Sentenza n. 235 del 1989

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SENTENZA N. 235

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 9-bis, comma terzo, del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo Unico delle leggi per la composizione e l’elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), introdotto dall'art. 5 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), promosso con ordinanza emessa il 10 ottobre 1988 dal Tribunale di Lecce nel procedimento civile vertente tra Viva Ubaldo e Rugge Liberato ed altro, iscritta al n. 729 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1988.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'8 marzo 1989 il Giudice relatore Ettore Gallo.

 

Considerato in diritto

 

1. -L'ordinanza di rimessione dubita della legittimità costituzionale del procedimento diretto popolare previsto nell'art. 9-bis, comma terzo, del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, introdotto dall'art. 5 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, con il quale si consente a qualunque cittadino di ricorrere direttamente all'Autorità giudiziaria ordinaria per far valere cause d'ineleggibilità o d'incompatibilità che viziano la permanenza in carica dei consiglieri comunali.

Secondo il giudice rimettente l'illegittimità di tale procedura deriverebbe innanzitutto dall'art. 3 della Costituzione, perché verrebbe a privare il consigliere della maggiore e più garantistica tutela inerente al procedimento amministrativo ex art. 7 della legge n. 154 del 1981, di cui viene avvantaggiato chi a quest'ultimo, anziché al primo, sia sottoposto. E, in secondo luogo, anche dall’incompatibilità del procedimento ex art. 9-bis con il principio di cui all'art. 51 della Costituzione che, facendo dell'ineleggibilità un'eccezione, intende rendere il più possibile rimovibili le cause che impediscono al cittadino l'elettorato passivo, così come é nello spirito della successiva legge n. 154 del 1981.

L'Avvocatura generale, come si é visto, ha eccepito tre cause d'inammissibilità della questione, e si é dichiarata comunque per l'infondatezza nel merito.

2. - Vanno esaminate innanzitutto le eccezioni d'inammissibilità.

Quanto alla prima, va rilevato che il Consigliere qui in contestazione al momento della sua elezione non versava in alcuna causa d'ineleggibilità, in guisa che, non solo si è svolto senza difetti il rapporto elettorale, ma esso poi si é concluso e consolidato nella convalida dell'elezione, pronunziata con formale delibera consiliare.

Risulta, altresì, che, a seguito del ricorso di vari elettori del Comune, fra cui lo stesso Viva Ubaldo, nuovamente oggi ricorrente, Autorità giudiziaria si era giù pronunziata sul punto della pretesa ineleggibilità del dott. Rugge, rigettando il ricorso con sentenza n. 1332 del 1985 dello stesso Tribunale di Lecce, passata in giudicato.

Probabilmente proprio in considerazione del giudicato, l'ordinanza considera la sentenza della Corte (estensiva della causa d'ineleggibilità di cui all'art. 2 n. 8 della legge n. 154 del 1981 anche alla situazione nella quale versava il dott. Rugge) quale causa sopravvenuta. Infatti, anche a tenere conto della retroattività della sentenza, essa comunque non potrebbe mai distruggere il giudicato, e perciò potrebbe al più spiegare i suoi effetti dai momenti successivi, allorquando il dott. Rugge, reso edotto della sua ineleggibilità dalla sentenza della Corte, avrebbe potuto e dovuto rimuoverne la causa.

Nel caso di specie, infatti, non é l'erronea opinione del cittadino che considera conforme a Costituzione la legge che tale non era, ma à una sentenza passata in giudicato dell'Autorità giudiziaria che consolida in situazione di liceità la posizione del cittadino.

E' esclusa, quindi, l'inammissibilità della questione sotto questo primo profilo.

Per quanto concerne la seconda eccezione, va rilevato che il giudice a quo ha esercitato la sua scelta nella contrastante giurisprudenza relativa Q alla coesistenza, o non, delle due procedure, ed ha proposto la questione di legittimità costituzionale proprio sul presupposto dell'alternatività dei due procedimenti. D'altra parte, non sembra che la sentenza della Corte di cassazione riportata nell'atto di intervento a p. 9 (18 febbraio 1982, n. 1020) contraddica la tesi del Tribunale di Lecce: che, anzi, vi si dice che l'azione popolare non e incompatibile con il procedimento amministrativo, riguardando l'ipotesi che quest'ultimo non vi sia stato o si sia concluso con deliberazione negativa di conferma del consigliere nella carica.

Nemmeno sotto questo riflesso é, perciò, ravvisabile alcuna causa di inammissibilità.

Infine, la terza ed ultima eccezione appare priva di consistenza.

