imputato può venire a conoscenza della facoltà di richiedere riti alternativi solo al momento del dibattimento, quando cioè il termine per richiedere il rito abbreviato è già decorso.

3. -Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilità, per genericità e mancanza di motivazione, dedotta dalla difesa del Presidente del Consiglio relativamente al profilo di illegittimità costituzionale sollevato dal remittente in riferimento all'art. 3 della Costituzione. L'eccezione non può essere accolta. Pur se fornito di assai scarna motivazione, nondimeno dal contesto del provvedimento di rimessione emerge con sufficiente chiarezza che il giudice remittente ha inteso censurare l'asserita discrezionalità con la quale, a suo avviso, il pubblico ministero può, in difetto di alcuna sanzione, inserire o meno l'avviso previsto dalla lettera e) del citato art. 555, e, conseguentemente, ha inteso indicare una possibile violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo di una irragionevole disparità di trattamento tra imputati ai quali il decreto di citazione a giudizio sia stato notificato in forma completa, e imputati il cui decreto di citazione contenga tale omissione.

4. -Nel merito, la questione è fondata in riferimento all'art. 24 della Costituzione. Come può evincersi dalla Relazione al progetto preliminare del codice, il decreto di citazione a giudizio, il cui contenuto è disciplinato dalla norma impugnata, è strutturato come un "atto complesso" con il quale si intendono ottenere due effetti: "sollecitare l'imputato ad avvalersi di un rito abbreviato e contestualmente citarlo per il giudizio, ove tale sollecitazione non venga accolta". Tale impostazione costituisce, come già questa Corte ha avuto modo di rilevare (v. ordinanza n. 208 del 1991), espressione del favor per i riti differenziati -alternativi al dibattimento -la cui incentivazione mira in definitiva a perseguire quegli obiettivi di massima semplificazione e di "deflazione" del dibattimento stesso, più volte sottolineati dal legislatore. Proprio a tal fine la disciplina posta dall'art. 555, nell'enunciare il contenuto del decreto di citazione a giudizio formato dal pubblico ministero, prevede esplicitamente, alla lettera e), l'avviso all'imputato della facoltà di ricorrere ai riti alternativi o di presentare domanda di oblazione. Si è quindi in presenza di una norma che, da un lato, assicura una garanzia essenziale per il godimento di un diritto della difesa, dall'altro, non prevede alcuna conseguenza (rectius: alcuna tutela) nel caso in cui tale avviso venga omesso, pur essendo del tutto evidente che la norma stessa pone comunque un obbligo, e non una mera indicazione di principio, al pubblico ministero. Un tale assetto normativo, oltre che irragionevole per l'assenza assoluta di un qualsiasi motivo apprezzabile di pubblico interesse (ove invece le esigenze di deflazione del dibattimento e comunque di celerità del processo spingerebbero in senso contrario), è in realtà suscettibile di diminuire le potenzialità difensive dell'imputato, al quale, pur essendo attribuito, nel giudizio pretorile, uno spatium deliberandi di 15 gg. per l'eventuale scelta di riti alternativi, può accadere, in mancanza di una tempestiva conoscenza, di trovarsi decaduto dalla facoltà di richiedere quantomeno il giudizio abbreviato. Sulla base del medesimo rilievo, inoltre, può escludersi che la garanzia della difesa tecnica, sancita alla lettera f) della norma, sia previsione di per sè sufficiente a scongiurare tale evenienza; è del tutto evidente che, nell'ambito dei 45 giorni indicati dall'ultimo comma del citato art. 555 quale minimo intervallo temporale prima della celebrazione del giudizio, ben può accadere che l'imputato prenda contatto con il suo difensore oltre il 15° giorno dalla notifica del decreto di citazione, e cioè tempestivamente per l'esercizio dei suoi di ritti di difesa in dibattimento ma irrimediabilmente tardi ai fini della previsione in esame. Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 555, comma 2, del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede la nullità del decreto di citazione a giudizio per mancanza o insufficiente indicazione del requisito previsto dal comma 1, lettera e). I profili di illegittimità costituzionale sollevati in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione restano assorbiti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 555, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la nullità del decreto di citazione a giudizio per mancanza o insufficiente indicazione del requisito previsto dal comma 1, lettera e).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/11/95.

Mauro FERRI, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 11/12/95.