ORDINANZA N. 70
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con ordinanza emessa il 28 settembre 1995 dal Pretore di Verona nel procedimento penale a carico di Facchini Michele ed altri, iscritta al n. 1 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1996.
Udito nella camera di consiglio del 13 novembre 1996 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto che nel corso del procedimento penale a carico di Facchini Michele e altri, ai quali era stato contestato il delitto di falsa testimonianza (contemplato dall'art. 372 del codice penale, nel testo antecedente alla sua sostituzione ad opera dell'art. 11 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, che ha elevato da tre a sei anni di reclusione la pena massima prevista per tale reato), gli imputati, con il consenso del pubblico ministero, avanzavano davanti al Pretore di Verona richiesta di applicazione della pena ex art. 444 e seguenti del codice di procedura penale, pena da sostituirsi a norma dell'art. 53 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689;
che il giudice a quo, premesso di non poter accedere alla richiesta, per essere il reato di falsa testimonianza espressamente escluso dal regime delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, ha allora sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981, "nella parte in cui non consente l'applicazione delle sanzioni sostitutive nei confronti di chi sia imputato del reato previsto dall'art. 372 c.p."
che, però, la preclusione derivante dalla norma denunciata risulterebbe del tutto ingiustificata, considerando che altri reati aventi la medesima obiettività giuridica e pari o addirittura maggiore gravità (si pensi al reato di false informazioni al pubblico ministero e al reato di calunnia) sono, invece, suscettibili di essere ricondotti nell'ambito della disciplina di cui all'art. 53 della legge n. 689 del 1981, così da invocare, anche relativamente alla falsa testimonianza, la medesima ratio decidendi delle sentenze costituzionali n. 249 del 1993 (dichiarativa dell'illegittimità costituzionale dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui rende inapplicabile il regime delle sanzioni sostitutive ai reati previsti dall'art. 590, secondo e terzo comma, del codice penale) e n. 254 del 1994 (che ha dichiarato illegittimo lo stesso articolo della legge n. 689 del 1981 nella parte cui preclude l'applicazione del regime delle sanzioni sostitutive in relazione ai reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge n. 319 del 1976);
che nel giudizio non si è costituita la parte privata né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato che - come già rilevato da questa Corte nella ordinanza n. 46 del 1996, concernente la medesima questione, ma depositata successivamente alla ordinanza del giudice a quo nella presente causa - la questione è manifestamente infondata, per essere assunte come termini di raffronto fattispecie non omogenee sul piano sanzionatorio: cioè, da un lato, la falsa testimonianza quale disciplinata antecedentemente alle innovazioni che hanno coinvolto l'art. 372 del codice penale, in forza dell'art. 11, comma 2, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, da cui è scaturito un aumento della misura della pena edittale, originariamente prevista nella reclusione da sei mesi a tre anni (nel vigente sistema è, invece, comminata la pena della reclusione da due a sei anni), dall'altro lato, l'art. 371-bis introdotto dall'art. 11, comma 1, dello stesso decreto-legge n. 306 del 1992, convertito nella legge n. 356 del 1992, che prevede la pena della reclusione da uno a cinque anni per il reato di false informazioni al pubblico ministero; con la conseguenza che, per essere soltanto questi ultimi i possibili termini di raffronto (il delitto di calunnia non potendo essere correttamente assunto come tale, considerata la sua diversa obiettività specifica rispetto a quella riferibile alla norma censurata), la norma adesso denunciata non appare irrazionale e contrastante con il principio di eguaglianza mancando fino al termine della vigenza del precetto dell'originario art. 372 del codice penale il tertium comparationis indicato dal giudice a quo; il tutto senza che venga vulnerato il principio di ragionevolezza con riferimento alla esclusione della falsa testimonianza, sia nel testo previgente sia nel testo "riformato", dal regime delle sanzioni sostitutive;
che, dunque, non informato a criteri di assoluto rigore appare il richiamo alle sentenze n. 249 del 1993 e n. 254 del 1994, entrambe riferite a fattispecie coesistenti nell'ordinamento e rispetto alle quali le esclusioni oggettive dal beneficio delle sanzioni sostitutive delle ipotesi di reato contemplate dalle norme sottoposte al vaglio di legittimità venivano a risultare arbitrarie, prevedendo l'art. 60 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nell'un caso l'impossibilità di applicare le sanzioni sostitutive al reato di lesioni colpose previsto dall'art. 590, secondo e terzo comma, del codice penale, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro, che abbiano determinato le conseguenze previste dal primo comma, numero 2, e dal secondo comma dell'art. 583 del codice penale, sanzioni che restavano, invece, applicabili all'omicidio colposo previsto dall'art. 589 del codice penale, commesso con violazione delle stesse norme (sentenza n. 249 del 1993); e nell'altro caso la insostituibilità delle pene per i reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento), per la discrasia scaturente dall'assenza di analoghe norme di sbarramento nella stessa specifica materia, così da farne derivare "la sopravvenuta irragionevolezza del permanere di un regime preclusivo rispetto a fattispecie di reato conformate in modo tale da provocare una disciplina ingiustificatamente più severa nonostante l'identità dell'interesse protetto ed i giudizi di valore ancor più negativi espressi sotto il profilo sanzionatorio delle successive previsioni" (sentenza n. 254 del 1994).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 60, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Verona con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1997.
Renato GRANATA, Presidente
Giuliano VASSALLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 28 marzo 1997.