Qualora, infatti, venisse accolta la richiesta di dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 9-bis, terzo comma, del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, cui si riferisce il dispositivo dell'ordinanza, il procedimento popolare giurisdizionale cadrebbe e resterebbe in vita soltanto quello amministrativo, disciplinato dall'art. 7 della legge 23 aprile 1981, n. 154; procedimento legato, peraltro, ad un'ulteriore fase giurisdizionale eventuale qualora fosse dichiarata la decadenza del consigliere. La decisione di questa Corte, perciò, avrebbe carattere meramente ablativo, e non postulerebbe alcuna additiva sistematica: i poteri discrezionali del legislatore non sarebbero, perciò, messi in pericolo.

3. - Nel merito la questione non é fondata.

Nell'attuale sistema della legge l'eletto non e privato di alcun vantaggio, e non esiste, perciò, alcuna lesione dei parametri invocati.

Quando si verifica, infatti, la sopravvenienza di una causa di ineleggibilità o di incompatibilità, vi sarebbe stata offesa ai principi se il legislatore avesse previsto semplicemente l'automatica decadenza dell'eletto. A questi, invece, e data possibilità di rimuovere la causa inficiante, ed entro un termine che appare del tutto ragionevole, atteso che si tratta soltanto di presentare delle dimissioni: com'é appunto nel caso di specie, dove non sussiste ragione alcuna perché l'eletto debba continuare a detenere nell'U.S.L., di cui il Comune dov'egli e consigliere e partecipe, una carica direttiva. I dieci giorni concessi dall'art. 6 della legge n. 154 del 1981, dal momento in cui la causa si è concretizzata, sono più che sufficienti per compiere un atto cosi semplice.

Il quale, poi, é un atto assolutamente doveroso. A tale proposito, va rilevato che l'eletto, lungi dall'essere svantaggiato, é stato ampiamente avvantaggiato nei confronti di coloro che, trovandosi in condizioni del tutto analoghe, si sono dovuti dimettere addirittura prima della presentazione delle candidature nell'ipotesi della causa di ineleggibilità (come nella specie), o subito dopo l'elezione per il caso dell'incompatibilità. Egli, pertanto, ha potuto nella specie fruire durante la campagna elettorale di quella posizione di privilegio che la legge giustamente negava agli altri, e che successivamente il giudice delle leggi ha riconosciuto che non sarebbe spettata nemmeno a lui. Ciononostante, per le ragioni già illustrate, gli viene consentito di sanare la conseguita elezione rimuovendo, entro un termine congruo, la causa inficiante, almeno dal momento in cui essa si é resa ormai evidente.

Effettivamente c'é anche il procedimento amministrativo, disciplinato dall'art. 7, che, di fatto, proroga il termine entro cui l'eletto e tenuto ad eliminare le cause d'ineleggibilità o d'incompatibilità. Ma si tratta di un procedimento sicuramente utile per chiarire i casi dubbi, dato che l'eletto ha la possibilità di presentare le sue osservazioni e di ottenere una finale convalida dalla deliberazione del Consiglio: l'eletto, però, lo affronta a suo rischio, qualora abbia ritenuto di non osservare il termine di cui all'art. 6 della legge, e potrà, comunque, semmai provvedervi davanti al giudice ordinario se il Consiglio pronunciasse la sua decadenza.

In realtà, é proprio in considerazione di possibili condiscendenze da parte di maggioranze consiliari benevole che, o non assumono alcuna iniziativa o, se sollecitate a farlo, la risolvono a favore dell'eletto, il legislatore non ha abrogato l'art. 9-bis, inserito nel D.P.R. n. 570 del 1960 dall'art. 5 della legge n. 1147 del 1966: e ciò benché fosse stato prodigo di abrogazioni, come appare dall'art. 10 della legge n. 154 del 1981, che al n. 2 abroga di quel decreto ben 6 articoli, oltre ad altri dieci di leggi varie e a ben due intere leggi.

Ed é molto significativo che l'iniziativa dell'azione diretta, ex art. 9-bis, sia concessa non soltanto a qualsiasi cittadino elettore di quel comune, ma anche al Prefetto (art. 9-bis, quarto comma): a testimoniare quanto interest rei publicae che le elezioni si svolgano in condizioni di parità per tutti, é che siano garantiti il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione pubblica.

Non dunque certo l'art. 9-bis del decreto impugnato può essere, comunque, ritenuto lesivo dei parametri invocati. D'altra parte, quand'anche fosse stata esatta la doglianza concernente la perdita del beneficio del maggior termine, sarebbe semmai l'ultimo comma dell'art. 6 della legge n. 154 del 1981 a rappresentare l'autentico ostacolo al godimento di quel più ampio spazio temporale: articolo peraltro non impugnato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9 bis, terzo comma, del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo Unico delle leggi per la composizione e l’elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), cosi come inserito nel predetto D.P.R. dall'art. 5 della legge n. 1147 del 1966 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), con riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione: questione sollevata dal Tribunale di Lecce con ordinanza 10 ottobre 1988.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/04/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 21/04/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE