Sentenza n. 372 del 1996

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SENTENZA N. 372

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Dott. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 11, comma 2, 14, 21 e 23 della legge della Regione Siciliana approvata dall'Assemblea regionale il 24 marzo 1996, dal titolo "Disposizioni in materia di permessi, indennità ed incarichi negli enti locali. Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali concernenti le elezioni di organi degli enti locali, il comitato regionale di controllo, il personale dell'amministrazione regionale e degli enti locali.

Abrogazione di norme", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana notificato il 1° aprile 1996, depositato in Cancelleria il 10 aprile 1996 ed iscritto al n. 14 del registro ricorsi 1996.

Visto l'atto di costituzione della Regione Siciliana;

udito nell'udienza pubblica del 1° ottobre 1996 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi l'Avvocato dello Stato Plinio Sacchetto per il ricorrente, e gli avvocati Francesco Torre e Francesco Castaldi per la Regione Siciliana.

Ritenuto in fatto

1.-- Con ricorso notificato il 1° aprile 1996 il Commissario dello Stato presso la Regione Siciliana ha promosso questione di legittimità costituzionale di quattro articoli della legge regionale approvata dall'Assemblea regionale il 24 marzo 1996 e intitolata "Disposizioni in materia di permessi, indennità ed incarichi negli enti locali. Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali concernenti le elezioni di organi degli enti locali, il comitato regionale di controllo, il personale dell'amministrazione regionale e degli enti locali. Abrogazione di norme".

In primo luogo il Commissario dello Stato impugna l'art. 11 della legge (intitolato "Modifiche alla legge regionale 3 dicembre 1991, n.44"), e più precisamente il comma 2 di tale articolo, che dispone l'abrogazione espressa dell'art. 5, lettera h, della legge regionale 3 dicembre 1991, n. 44 (Nuove norme per il controllo sugli atti dei Comuni, delle Province e degli altri enti locali della Regione siciliana. Norme in materia di ineleggibilità a deputato regionale).

La disposizione che si intende abrogare stabilisce -- sulla falsariga di quanto disposto dall'art. 43, lettera h, della legge statale 8 giugno 1990, n.142 -- che non possono essere designati od eletti come membri del comitato regionale di controllo, sia nella sezione centrale che in quelle provinciali, "coloro che ricoprano incarichi direttivi o esecutivi nei partiti a livello nazionale, regionale o provinciale, nonchè coloro che abbiano ricoperto tali incarichi nell'anno precedente alla costituzione del comitato regionale di controllo".

Secondo il Commissario dello Stato sarebbe censurabile, sotto il profilo della violazione dell'art. 97 della Costituzione, la soppressione dell'indicata incompatibilità, atteso che questa mira ad impedire l'inserimento nell'organo di controllo di soggetti che, per le cariche politiche rivestite, risulterebbero "i meno adatti all'espletamento di compiti di carattere tecnico- giuridico", quale quello del comitato regionale di controllo. Analogamente a quanto questa Corte rilevò nella sentenza n. 453 del 1990 in tema di formazione delle commissioni di concorso per l'accesso a pubblici impieghi, il principio di imparzialità dovrebbe riflettersi anche nella composizione del Comitato regionale di controllo: nella formazione di questo il carattere tecnico e neutro del giudizio dovrebbe essere preservato da ogni rischio di deviazione verso eventuali interessi di partito o comunque diversi da quelli propri dell'attività di controllo.

Il Commissario dello Stato impugna poi l'art.14 della legge, intitolato "Determinazione delle piante organiche".

Tale disposizione prevede, al primo comma, che, nella determinazione dei posti vacanti nelle piante organiche degli enti locali, per i quali e' autorizzata l'assunzione degli idonei in concorsi banditi entro il 31 agosto 1993 e le cui graduatorie siano state approvate entro il 30 giugno 1995 (così come previsto dall'art. 1 della legge reg. 10 gennaio 1995, n. 7, come integrato dall'art. 19 della legge reg. 25 maggio 1995, n.46), debbono intendersi come posti preesistenti anche i posti già esistenti e vacanti alla data del 31 agosto 1993, ma non ricompresi nella pianta organica provvisoriamente definita ai sensi dell'art. 3 della legge statale 24 dicembre 1993, n. 537 (in cui dovevano essere inclusi solo i posti già coperti, ovvero per la copertura dei quali fossero state già avviate procedure concorsuali), e successivamente di nuovo istituiti in sede di rideterminazione della pianta organica effettuata ai sensi dell'art. 22 della legge statale 23 dicembre 1994, n. 724. Il secondo comma dell'articolo impugnato stabilisce a sua volta che il conferimento di quei posti agli idonei in precedenti concorsi possa avvenire in deroga alle disposizioni dell'art.219 dell'ordinamento degli enti locali della Sicilia (ai cui sensi le graduatorie non possono essere utilizzate per la copertura di posti istituiti dopo l'approvazione delle graduatorie medesime), sempre che le relative graduatorie non siano state approvate da oltre 36 mesi (mantenendo perciò fermo il limite temporale stabilito da detto art. 219).

