SENTENZA N. 271
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Luigi MENGONI, Presidente
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 3, 11, 12, commi da 1 a 9, e 17 della legge della Regione Siciliana, approvata il 9 novembre 1995 recante "Norme per l'inserimento lavorativo dei soggetti partecipanti ai progetti di utilità collettiva di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67 ed interventi per l'attuazione di politiche attive del lavoro", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, notificato il 18 novembre 1995, depositato in Cancelleria il 27 successivo ed iscritto al n. 53 del registro ricorsi 1995.
Visto l'atto di costituzione della Regione Siciliana;
udito nell'udienza pubblica del 28 maggio 1996 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
uditi l'Avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il ricorrente, e gli avvocati Giovanni Pitruzzella e Giovanni Lo Bue per la Regione Siciliana.
Ritenuto in fatto
1.-- Con ricorso notificato il 18 novembre 1995, il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana ha impugnato gli artt. 1, comma 3, 11, 12, commi da 1 a 9, e 17 della legge della Regione Siciliana, approvata il 9 novembre 1995 (Norme per l'inserimento lavorativo dei soggetti partecipanti ai progetti di utilità collettiva, di cui all'art. 23 della legge 11 maggio 1988, n. 67, ed interventi per l'attuazione di politiche attive del lavoro), in riferimento agli articoli 3, 11 e 97 della Costituzione e all'art. 17, lettera f), dello statuto speciale, per violazione dei principî e degli interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato.
Il Commissario dello Stato riferisce che -- a seguito della legge finanziaria n. 67 del 1988, la quale, all'art. 23, autorizzava la realizzazione di progetti di utilità collettiva per alleviare i problemi della disoccupazione giovanile -- la Regione Siciliana approvava, prima, la legge regionale n. 36 del 1990, poi la legge regionale n. 27 del 1991, poi ancora, a seguito dell'ulteriore intervento statale a sostegno dell'occupazione, operato con il d.l. n. 148 del 1993, convertito nella legge n. 236 dello stesso anno, la legge regionale n. 25 del 1993. Con questo complesso di interventi si disponeva, tra l'altro, il finanziamento di ulteriori progetti, ad integrazione e completamento di quelli realizzati in attuazione dell'art. 23 della legge n. 67 del 1988, nonché la possibilità di avviarne di nuovi, prevedendo sia l'utilizzazione dei lavoratori già impiegati nei progetti di utilità collettiva (cosiddetti articolisti e coordinatori), sia misure per favorirne il definitivo inserimento nel mondo del lavoro.
La legge impugnata sarebbe diretta, secondo il Commissario dello Stato, ancora una volta ad agevolare la ricerca di stabilità occupazionale dei circa trentamila soggetti, destinatari, nel tempo, degli incentivi della ricordata legislazione regionale; sarebbero stati, però, arbitrariamente esclusi dai benefici (art. 1, comma 3), con violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, circa duemila coordinatori a tempo pieno, che avevano sempre fruito delle provvidenze previste dalla legislazione regionale ed acquisito competenza ed esperienza.
Il Commissario dello Stato dubita poi della legittimità costituzionale degli artt. 11 e 12, commi da 1 a 9, della legge della Regione Siciliana, nella parte in cui devolverebbero oltre due terzi delle risorse previste dalla legge al finanziamento di progetti di utilità collettiva ormai estranei alla legislazione nazionale, ai cui principî la Regione dovrebbe uniformarsi, essendo titolare in materia di legislazione sociale di una potestà legislativa concorrente, ai sensi dell'art. 17, lettera f), dello statuto speciale. Anzi, ad avviso del Commissario, poiché la disciplina dell'occupazione, che questa Corte ha riconosciuto essere di interesse nazionale, spetterebbe al legislatore statale al fine di realizzare una politica uniforme di tutela del diritto al lavoro, alla Regione Siciliana residuerebbe una competenza meramente attuativa, che non le consentirebbe di porre norme contrastanti con la disciplina statale.
