ORDINANZA N. 288
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1, limitatamente alle parole "[...], contenenti le sostanze pericolose per le quali sono fissati i valori limite delle norme di emissione nell'allegato B, [...]", e dell'art. 7, comma 7, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 133 (Attuazione delle direttive 76/464/CEE, 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/CEE, 88/347/CEE e 90/415/CEE in materia di scarichi industriali di sostanze pericolose nelle acque), promosso con ordinanza emessa il 21 aprile 1995 dal Pretore di Vicenza nel procedimento penale a carico di Bonfiglioli Roberto, iscritta al n. 473 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Udito nella camera di consiglio del 17 aprile 1996 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
RITENUTO che il Pretore di Vicenza, nel corso del processo a carico di Bonfiglioli Roberto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 9, 10, 11, 32 e 41 della Costituzione, dell'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 133, limitatamente alle parole "[...], contenenti le sostanze pericolose per le quali sono fissati i valori limite delle norme di emissione nell'allegato B, [...]", e dell'art. 7, comma 7, dello stesso decreto legislativo, il quale così dispone: "Le disposizioni del presente articolo si applicano agli scarichi contenenti le sostanze pericolose indicate nell'elenco I dell'allegato A per i quali non sono fissati i valori limite delle norme di emissione nell'allegato B, con decorrenza dalla data del decreto previsto dall'art. 2, comma 3, lettera b)";
che, ad avviso del giudice a quo, le disposizioni impugnate renderebbero applicabile il decreto legislativo n. 133 del 1992, quanto agli impianti esistenti, in relazione ai soli processi produttivi per i quali l'allegato B già indica i valori di emissione, mentre differirebbero la operatività di tutte le altre disposizioni contenute nello stesso decreto legislativo al momento della adozione dei decreti ministeriali integrativi previsti dall'art. 2, comma 3, con la conseguenza che la normativa interna risulterebbe contrastante con la normativa comunitaria che disciplina gli scarichi industriali di sostanze pericolose nelle acque, e comunque più favorevole di quella che risulterebbe dall'integrale adeguamento della normativa interna a quella comunitaria;
che la questione di legittimità sollevata, secondo il giudice a quo, sarebbe ammissibile, sia perché l'accoglimento della questione non avrebbe l'effetto di introdurre nell'ordinamento un nuovo illecito penale, ma solo quello di eliminare due disposizioni che restringono l'ambito di operatività delle fattispecie penali definite dal decreto legislativo n. 133 del 1992, sia perché non potrebbe trovare applicazione, nel caso di specie, l'orientamento di questa Corte secondo il quale sarebbero inammissibili le questioni volte a censurare il contrasto tra norma interna e norma comunitaria, posto che, se nel giudizio di merito si disapplicasse la norma interna a vantaggio di quella comunitaria, l'effetto sarebbe comunque quello, inammissibile, di rendere applicabile una norma che disciplina in modo più severo la medesima condotta. L'unico rimedio alla rilevata situazione di contrasto tra norma interna e norma comunitaria sarebbe quindi la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione interna, che, mentre opererebbe nel senso della affermazione del principio della certezza e della chiarezza applicativa in un caso tipico di contrasto tra norma interna e norma comunitaria, non produrrebbe neanche effetti pregiudizievoli per l'imputato, dovendo in ogni caso il giudice definire il giudizio sottoposto alla sua cognizione tenendo conto della buona fede e della ignoranza scusabile dell'imputato stesso, rilevanti in quanto quest'ultimo avrebbe agito in base ad una norma esistente, anche se poi dichiarata incostituzionale;
che la questione sarebbe anche non manifestamente infondata, dovendosi ravvisare, ad avviso del giudice a quo, la violazione:
a) dell'art. 3 della Costituzione, in quanto sarebbe palesemente irragionevole la sottoposizione dei soli impianti nuovi e di una minima parte soltanto di quelli preesistenti ad una normativa conforme a quella comunitaria;
b) degli artt. 10 e 11 della Costituzione, dal momento che la maggior parte degli impianti esistenti risulta esclusa dalla applicazione della disciplina introdotta dal decreto legislativo, emanato in attuazione di numerose direttive comunitarie;
