Sentenza n. 357 del 1996

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SENTENZA N. 357

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Calabria, notificato il 22 maggio 1996, depositato in Cancelleria l'11 giugno 1996, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della sentenza n. 503 del 6-14 marzo 1996 del Tribunale di Catanzaro che ha dichiarato la decadenza del consigliere regionale Pietro Fuda ed ha proclamato l'elezione del primo dei non eletti Francesco G. Minniti, iscritto al n. 18 del registro conflitti 1996.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 1° ottobre 1996 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

uditi l'avvocato Raffaele Mirigliani per la Regione Calabria e l'avvocato dello Stato Plinio Sacchetto per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Con ricorso notificato il 22 maggio 1996 al Presi dente del Consiglio dei ministri nella sua sede, la Regione Calabria solleva conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione alla sentenza n. 503 del 6-14 marzo 1996 del Tribunale di Catanzaro di cui chiede l'annullamento.

Premette in fatto che, con deliberazione n. 77 del 26 febbraio 1996, il Consiglio regionale, in accoglimento della istanza proposta da un cittadino elettore, aveva contestato ad un consigliere regionale (Sig. Pietro Fuda il ricorrere della causa di incompatibilità per lite pendente prevista dall'art. 7, comma terzo e seguenti, della legge 23 aprile 1981, n. 154 ed aveva, all'uopo, concesso al predetto consigliere dieci giorni di tempo per formulare osservazioni o per eliminare la causa di incompatibilità in questione. Successivamente, con deliberazione n. 81 del 14 marzo 1996 lo stesso Consiglio regionale, preso atto che il consigliere aveva "eliminato la sua condizione di incompatibilità per lite pendente", aveva confermato la elezione di questi a consigliere regionale.

Nello stesso tempo, il Tribunale di Catanzaro, cui era stata prospettata e documentata la pendenza della procedura amministrativa di cui si e' detto, adito da altro cittadino elettore per la medesima causa di incompatibilità, aveva con sentenza n. 503 del 6-14 marzo 1996 dichiarato la decadenza del consigliere Fuda e proclamato la elezione del primo dei non eletti, Sig. Francesco G. Minniti.

Ciò stante, la Regione ricorrente ritiene tale sentenza invasiva della propria competenza in materia di convalida elettorale dei consiglieri regionali.

Ricordato che la legge n. 154 del 1981 ha riordinato l'intero sistema delle ineleggibilità e delle incompatibilità in vista <del superamento degli inutili rigorismi e delle irragionevolezze della precedente legislazione>, che mortificavano in modo ingiustificato e sproporzionato il responso elettorale e il diritto di elettorato passivo costituzionalmente garantito, la ricorrente osserva che tra le innovazioni essenziali deve essere considerata l'introduzione della fase del procedimento amministrativo che si svolge per la contestazione ed eventuale rimozione di quelle cause ostative che costituiscono semplici fonti di pericolo per il corretto esercizio delle funzioni dell'eletto, senza incidere sulla regolarità del procedi mento elettorale.

La Regione non ignora la giurisprudenza ordinaria, la quale ha ritenuto, pur dopo l'entrata in vigore della nuova legge, la permanenza dell'azione diretta (c.d. popolare) in sede giurisdizionale, per la declaratoria della decadenza, prevista dall'art. 9-bis del testo unico 16 maggio 1960, n. 570, ma ritiene che il sistema normativo debba essere interpretato nel senso che, qualora il procedimento amministrativo sia, come nella specie, instaurato - e sia quindi eliminato il rischio che il procedimento non venga nemmeno avviato o ne sia rimessa la conclusione al solo organo amministrativo - in tal caso l'azione diretta diventa improponibile o, se già proposta, improcedibile sino all'esito del procedimento amministrativo innanzi al Consiglio regionale.

Diversamente, si avrebbe invasione della sfera di competenza regionale, garantita dall'art. 115 della Costituzione, per un <aspetto essenziale attinente alla costituzione, all'autorganizzazione e al funzionamento> di propri organi, nonchè violazione dell'art. 51 della Costituzione, che tutela l'elettorato passivo e l'esercizio delle cariche elettive in presenza dei requisiti di legge, essendosi il Tribunale rifiutato di considerare la pendenza del procedimento amministrativo di cui all'art. 7 citato e di consentirne la conclusione, "salvo il successivo intervento dell'autorità giudiziaria" che può sopravvenire soltanto "in via di eventuale impugnativa".

2. Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, rilevando che, dopo qualche incertezza, la giurisprudenza della Cassazione ha affermato la concorrenza dei due rimedi, amministrativo e giurisdizionale, in quanto rispondenti a presupposti e finalità diversi, così come sottolineato anche da pronunce della Corte costituzionale (sentenza n. 235 del 1989). Osserva quindi che la Regione, anzichè confidare "sul successivo intervento dell'autorità giudiziaria in via di eventuale impugnativa", - secondo la tesi della stessa ricorrente - ha proposto ricorso per conflitto limitandosi ad evocare, oltre che genericamente l'art. 115, anche l'art. 51 della Costituzione, ovverosia la norma che tutela, in via diretta, un diritto fondamentale dei cittadini, garantito proprio da quella azione giudiziaria che la Regione intende ora contestare. Conclusivamente chiede che, in dipendenza di ciò, il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque respinto nel merito.

Considerato in diritto

1.-- La Regione Calabria si duole che il Tribunale di Catanzaro, con la sentenza n. 503 del 1996, abbia dichiarato l'incompatibilità e quindi la decadenza di un consigliere regionale, in seguito a ricorso promosso da un cittadino elettore a norma degli articoli 9-bis, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali) e 19, secondo e terzo comma, della legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale), indipendentemente dalla circostanza che, nei confronti del medesimo consigliere fosse in corso, di fronte al Consiglio regionale, la procedura di contestazione della causa d'incompatibilità e di eventuale rimozione della stessa ai fini della convalida, a norma dell'art. 7, commi da tre a otto, della legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale).

Ritiene la Regione Calabria che tale sovrapposizione di procedimenti e di pronunce determini una lesione della propria sfera di attribuzioni costituzionali, quali risulterebbero dagli articoli 51 e 115 della Costituzione, e propone quindi conflitto di attribuzioni nei confronti dello Stato in ordine alla sentenza del Tribunale di Catanzaro.

2. -- Il ricorso e' infondato.

2.1. -- La Regione Calabria non contesta radicalmente la giurisdizione del giudice ordinario in materia di ineleggibilità e incompatibilità, ne' l'azione diretta dei cittadini elettori volta ad attivarla. Rileva, invece, l'interferenza che l'incondizionato esercizio di tale giurisdizione determinerebbe con la funzione del Consiglio regionale di contestazione della causa di incompatibilità, di delibera definitiva sulla stessa, di invito all'interessato a rimuoverla e di eventuale dichiarazione di decadenza (funzione prevista dall'art. 7, commi da tre a otto, della legge n. 154 del 1981).

Sostiene la ricorrente che, per garantire la sfera di attribuzioni del Consiglio regionale, dovrebbe affermarsi - per il caso in cui sia pendente il procedimento di fronte al Consiglio regionale medesimo - l'esistenza di una causa temporanea di improponibilità o di improcedibilità dell'azione diretta al Tribunale prevista dall'art. 9-bis, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, ovvero l'esclusiva ricorribilità contro la decisione del Consiglio regionale sulla esistenza della causa di incompatibilità contestata.

La procedura di convalida presso il Consiglio regionale e il giudizio di fronte al Tribunale - per quanto attivabili entrambi per iniziativa di cittadini elettori, estranei al Consiglio stesso, e orientati in definitiva allo scopo comune dell'eliminazione delle situazioni di incompatibilità e di ineleggibilità previste dal legislatore, in cui versino i consiglieri - si svolgono su piani diversi, mirando a finalità immediate anch'esse diverse: la verifica del titolo di partecipazione all'organo collegiale a opera e nell'interesse dell'organo stesso alla propria regolare composizione, la prima; la garanzia del rispetto delle cause di ineleggibilità e incompatibilità nell'interesse della generalità dei cittadini elettori e a opera della Autorità giudiziaria, la seconda.