A questo proposito, il ricorrente rileva che gli artt. 14 e 15 del d.l. n. 299 del 1994 (Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito nella legge n. 451 dello stesso anno, prevederebbero la sostituzione dei progetti di utilità collettiva con i lavori socialmente utili, quali nuove forme temporanee di impiego dei giovani disoccupati. Si tratterebbe di attività rivolte a settori innovativi, per il raggiungimento di obiettivi di carattere straordinario delle pubbliche amministrazioni, di durata limitata nel tempo, alle dirette dipendenze delle stesse amministrazio- ni, ma che non comportano la costituzione di un rapporto di lavoro.
L'art. 11 della legge della Regione Siciliana riguarderebbe, invece, settori, per lo più, non innovativi, né connessi ad obiettivi di carattere straordinario della pubblica amministrazione; l'art. 12 ometterebbe, poi, di escludere, tra i soggetti proponenti, gli enti con personale eccedente rispetto ai programmi dei lavori socialmente utili -- come fa, invece, la legge statale -- e le fondazioni culturali e scientifiche alle quali la Regione corrisponde un contributo annuo, che verrebbero a beneficiare cumulativamente di più provvidenze, in contrasto con l'art. 97 della Costituzione.
Ne deriverebbe la violazione della legislazione statale, dell'interesse nazionale al buon esito della riforma del pubblico impiego e dell'art. 3 della Costituzione, per l'arbitrario privilegio concesso ad alcuni soggetti, in presenza di un elevatissimo numero di cittadini privi di lavoro nella Regione.
Il Commissario dello Stato si duole, infine, dell'art. 17 della legge regionale, che prevede l'entrata in vigore della stessa legge il giorno successivo alla sua pubblicazione; sarebbe, infatti, violato l'art. 11 della Costituzione, poiché alcune delle norme della legge impugnata, che prevedono contributi ed agevolazioni varie alle imprese (artt. 3, 4, 5, 7, 8 e 10), potrebbero entrare in vigore solo a seguito del compimento dell'avviata procedura di concessione dell'apposito benestare della Unione europea agli "aiuti di Stato", ai sensi dell'art. 93, comma 2, del trattato istitutivo.
2.-- Nel giudizio dinanzi alla Corte costituzionale si è costituita la Regione Siciliana, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate inammissibili e comunque infondate.
La difesa della Regione sottolinea innanzitutto come la legislazione regionale in materia di occupazione giovanile avrebbe sempre seguito l'indirizzo di affiancare l'intervento statale, valorizzandolo, ma, al contempo, mantenendo una propria specificità; così, la legge impugnata non conterrebbe soltanto le norme degli artt. 11 e 12 sui progetti di utilità collettiva, ma si caratterizzerebbe per una serie articolata di misure di vario genere, che non avrebbero potuto, in ogni caso, ignorare il patrimonio di professionalità maturato in otto anni di interventi legislativi. D'altra parte, le amministrazioni previste dall'art. 12 della legge regionale sarebbero perfettamente libere di scegliere se realizzare o meno interventi nelle aree previste dall'art. 11, nelle quali ben potrebbe porsi, contrariamente a quanto sostenuto dal Commissario dello Stato, l'esigenza di realizzare obiettivi straordinari.
La difesa della Regione sostiene, poi, che i principî fondamentali, che limitano la potestà legislativa concorrente, non andrebbero confusi con specifiche disposizioni di legge statale, consistendo essi, piuttosto, nei criteri ispiratori di carattere generale della disciplina nazionale, che non potrebbero costringere le Regioni ad una attività di mera esecuzione. Né i principî fondamentali, ad avviso della difesa della Regione, possono ricavarsi da una disciplina statale d'urgenza (contenuta in decreti-legge, anche se convertiti), che sarebbe stata, per di più, abrogata da una successiva normativa, sempre in via d'urgenza. L'art. 1 del d.l. 4 dicembre 1995, n. 515 (Disposizioni in materia di lavori socialmente utili, di collocamento, di previdenza e di interventi a sostegno del reddito e di promozione dell'occupazione), avrebbe infatti abrogato parte dell'art. 14 del d.l. n. 299 del 1994, convertito nella legge n. 451 dello stesso anno, di modo che il ricorso del Commissario dello Stato sarebbe, sotto questo profilo, oltre che infondato, anche inammissibile.