Ad avviso del ricorrente tale disciplina violerebbe gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, poiché costituirebbe un tentativo di eludere il "principio generale del pubblico impiego", richiamato nella sentenza n. 266 del 1993 di questa Corte, in base al quale non e' consentito utilizzare le graduatorie degli idonei di precedenti concorsi in relazione a posti istituiti dopo l'approvazione delle graduatorie medesime, in quanto in tal modo si configurerebbero di fatto "i tratti di un'assunzione ad personam"; il legislatore regionale non potrebbe considerare come preesistenti posti di nuova istituzione.

In terzo luogo il Commissario dello Stato impugna l'art. 21 della legge (intitolato "Interpretazione autentica della legge regionale 27 dicembre 1985, n. 53"), in forza del quale "il personale comunque in servizio presso l'Opera universitaria di Palermo, compreso quello in posizione di comando alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 1985, n. 246, e della legge regionale 27 dicembre 1985, n. 53, rientra fra i destinatari della stessa normativa con le medesime decorrenze e modalità". In sostanza, si mira a rendere applicabili a tale personale le disposizioni delle norme di attuazione dello statuto siciliano in materia di pubblica istruzione (art. 12 del d.P.R. n. 246 del 1985), secondo cui per l'espletamento delle funzioni ad essa attribuite la Regione si avvale anche del personale in servizio presso le Opere universitarie, restando rinviata alla legge regionale ogni definitiva determinazione circa lo stato giuridico ed il trattamento economico di detto personale, fatti salvi in ogni caso quelli goduti presso l'amministrazione di provenienza;

nonchè le disposizioni della legge reg. n. 53 del 1985, ai cui sensi il personale trasferito alla Regione per effetto, fra l'altro, del citato d.P.R. n. 246 del 1985, e comunque in servizio alla data di entrata in vigore del medesimo, e' inquadrato in un ruolo speciale transitorio istituito presso la Presidenza della Regione, collocandosi nelle fasce funzionali e nei livelli previsti dalla normativa regionale secondo determinate regole di equiparazione, per essere destinato alle funzioni previste dalle norme di attuazione, attraverso l'assegnazione ai rami dell'amministrazione regionale o il comando presso gli enti locali e gli enti strumentali della Regione (art. 8).

Secondo il Commissario dello Stato, con tale disposizione si permetterebbe l'inserimento nel ruolo speciale transitorio, con effetto retroattivo, di "soggetti di cui non e' dato conoscere ne' l'amministrazione di provenienza, ne' il titolo giuridico in virtù del quale prestava servizio presso l'Opera universitaria di Palermo", ne' il periodo di permanenza alle dipendenze di tale ente. La norma, per il suo contenuto generico circa l'individuazione dei destinatari, sarebbe lesiva, da un lato, della regola del concorso per l'accesso ai pubblici uffici, dall'altro del principio di buon andamento della amministrazione, apparendo tesa a sanare ex post situazioni irregolari o eventualmente ad evitare giudizi di responsabilità nei confronti degli amministratori che abbiano consentito il permanere di personale non in possesso dei requisiti richiesti per l'inquadramento nei ruoli regionali; e potrebbe comportare addirittura la riassunzione di personale cessato dal servizio da circa dieci anni. La norma sarebbe dunque in contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.

Infine il ricorrente impugna l'art. 23 della legge regionale.

Quest'ultimo, intitolato "Modifica alla legge regionale 20 marzo 1951, n.29" -- che disciplina l'elezione dei deputati all'assemblea regionale siciliana --, sostituisce l'art. 67 di tale legge, stabilendo che per le violazioni della stessa si osservano, anziché le disposizioni penali delle leggi per la elezione della Camera dei deputati -- come prevedeva il testo preesistente -- , le disposizioni di cui all'ultimo comma dell'art.1 della legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale), che a sua volta rinvia, per quanto non previsto dalla stessa legge (e quindi anche per le sanzioni penali), alle disposizioni del testo unico delle leggi per l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali nelle parti concernenti i Consigli dei Comuni maggiori.