Questo spiega la concorrenza delle due distinte garanzie in ordine alle cause di incompatibilità e di ineleggibilità, concorrenza ormai pacificamente riconosciuta nella giurisprudenza della Corte di cassazione e giudicata conforme alla Costituzione da questa stessa Corte nella sentenza n. 235 del 1989, ove si e' chiarito che l'autonomia dell'azione di fronte al giudice - pur in presenza del procedimento di contestazione dell'incompatibilità e della possibilità di rimediarvi, che la legge consente all'interessato nel medesimo procedimento - dipende dall'esistenza di interessi di ordine generale circa la garanzia più tempestiva possibile della legittima composizione degli organi elettivi e dalla necessità che l'attivazione di tale garanzia obiettiva non sia paralizzata da iniziative e procedure concorrenti, quali quelle che si svolgono di fronte ai consigli elettivi (analogamente, la sentenza n.113 del 1993 relativa al giudizio del giudice amministrativo su ricorsi in materia di operazioni elettorali, proposti prescindendo dalla convalida dei risultati).

Tanto basta a escludere che sussista la pretesa violazione delle norme costituzionali sulla distribuzione delle competenze tra lo Stato e la Regione e, in particolare, dell'art. 115 della Costituzione, indipendentemente dalla genericità del richiamo a questa disposizione.

2.2. -- Il conflitto proposto dalla Regione Calabria, tuttavia, sollevando un problema di coordinamento tra la disciplina dei due anzidetti procedimenti, innanzi al giudice (a norma dell'articolo 9-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960) e innanzi al Consiglio regionale (a norma dell'articolo 7, commi da tre a otto, della legge n. 154 del 1981), presenta anche una diversa valenza, resa manifesta dal riferimento fatto nel ricorso all'art. 51 della Costituzione.

Nella prospettazione della ricorrente, la garanzia del proprio ambito di competenza costituzionale si intreccia con il rispetto da parte della legge del diritto elettorale passivo. Tale diritto sarebbe leso perchè la decadenza direttamente disposta dal Tribunale vanificherebbe il procedimento previsto dal ricordato articolo 7, commi da tre a otto, della legge n. 154 del 1981, procedimento mirante in primo luogo alla rimozione della causa di incompatibilità e, solo eventualmente e come extrema ratio, alla dichiarazione di decadenza.

Ma l'anzidetta commistione di prospettive - resa palese dall'eterogeneità dei parametri costituzionali invocati - rappresenta una forzatura del giudizio per conflitto di attribuzioni promosso dalla Regione nei confronti dello Stato, nel quale le norme costituzionali di riferimento che possono venire direttamente in rilievo sono solo quelle relative alla distribuzione delle competenze.

Escluso, di per se' - a causa della diversità di livello, di finalità e quindi di forme e di competenze - che l'incondizionata concorrenza tra l'azione di fronte all'autorità giudiziaria ordinaria e la procedura di fronte al Consiglio regionale determini una lesione delle attribuzioni costituzionali della Regione, il riferimento all'art. 51 della Costituzione e alla garanzia ivi prevista del diritto di elettorato passivo mostra il carattere artificioso, per questo aspetto, del conflitto in esame. Il ricorso della Regione per conflitto di attribuzioni, in casi come quello presente, apparirebbe un improprio strumento di sostegno, rispetto all'esito di una procedura giudiziaria, delle aspettative di un suo consigliere, strumento che, al contrario, varrebbe contro quelle del candidato il quale, eventualmente, dovesse prendere il posto del primo, una volta riconosciutane l'incompatibilità.

Una norma come l'articolo 51 della Costituzione, che dispone in generale sui diritti politici dei cittadini, male si presta a essere fatta valere dalla Regione in sede di conflitto di attribuzioni. Essa, correttamente, può essere invocata se mai da chi ne abbia interesse nel giudizio sulle leggi: ciò che per l'appunto e' avvenuto nel caso di specie quando, nel giudizio di fronte al Tribunale di Catanzaro, e' stata proposta - sia pure con esito negativo, essendosene ritenuta in quell'occasione la manifesta infondatezza - la questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 9-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, in riferimento all'art.51 della Costituzione. Il che conferma - per questo suo aspetto - la strumentalità del presente ricorso, quale impropria alternativa al giudizio sulle leggi.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spetta allo Stato e, per esso, alla Autorità giudiziaria il giudizio sui ricorsi in tema di ineleggibilità e incompatibilità promossi dai cittadini elettori nei confronti dei consiglieri regionali, indipendentemente dalla pendenza presso il Consiglio regionale del procedimento di cui all'art. 7, commi da tre a otto, della legge 23 aprile 1981, n. 154.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/10/96.

Mauro FERRI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 22/10/96.