Per ciò che riguarda il rilievo mosso dal Commissario dello Stato nei confronti dell'art. 1, comma 3, della legge regionale, la difesa della Regione Siciliana osserva che l'esclusione dai benefici dei coordinatori con contratto di lavoro a tempo pieno rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore e sarebbe fondata sulla "diversa posizione occupata dai soggetti considerati".
In relazione all'impugnazione dell'art. 17 della legge, la difesa regionale sostiene, infine, che la clausola di immediata entrata in vigore configurerebbe una semplice formula di stile, riprodotta in tutti i provvedimenti legislativi e che la normativa comunitaria sarebbe stata pienamente rispettata.
3.-- In prossimità dell'udienza, la Regione Siciliana ha depositato documenti comprovanti l'avvenuta comunica-zione della legge alla Unione Europea.
Considerato in diritto
1.-- Il ricorso di legittimità costituzionale proposto dal Commissario dello Stato in data 18 novembre 1995 riguarda numerose disposizioni della legge della Regione Siciliana approvata dall'Assemblea regionale il 9 novembre 1995 (Norme per l'inserimento lavorativo dei soggetti partecipanti ai progetti di utilità collettiva, di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67, ed interventi per l'attuazione di politiche attive del lavoro).
Sono in particolare impugnati, in riferimento agli artt. 3, 11 e 97 della Costituzione, nonché all'art. 17, lettera f), dello statuto speciale, gli artt. 1, comma 3, 11, 12, commi da 1 a 9, e 17 della legge regionale.
Le censure, nell'ordine risultante dal ricorso, possono essere così sinteticamente riassunte:
a) l'art. 1, comma 3, viene censurato per la troppo restrittiva individuazione dei coordinatori che, in applicazione di precedenti leggi statali o regionali, abbiano partecipato alla realizzazione dei progetti di utilità collettiva: sarebbe stato escluso da ogni provvidenza, con violazione degli artt. 3 e 97 Costituzione, un rilevante numero di coordinatori già inseriti nel mondo del lavoro ed ora arbitrariamente estromessi;
b) gli artt. 11 e 12, commi da 1 a 9, sono censurati per una ragione opposta: i progetti di utilità collettiva rappresenterebbero una forma di sostegno dell'occupazione superata nella legislazione statale. Alle Regioni, anche a quelle ad autonomia speciale, dotate in materia, secondo l'assunto del Commissario, di una semplice competenza attuativa, sarebbe imposto di sostenere solo lavori socialmente utili, in settori innovativi, per il raggiungimento di obbiettivi straordinari delle pubbliche amministrazioni: caratteristiche, queste, delle quali sa- rebbero, tra l'altro, prive alcune delle attività finanziate dalla impugnata legge della Regione Siciliana, che risulterebbe illegittima anche sotto altri più specifici profili;
c) illegittimo, per contrasto con l'art. 11 della Costituzione, sarebbe, infine, l'art. 17 della legge regionale, il quale prevede che la legge stessa entrerà in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione: poiché alcune delle disposizioni della legge prevedono la concessione di contributi e agevolazioni varie (artt. 3, 4, 5, 7, 8 e 10), che si configurano come aiuti di Stato, avrebbe dovuto essere inserita nella legge, ad avviso del ricorrente, una clausola di differimento dell'entrata in vigore all'esito della procedura di verifica comunitaria, secondo quanto previsto dall'art. 93 del trattato istitutivo della Comunità europea.
L'ordine dell'esame delle censure deve essere invertito: la trattazione della questione sub c), che investe la clausola di entrata in vigore della legge, deve essere anteposta, per la sua evidente pregiudizialità; la censura sub a) è poi logicamente incompatibile con i motivi di ricorso qui riassunti sub b): con la prima si denuncia, infatti, il mancato inserimento di un rilevante numero di coordinatori fra i beneficiari delle misure di sostegno ai progetti di utilità collettiva, mentre con i secondi si pretende che tali misure di sostegno siano dichiarate illegittime. Il ricorso del Commissario dello Stato deve essere pertanto interpretato nel senso che la richiesta declaratoria di illegittimità delle provvidenze a favore dei progetti di utilità collettiva costituisca la tesi principale, e che la estromissione di alcuni coordinatori dalla sfera dei beneficiari sia stata denunciata solo in via gradata, per l'ipotesi di mancato accoglimento della tesi che precede nell'ordine di priorità logiche.
2.-- Il Commissario dello Stato ritiene dunque illegittimo l'art. 17 della legge regionale, per aver esso disposto l'entrata in vigore della legge stessa "il giorno successivo a quello della sua pubblicazione" anche in relazione alle disposizioni contenute negli artt. 2, 4, 7 e 10 concernenti, rispettivamente, "promozione sostegno e diffusione di nuove attività imprenditoriali", "incentivazione e sostegno a tutte le forme di lavoro autonomo e alle attività comportanti l'esercizio di arti e professioni -- autoimpiego", "promozione e sostegno di nuove attività imprenditoriali nel comparto agricolo", "contratto a tempo indeterminato -- premio di assunzione", che prevedono, quale forma generale di intervento, ausili finanziari (artt. 3, 5 e 8).
In presenza di disposizioni aventi simili contenuti, che ricadono nella sfera di applicazione dell'art. 92 del trattato istitutivo della CE (Aiuti concessi dagli Stati), la Regione, per non incorrere in violazione delle prescrizioni procedimentali di cui all'art. 93 dello stesso trattato, avrebbe dovuto inserire, ad avviso del Commissario, una clausola di differimento dell'entrata in vigore della legge all'esito eventualmente favorevole della procedura comunitaria di controllo.
La questione non è fondata nei sensi di cui in prosieguo si dirà.
Il paragrafo 3 dell'art. 93 del trattato CE, reso esecutivo con legge 14 ottobre 1957, n. 1203, impone agli Stati membri il duplice obbligo di comunicare alla Commissione i progetti diretti a istituire o modificare aiuti, e di non dare esecuzione alle misure progettate prima che la procedura comunitaria abbia condotto ad una decisione finale.
Al primo dei due obblighi -- ai quali sono vincolate anche le Regioni ad autonomia ordinaria o speciale, nonché le Province autonome -- la Regione Siciliana risulta avere, nella specie, adempiuto.
I competenti uffici della Presidenza della Regione hanno provveduto ad inoltrare, con nota del 18 luglio 1995, l'originario disegno di legge, con nota del 20 settembre il disegno di legge nel testo approvato dalle commissioni legislative, con nota del 12 ottobre 1995 le schede descrittive delle misure di aiuto previste, con nota del 13 novembre 1995 il disegno di legge finalmente approvato dall'Assemblea regionale Siciliana il 9 novembre 1995.
Per quanto concerne il secondo obbligo, di non dare applicazione alle misure progettate fino all'esito favorevole del controllo comunitario, è da escludersi che esso possa considerarsi adempiuto sul mero rilievo che l'art. 93 del trattato vincola anche le pubbliche amministrazioni regionali e che pertanto queste, presumibilmente, si asterranno dal dare esecuzione a quelle parti della legge concernenti aiuti di Stato. In una materia in cui è coinvolta la responsabilità dello Stato nei confronti dell'Unione europea, autonome determinazioni dell'apparato esecutivo della Regione potrebbero rivelarsi insufficienti ad assicurare l'effettività dell'obbligo comunitario ed a scongiurare il pericolo di inadempienze. La garanzia della non applicazione della legge nelle more del controllo ex art. 93 del trattato deve essere fornita, in primo luogo, dal legislatore regionale, attraverso clausole con le quali l'operatività degli ausili sia normativamente subordinata al parere favorevole della Commissione, sicché questi mantengano la qualificazione sostanziale di "progetto" -- come lo stesso trattato impone -- indipendentemente dalla natura dell'atto che formalmente li prevede.