Ad avviso del Commissario dello Stato, mentre il precedente testo sarebbe conforme all'art. 3 dello statuto speciale, ai cui sensi l'Assemblea regionale e' eletta "secondo la legge regionale in base ai principii fissati dalla Costituente in materia di elezioni politiche", la nuova disposizione, attraverso "un rinvio dinamico di non chiarissimo significato", tendendo ad applicare le sanzioni previste per le elezioni amministrative, disattenderebbe la citata norma statutaria.

2.-- Si e' costituito il Presidente della Regione Siciliana, chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato.

In ordine alla censura relativa all'art. 11, la difesa del Presidente regionale ricorda che esso prevede, al comma 1, la possibilità di eleggere nel comitato regionale di controllo anche persone che abbiano ricoperto le cariche di sindaco, presidente di Provincia, consigliere regionale. Una volta ammessa la componente "politica" nel comitato di controllo -- osserva il resistente -- il legislatore siciliano avrebbe ritenuto incoerente la permanenza di una causa di incompatibilità ed ineleggibilità come quella prevista dalla disposizione che verrebbe abrogata. D'altra parte, anche per il comitato di controllo dovrebbe valere il criterio, affermato da questa Corte nella sentenza n. 453 del 1990, per cui la presenza di tecnici ed esperti deve essere bensì prevalente, ma non esclusiva.

In ordine alla censura relativa all'art. 14 della legge impugnata, la difesa del Presidente regionale afferma che la elusione del divieto di utilizzo delle graduatorie di concorsi pregressi per la copertura di posti istituiti dopo l'approvazione di queste sarebbe solo apparente.

Infatti i posti cui la disposizione si riferisce sarebbero solo formalmente nuovi, mentre in sostanza riprodurrebbero i corrispondenti posti già esistenti e vacanti nelle piante organiche, e che non avevano potuto essere inclusi nella definizione provvisoria di queste, effettuata ai sensi dell'art. 3 della legge n. 537 del 1993, in assenza di procedure concorsuali avviate, stante la prescrizione dell'art. 219 dell'ordinamento regionale degli enti locali circa l'utilizzo, per la copertura dei posti vacanti, delle graduatorie degli idonei, fino a 36 mesi dalla loro approvazione. Il legislatore siciliano avrebbe dunque solo voluto attribuire a certi fini efficacia retroattiva al ripristino nelle piante organiche di posti che ne erano stati esclusi per l'applicazione della citata normativa statale.

In relazione all'art. 21 della legge, il resistente sottolinea trattarsi di norma interpretativa, riferibile a personale di ruolo già in servizio presso l'Opera universitaria di Palermo in posizione non chiaramente sussumibile nella figura del comando. Si tratterebbe, come risulta da un documento che la difesa regionale ha prodotto all'udienza, di un unico dipendente dell'Università di Palermo distaccato a prestare servizio presso l'Opera universitaria, che in forza della disposizione impugnata verrebbe inquadrato nei ruoli regionali.

Quanto alle censure mosse all'art. 23, infine, la difesa del Presidente regionale ricorda che già l'Alta Corte per la Regione Siciliana, nella sentenza 16-20 marzo 1951, ritenne che i "principii fissati dalla Costituente in materia di elezioni politiche", di cui e' parola nell'art. 3 dello statuto, fossero quelli contenuti nella Costituzione, e non quelli contenuti nelle leggi elettorali, onde in materia di regime penale delle violazioni della legge elettorale il legislatore regionale incontrerebbe solo il limite della ragionevolezza, desumibile dall'art. 3 della Costituzione. Non potrebbe dunque ritenersi illegittima una disposizione mirante ad adeguare la disciplina legislativa regionale a quella statale prevista per la elezione dei consigli delle Regioni a statuto ordinario.

Considerato in diritto

1.-- La prima questione proposta dal ricorrente concerne, con riferimento all'art. 97 della Costituzione, l'art. 11, comma 2, della legge impugnata, il quale, abrogando la preesistente disposizione modellata sulla corrispondente legge statale (art. 43, lettera h, legge n. 142 del 1990), fa venir meno la ineleggibilità- incompatibilità già sancita, ai fini della composizione del comitato regionale di controllo sugli atti degli enti locali, per coloro che ricoprano o abbiano ricoperto nell'ultimo anno incarichi direttivi o esecutivi in partiti politici a livello nazionale, regionale o provinciale.

La questione e' fondata.