c) degli artt. 9 e 32 della Costituzione, in quanto, proprio a causa della limitata applicazione del decreto legislativo n. 133 del 1992, derivante dalle disposizioni impugnate, non troverebbero adeguata tutela né il "paesaggio", inteso quale ecosistema nel suo complesso, né il diritto assoluto e incondizionato alla salute, inteso come diritto ad un ambiente salubre;
d) dell'art. 41 della Costituzione, in quanto, sul presupposto della costituzionalizzazione del principio "chi inquina paga", la esclusione dal nuovo e più incisivo regime di autorizzazioni e di controlli di gran parte degli scarichi esistenti, risulterebbe pregiudizievole, anche sul piano della concorrenza fra imprese, per le aziende che hanno affrontato rilevanti investimenti per adeguare i propri impianti alle esigenze di tutela ambientale;
che la questione sarebbe altresì rilevante, dal momento che il pubblico ministero nel giudizio a quo ha contestato il reato di cui all'art. 18 del decreto legislativo n. 133 del 1992 al titolare di uno scarico esistente non riconducibile ai processi produttivi per i quali risultano già indicati, nell'allegato B, i valori limite di emissione (nel caso, la sostanza pericolosa era il cadmio) e che conseguentemente, sulla base della normativa impugnata, dovrebbe pervenirsi ad una sentenza predibattimentale di proscioglimento perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, mentre nel caso di accoglimento della questione dovrebbe viceversa procedersi al dibattimento, impregiudicato l'esito finale del giudizio, in considerazione della possibile applicazione dei principî affermati anche dalla giurisprudenza di questa Corte, i quali portano a valorizzare la buona fede e l'ignoranza scusabile della legge da parte dell'imputato.
CONSIDERATO che la direttiva comunitaria non può ritenersi direttamente applicabile nel caso di specie, come del resto ammesso dallo stesso giudice a quo, dal momento che, secondo quanto affermato dalla Corte di giustizia (v. sentenze 26 febbraio 1986, in causa 152/84, Marshall; 11 giugno 1987, in causa 14/86, Pretura di Salò; 8 ottobre 1987, in causa 80/86, Kolpinghius) e da questa Corte (sentenza n. 168 del 1991), le direttive non possono di per sé creare obblighi a carico dei singoli e non possono essere fatte valere in quanto tali nei loro confronti;
che il legislatore nazionale, con il decreto legislativo n. 133 del 1992, ha dato attuazione alla direttiva, configurando la richiesta di autorizzazione ad effettuare gli scarichi di impianti esistenti contenenti le sostanze indicate nelle tabelle allegate, secondo le prescrizioni delle disposizioni impugnate, come un obbligo sanzionato penalmente (la cui sanzione è stabilita dall'art. 18, commi 1 e 2);
che conseguentemente, se la Corte accogliesse la questione nei termini in cui è stata prospettata e ritenesse costituzionalmente illegittima la graduale attuazione delle limitazioni degli scarichi prodotti dagli impianti esistenti, e rispondente ai principî comunitari solo la previsione della richiesta di autorizzazione per tutti gli scarichi esistenti e per tutte le sostanze considerate dalla direttiva, l'effetto non potrebbe essere altro che quello di ampliare il precetto, l'osservanza del quale il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, non irragionevole in considerazione dei valori protetti, ha ritenuto di dover presidiare con una sanzione penale;
che tale effetto eccede dall'ambito dei poteri di questa Corte, la quale, pur non escludendo la possibilità che norme penali di favore possano formare oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, ha tuttavia escluso costantemente che da proprie pronunce possa discendere la creazione di un precetto penale o l'ampliamento di una fattispecie penale già definita, come nel caso, dal legislatore (sentenza n. 411 del 1995; ordinanza n. 146 del 1993; ordinanza n. 377 del 1992; sentenza n. 313 del 1983; sentenza n. 108 del 1981);
che pertanto la questione di legittimità costituzionale deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1, limitatamente alle parole "[...], contenenti le sostanze pericolose per le quali sono fissati i valori limite delle norme di emissione nell'allegato B, [...]", e dell'art. 7, comma 7, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 133 (Attuazione delle direttive 76/464/CEE, 82/176/CEE, 83/513/CEE, 84/156/CEE, 84/491/CEE, 88/347/CEE e 90/415/CEE in materia di scarichi industriali di sostanze pericolose nelle acque), sollevata in riferimento agli artt. 3, 9, 10, 11, 32 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Vicenza con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta l'11 luglio 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.