Nel caso portato all'esame di questa Corte, sebbene una clausola di differimento degli effetti della disciplina concernente gli aiuti non sia stata formulata in maniera espressa, come in generale richiederebbero ragioni di certezza, essa -- nel momento in cui la consapevolezza degli obblighi comunitari si sta avviando ad una maggiore maturazione, anche nel complessivo sistema delle autonomie -- non può neppure ritenersi del tutto assente. Una tale clausola può considerarsi, infatti, implicitamente posta dall'art. 1, comma 1, della legge impugnata, nel quale si prevede che alla promozione e al sostegno di politiche del lavoro, finalizzate ad ampliare la base produttiva e a creare nuove opportunità di occupazione, la Regione provvede nel rispetto, tra l'altro, della vigente normativa comunitaria. Quest'ultima locuzione può cessare di apparire generica e divenire sufficientemente individualizzante se interpretata alla luce del trattato CE, la vincolatività del quale è basata sull'art. 11 della Costituzione.
Nei confronti del testo legislativo in questione, nel quale è programmata un'ampia gamma di attività di sostegno alle imprese, l'efficacia dell'art. 93 del trattato è suscettibile di esprimersi sul piano della sua capacità di orientare l'interpretazione dell'art. 1 e di far assumere pregnanza di significato alla clausola in esso contenuta: "nel rispetto della normativa comunitaria". Questa clausola deve essere interpretata nel solo modo che può rendere la legge indenne dal vizio di legittimità costituzionale denunciato dal Commissario dello Stato: nel senso, cioè, che la normativa comunitaria richiamata e di cui è imposto il rispetto riguarda, in particolare, il paragrafo 3 dell'art. 93 del trattato, che -- appunto -- fa divieto di dare esecuzione ai progetti di aiuti prima della conclusione del procedimento comunitario di controllo.
Nei sensi di cui si è ora detto, la questione è pertanto infondata.
3.-- Un secondo gruppo di censure investe gli artt. 11 e 12, commi da 1 a 9, della legge impugnata, per essersi la Regione Siciliana, con tali disposizioni, discostata dalla legislazione statale.
La questione è posta sotto due distinti profili. In primo luogo, ad avviso del ricorrente, nella materia in oggetto (legislazione sociale) la Regione sarebbe titolare di competenza concorrente, ai sensi della lettera f) dell'art. 17 dello statuto speciale, sicché essa avrebbe dovuto attenersi -- e non lo avrebbe fatto -- ai principî che informano la legislazione dello Stato. Secondariamente -- soggiunge lo stesso ricorrente -- tale competenza risulterebbe degradata nella specie da concorrente in meramente attuativa, a causa dell'interesse nazionale sotteso alla materia dell'occupazione, che postulerebbe una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale.
Questa Corte è dunque chiamata a rispondere a due questioni, delle quali la seconda è subordinata alla prima:
a) se ed in quale misura l'interesse nazionale, sotteso alla disciplina statale dell'occupazione, funga da limite nella presente fattispecie alla competenza legislativa regionale;
b) se dalla legislazione statale invocata dal Commissario dello Stato siano, comunque, desumibili principî alla osservanza dei quali sia vincolata la legge regionale, espressione di competenza concorrente.
Il ricorso del Commissario dello Stato è infondato sotto entrambi i profili.
3.1.-- Sul primo punto, il Commissario dello Stato muove dalla premessa che nella giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 368 del 1990, n. 20 del 1989, n. 998 e n. 177 del 1988), la materia dell'occupazione giovanile è suscettibile di coinvolgere l'interesse nazionale e di determinare la conversione delle eventuali competenze regionali, non importa se esclusive o concorrenti, in potestà di mera attuazione della legge statale. Ciò, tuttavia, occorre soggiungere, a condizione che l'interesse nazionale sia posto dal legislatore e si sia tradotto in positive determinazioni della legge statale che, per la loro pregnanza e puntualità, non tollerino altro intervento della Regione che non sia meramente attuativo. Non è, infatti, plausibile l'ipotesi che l'interesse nazionale costituisca un limite ontologico e abbia la capacità di far tacere ogni competenza della Regione, al di là della sua effettiva concretizzazione in norme legislative statali.