E' ben vero infatti che in materia di controllo sugli atti degli enti locali la Regione Siciliana gode di potestà legislativa "esclusiva" nel quadro dei principii generali di cui all'art. 15 dello statuto. Ma la scelta legislativa in questione non appare conforme al principio costituzionale di imparzialità dell'amministrazione, dal quale discende l'esigenza che gli organi di controllo sugli atti amministrativi degli enti locali siano formati in modo da assicurare un esercizio "neutrale" della delicata funzione di questi.

Di tale principio e' espressione la previsione contenuta nell'art. 43, lettera h, della legge statale n. 142 del 1990, che sancisce l'incompatibilità per coloro che ricoprono in atto, o hanno ricoperto nell'ultimo anno, incarichi direttivi od esecutivi nei partiti a livello almeno provinciale, cioé incarichi in organismi chiamati a concorrere alla determinazione della politica nazionale o locale (art. 49 della Costituzione), e dunque ad esercitare influenza sul piano dell'indirizzo politico, che e', e deve restare, distinto da quello dell'amministrazione (per una analoga previsione si veda, a proposito della composizione dei collegi di garanzia elettorale, l'art. 13, comma 2, ultima parte, della legge 10 dicembre 1993, n. 515).

Tale previsione normativa, sulla cui falsariga il legislatore siciliano aveva modellato il testo del corrispondente art. 5, lettera h, della legge regionale n. 44 del 1991, non costituisce certo, in ogni suo aspetto anche particolare, l'unico modo di dare attuazione, in questa materia, al principio costituzionale di imparzialità dell'amministrazione: il legislatore regionale, come quello statale, resta libero di conformare, nel rispetto di tale principio oltre che di quello di ragionevolezza, la disciplina della materia, determinando i casi di incompatibilità, o per esempio riferendosi, a tale fine, alle sole cariche in atto ricoperte, invece che anche alle cariche ricoperte in passato. Ma ciò che il legislatore siciliano non poteva fare era di disporre puramente e semplicemente, come invece ha fatto con la norma denunciata, la soppressione di queste ipotesi di incompatibilità, precedentemente previste ai fini della attuazione del principio costituzionale di imparzialità della amministrazione.

2.-- Oggetto della seconda questione proposta, in riferimento agli artt.3, 51 e 97 della Costituzione, e' l'art. 14 della legge impugnata, che prevede l'utilizzo delle graduatorie di precedenti concorsi anche per la copertura di posti reintrodotti negli organici degli enti locali dopo essere stati esclusi in sede di determinazione provvisoria delle piante organiche medesime.

La questione non e' fondata.

Dalla pur non perspicua formulazione della norma risulta che i posti in esame erano comunque "esistenti e vacanti alla data del 31 agosto 1993", cioé alla data di riferimento assunta dall'art. 3, comma 6, della legge n. 537 del 1993 per la provvisoria rideterminazione delle piante organiche. La facoltà, conferita con la disposizione de qua, di coprire detti posti attribuendoli agli idonei inclusi nelle graduatorie di precedenti concorsi non contrasta sostanzialmente, pertanto, con il criterio che limita tale modalità di copertura ai posti preesistenti alla data di approvazione delle graduatorie medesime.

3.-- La terza questione proposta investe, con riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, l'art. 21 della legge, disposizione a contenuto dichiaratamente interpretativo della normativa regionale, risalente al 1985, che disciplinò a suo tempo l'inquadramento nei ruoli regionali del personale in servizio presso le Opere universitarie al momento in cui vennero emanate le norme di attuazione statutaria (contenute nel d.P.R. n. 246 del 1985, di trasferimento alla Regione delle relative funzioni). Con essa si intende consentire l'applicazione di quella normativa anche a personale, a sua volta già in servizio, all'epoca, presso l'Opera universitaria di Palermo, diverso da quello statale dipendente dell'Opera stessa o in posizione di comando presso di essa.

La questione non e' fondata.

A differenza di quanto si verificava nel caso della disposizione legislativa regionale siciliana dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 127 del 1996 di questa Corte -- che mirava ad estendere l'inquadramento in un ruolo speciale transitorio della Regione, originariamente destinato al personale degli enti le cui funzioni erano passate alla Regione, a personale, presso di essa comandato, appartenente ad un ente diverso -- la norma qui impugnata estende la possibilità di inquadramento nel ruolo regionale a personale che, essendo comunque in servizio presso l'Opera universitaria di Palermo al momento del passaggio delle funzioni di questa alla Regione, rientra nella originaria previsione della normativa di attuazione. Questa infatti stabilisce che l'amministrazione regionale, per l'esercizio dei nuovi compiti ad essa attribuiti, "si avvale del personale in servizio presso le Opere universitarie", e che e' demandata al legislatore regionale "ogni definitiva determinazione sullo stato giuridico, il trattamento economico e di quiescenza" di detto personale, di cui si prevede l'inquadramento (s'intende: nei ruoli regionali) contestualmente a quello del personale statale trasferito alla Regione (art. 12 del d.P.R. n. 246 del 1985).

La scelta del legislatore regionale appare dunque in questo caso non contrastante con le norme costituzionali la cui violazione e' lamentata nel ricorso: non si mira ad estendere l'inquadramento a personale estraneo alla posizione fondamentale -- l'essere in servizio presso l'Opera Universitaria al momento del trasferimento delle funzioni -- in vista della quale esso era contemplato nelle norme statali e regionali preesistenti.

4.-- L'ultima delle questioni sollevate investe l'art. 23 della legge, che, sostituendo il testo originario dell'art. 67 della legge regionale sulla elezione dell'assemblea regionale, mira a rendere applicabili, per le violazioni della stessa legge, le sanzioni penali previste, per i reati elettorali, dalla legge statale sull'elezione dei Consigli delle Regioni ordinarie (la quale a sua volta rinvia al testo unico sulle elezioni degli organi dei Comuni). Il ricorso lamenta la non conformità di tale previsione all'art. 3 dello statuto regionale.

I limiti dell'impugnazione, segnati dai motivi del ricorso, non consentono alla Corte di esaminare il problema più generale della ammissibilità di interventi del legislatore regionale siciliano nell'ambito della disciplina penale, ne' quindi di sottoporre a rimeditazione la soluzione seguita, a proposito del testo vigente dell'art. 67 della legge elettorale siciliana, nella risalente sentenza n. 104 del 1957.

Mentre dunque tale problema resta del tutto impregiudicato, in questa sede la Corte deve limitarsi a dirimere il quesito, se la scelta effettuata dal legislatore siciliano sia o meno in contrasto con la norma statutaria, secondo cui l'elezione dell'assemblea e' disciplinata dalla legge regionale "secondo i principii stabiliti dalla Costituente per le elezioni politiche".

Tale prescrizione dello statuto, tenendo anche conto del momento in cui essa fu formulata (anteriore, come e' noto, alla elezione dell'Assemblea costituente e perciò alla elaborazione del testo costituzionale), non può essere intesa nel senso che vincoli il legislatore regionale a seguire i principii -- e tanto meno le specifiche discipline -- fissati nelle leggi che disciplinano l'elezione delle Camere del Parlamento nazionale (leggi che peraltro sono distinte fra loro, anche se poi di fatto la legge sull'elezione del Senato ha rinviato in parte alla disciplina di quella per l'elezione della Camera: cfr. ora art.27 del d.lgs. 20 dicembre 1993, n. 533, e già art. 25, primo comma, della legge 6 febbraio 1948, n. 29). Il senso della previsione statutaria appare quello di ribadire il vincolo dell'autonomia regionale, anche in una materia, come quella dell'elezione dell'assemblea, non disciplinata direttamente dalla Costituzione, al rispetto dei principii ricavabili dalla Costituzione stessa in materia elettorale (cfr., per un accenno in questo senso, Alta Corte per la Regione Siciliana, decisione 16-20 marzo 1951, n. 38).

Del resto, anche ove si volesse seguire l'interpretazione estensiva della disposizione statutaria fatta propria dal ricorso, il vincolo nei confronti del legislatore siciliano, essendo limitato ai "principii", non si potrebbe estendere certo alle specifiche scelte del legislatore statale in materia di elezione del Parlamento: e, nella specie, non si può dire che la nuova scelta del legislatore siciliano venga a modificare i principii ispiratori della disciplina vigente nell'ambito di incidenza della disposizione denunciata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 11, comma 2, della legge regionale approvata dalla Assemblea regionale siciliana il 24 marzo 1996 (Disposizioni in materia di permessi, indennità ed incarichi negli enti locali.

Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali concernenti le elezioni di organi degli enti locali, il comitato regionale di controllo, il personale dell'amministrazione regionale e degli enti locali. Abrogazione di norme);

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 della medesima legge regionale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, con il ricorso del Commissario dello Stato indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 21 della medesima legge regionale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, con il ricorso del Commissario dello Stato indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 23 della medesima legge regionale, sollevata, in riferimento all'art. 3 dello statuto speciale per la Regione Siciliana, con il ricorso del Commissario dello Stato indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/10/96.

Mauro FERRI, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 02/11/96.