Nella sentenza invocata dal Commissario dello Stato (sentenza n. 368 del 1990), e nelle altre che si sono richiamate, l'interesse nazionale non viene in considerazione a priori, come autonomo fattore di erosione della competenza regionale, ma solo a posteriori, in presenza di una legge statale che lo abbia positivizzato e nei limiti entro i quali tale positivizzazione sia avvenuta. Risponde, del resto, ad una corretta ripartizione di attribuzioni tra i diversi organi costituzionali il fatto che l'apprezzamento dell'interesse nazionale sia compiuto dapprima in sede politica, da parte del Parlamento, e solo successivamente, in sede di controllo di legittimità costituzionale, ad opera di questa Corte, alla quale spetterà giudicare della congruità dell'apprezzamento compiuto dal legislatore nazionale, anche alla luce dei valori costituzionali coinvolti e del loro grado di cogenza, nonché della ragionevolezza della limitazione imposta alla competenza regionale. Pertanto, la compressione di questa competenza, fino al punto di vanificarla o ridurla ad un livello di pura attuazione, non può essere predicata se non sulla base di una positiva ed inequivoca scelta in tal senso dello stesso legislatore statale.
Se ora si passa all'esame della fattispecie, risulta evidente, diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, che la materia dell'occupazione, nella disciplina statale, appare articolata in due distinte aree, quasi due submaterie: l'occupazione in genere e l'avviamento dei giovani al lavoro nelle aree ad alta disoccupazione, che formano oggetto di regolamentazione differente.
La prima regolamentazione denota effettivamente l'intendimento dello Stato di comprimere al massimo la competenza legislativa della Regione e di ridurla al livello di una potestà di mera attuazione; la seconda, invece, pur prevedendo presupposti e limiti per l'erogazione delle provvidenze statali, non preclude, né esplicitamente, né implicitamente, autonomi interventi delle Regioni nell'esercizio delle rispettive competenze costituzionali.
Infatti, l'art. 14 del d.l. 16 maggio 1994, n. 229, convertito nella legge 19 luglio 1994, n. 451, sotto la rubrica "Lavori socialmente utili", prevede che le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (e, quindi, anche le amministrazioni regionali) possano promuovere progetti socialmente utili aventi determinate caratteristiche, finalizzati al sostegno dell'occupazione in genere. Tali progetti -- dispone il comma 7 dello stesso articolo -- possono essere finanziati dai soggetti proponenti (tra i quali, come detto, le Regioni), nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio e, per gli anni 1994 e 1995, dal Fondo per l'occupazione. E' qui evidente la volontà del legislatore di vincolare il sostegno dell'occupazione, anche quando impegni autonome disponibilità di bilancio delle Regioni, allo schema predisposto dalla legge statale. Tale schema, come più oltre si dirà, è peraltro assai labile: le caratteristiche dei lavori socialmente utili, previste dal citato art. 14 (innovatività del settore ed effettiva straordinarietà), alle quali fa riferimento il Commissario dello Stato, non possiedono più alcuna efficacia individualizzante, poiché il successivo d.l. 4 dicembre 1995, n. 515, reiterato da ultimo con il d.l. 3 giugno 1996, n. 300, nel rifinanziare il Fondo per l'occupazione, in attesa di una preannunciata revisione della disciplina dei lavori socialmente utili, ha eliminato i suddetti requisiti di innovatività e straordinarietà, sicché dei lavori socialmente utili è rimasta poco più che la denominazione, alla quale non corrisponde un contenuto che consenta di distinguerli dai progetti di utilità collettiva contro i quali insorge il Commissario dello Stato. E già questa constatazione fa sorgere il dubbio se dalla vigente disciplina dei lavori socialmente utili scaturisca davvero un vincolo per le Regioni, che intendono intervenire con proprie autonome provvidenze, a riprodurre uno "schema" della legge statale così esiguo, oltreché provvisorio.
Ma la conferma che, nella specie, permane la competenza legislativa delle Regioni, la si ottiene considerando la diversa disciplina finanziaria concernente i sostegni per l'occupazione giovanile, regolati dall'art. 15 del d.l. n. 229 del 1994. Anche in questo caso, è vero, lo schema di intervento è prevalentemente quello dei lavori socialmente utili e tuttavia tale schema -- esiguo nel contenuto, come si è detto -- è operante con riferimento ai soli progetti finanziati dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale con il Fondo per l'occupazione (comma 8). Nulla dice, infatti, l'art. 15 circa i progetti finanziati dalle Regioni nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio. E il silenzio della legge su questo punto deve essere interpretato non già nel senso che le Regioni siano vincolate a finanziare progetti corrispondenti a quelli previsti dalla legge dello Stato, ma nel senso che resti integra la possibilità per esse di legiferare, nei limiti delle rispettive competenze. Ciò vuol dire che l'interesse nazionale, indubbiamente sotteso anche agli interventi a favore dell'occupazione giovanile, si è positivizzato nella legislazione statale negli esatti limiti entro i quali il Parlamento ha ritenuto di doverlo far valere, e non oltre; con la conseguenza che, per i progetti finanziati con le disponibilità proprie, la Regione Siciliana è tuttora legittimata a legiferare nei limiti della propria competenza concorrente.
Sotto questo profilo la questione appare pertanto infondata.
3.2.-- Il ricorso del Commissario va poi respinto anche in relazione alla seconda questione che esso prospetta, poiché la legge regionale impugnata non viola alcun principio della legislazione statale in materia di sostegno all'occupazione.
La tesi avanzata dal ricorrente, secondo cui gli artt. 14 e 15 del d.l. n. 229 del 1994, convertito nella legge n. 451 dello stesso anno, avrebbero innovato alla precedente legislazione statale a livello di principî, non può essere condivisa.
Le diversità tra la disciplina dei lavori socialmente utili e quella concernente i progetti di utilità collettiva, pure esistenti, investono ormai, come si è detto, aspetti di mero dettaglio, ma non la struttura, che rimane nella sua essenza inalterata e che denota un intendimento del legislatore nazionale, in ciò seguito quasi pedissequamente dal legislatore siciliano, di contribuire ad alleviare la drammaticità della questione dell'occupazione giovanile con misure molteplici, tutte caratterizzate dal fatto che la percezione del temporaneo beneficio venga vincolata alla prestazione di attività lavorative. Si può anzi dire che la legge impugnata, avendo ripartito gran parte delle provvidenze stanziate tra progetti di utilità collettiva (art. 12, commi da 1 a 9) e lavori socialmente utili (art. 12, commi da 10 a 12), riproduce i modelli, scarsamente differenziati o pressoché omogenei, nei quali è venuta articolandosi, senza sostanziali innovazioni di principio, la legislazione statale.
Si deve, peraltro, osservare che, nelle materie di competenza concorrente, i principî fondamentali risultanti dalla legislazione statale esistente assolvono alla funzione loro propria, che è quella di unificare il sistema delle autonomie ai livelli più elevati, solo quando hanno carattere di stabilità ed univocità. E non può essere affermata l'esistenza di un principio là dove la legislazione statale si risolva in un avvicendamento di provvedimenti comprendenti anche decreti-legge a contenuto precario, perché non convertiti. Ciò tanto più se l'ultimo di essi, anziché stabilizzare, renda ancor più precaria la disciplina dettata poco prima.
Il richiamato decreto-legge 3 giugno 1996, n. 300, ultimo di una catena ininterrotta di reiterazioni, è in effetti inidoneo a contenere principî vincolanti le competenze legislative regionali concorrenti innanzitutto per ragioni di forma, perché l'esercizio di tali competenze postula l'affidamento delle Regioni nella effettività e quindi stabilità dei principî. In secondo luogo per motivi di contenuto, giacché nel decreto-legge in questione la disciplina dei lavori socialmente utili, recata dal d.l. n. 229 del 1994, convertito nella legge n. 451 dello stesso anno, viene esplicitamente qualificata come temporanea o provvisoria, valevole "in attesa della revisione dei lavori socialmente utili", come testualmente recita il primo comma dell'art. 1. Ciò porta a ritenere estraneo al provvedimento l'intento di porre norme di principio per le Regioni ed evidente, invece, l'intendimento opposto: rendere instabili le classificazioni risultanti dalla pregressa disciplina e privarle, per ciò stesso, della attitudine a porsi come normativa di principio.
4.-- Sono del pari infondate le altre più particolari censure svolte dal Commissario dello Stato, secondo il quale gli artt. 11 e 12 della legge impugnata violerebbero l'art. 3 Cost., poiché, anziché provvedere alla generalità dei disoccupati dell'isola, conterrebbero provvidenze a favore di soli trentamila giovani, già beneficiari dei precedenti sostegni temporanei. Essendo da escludere che con un'unica legge il legislatore regionale debba far fronte alla disoccupazione nell'intera isola, rientra nella sua discrezionalità stabilire le priorità di intervento, in relazione alle concrete condizioni socio-economiche locali.
Né contravviene all'interesse nazionale alla riuscita della riforma del pubblico impiego, come assume il ricorrente, la circostanza che le disposizioni impugnate non prevedono espressamente la non utilizzabilità dei lavoratori precari da parte delle amministrazioni pubbliche che abbiano personale in esubero. La corretta interpretazione della legge induce a ritenere operante tale divieto, che risponde, prima ancora che all'interesse nazionale, al principio costituzionale di buon andamento, vincolante anche sul piano dell'interpretazione.
E' poi da escludere che l'art. 97 Cost. sia violato, per il fatto che le fondazioni, alle quali la Regione contribuisce annualmente, sono state inserite nella legge tra le possibili promotrici di progetti di utilità collettiva. I principî di imparzialità e di buon andamento non portano ad escludere a priori che, ai fini di un più soddisfacente inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, opportunità comparativamente migliori possano essere offerte, nei singoli casi, da progetti di utilità collettiva elaborati da fondazioni già beneficiarie di contributi regionali.
5.-- L'ultima censura del Commissario -- la prima del suo ricorso -- riguarda l'art. 1, comma 3, nella parte in cui, per quanto concerne i coordinatori dei progetti di utilità collettiva, limita le provvidenze a favore di coloro che risultano "iscritti nella prima classe delle liste di collocamento e che abbiano mantenuto tale requisito sin dall'atto della prima assunzione nei progetti". La previsione di un criterio in base al quale la permanente qualifica di giovane disoccupato viene ancorata ad un fatto certo, quale l'iscrizione ab initio nella prima classe delle liste di collocamento, non determina violazione dei canoni di imparzialità e buon andamento e costituisce esercizio non arbitrario né irragionevole della discrezionalità del legislatore siciliano.
6.-- Essendo intervenute, nelle more del giudizio, la promulgazione e la pubblicazione della legge regionale 21 dicembre 1995, n. 85, che hanno completato l'iter procedimentale connesso alla delibera legislativa di cui è causa, la pronuncia della Corte va adottata nei confronti di tale legge.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 17 della legge della Regione Siciliana 21 dicembre 1995, n. 85 (Norme per l'inserimento lavorativo dei soggetti partecipanti ai progetti di utilità collettiva, di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67, ed interventi per l'attuazione di politiche attive del lavoro), sollevata, in riferimento all'art. 11 Cost., dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 3, 11 e 12, commi da 1 a 9, della legge della Regione Siciliana 21 dicembre 1995, n. 85, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., e all'art. 17, lettera f), dello statuto speciale, dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1996.
Luigi MENGONI, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in cancelleria il 22 luglio 1996.