ORDINANZA N. 220
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 29 luglio 1981, n. 406 (Misure urgenti contro la abusiva duplicazione, riproduzione, importazione, distribuzione e vendita di prodotti fonografici non autorizzati), promosso con ordinanza emessa il 9 marzo 1995 dal Pretore di Vicenza, sezione distaccata di Schio, nel procedimento penale a carico di Cisse Ibra, iscritta al n. 689 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visti gli atti di intervento della S.I.A.E. e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 marzo 1996 il Giudice relatore Valerio Onida.
RITENUTO che -- nel corso di un procedimento penale in cui veniva contestato all'imputato il reato di cui all'art. 1 della legge 29 luglio 1981, n. 406 (Misure urgenti contro la abusiva duplicazione, riproduzione, importazione, distribuzione e vendita di prodotti fonografici non autorizzati), per avere egli detenuto per la vendita n. 23 musicassette abusivamente riprodotte -- il Pretore di Vicenza, sezione distaccata di Schio, con ordinanza emessa il 9 marzo 1995, pervenuta a questa Corte il 25 settembre 1995, ha sollevato, su istanza di parte, questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della norma di cui al citato art. 1 della legge n. 406 del 1981;
che, ad avviso del giudice remittente, la norma denunciata -- la quale punisce il comportamento di chi "abusivamente riproduce a fini di lucro, con qualsiasi procedimento di duplicazione o di riproduzione, dischi, nastri o supporti analoghi, ovvero, pur non essendo concorso nella riproduzione, li pone in commercio, li detiene per la vendita o li introduce a fini di lucro nel territorio dello Stato" -- sanziona con la medesima pena, sia pure contenuta nei limiti di un minimo e di un massimo edittali, "condotte tra di loro estremamente disomogenee ed in alcuni casi, come invero nel caso di specie, di offensività sociale estremamente ridotta e marginale", le quali ultime verrebbero ad essere parificate al comportamento di chi, "a fini di lucro, in modo sistematico o addirittura su scala industriale organizza procedimenti di duplicazione e/o di riproduzione di dischi, nastri o supporti analoghi";
che pertanto, secondo il giudice a quo, sarebbe leso il principio di eguaglianza e apparirebbe necessario l'intervento del giudice delle leggi "al fine di ricondurre la norma censurata in un sistema di diversa e più equa razionalità punitiva";
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata, in quanto il regime sanzionatorio stabilito trova il suo fondamento in una scelta di politica legislativa volta a combattere la diffusione del fenomeno criminoso della "pirateria" fonografica; e facendo inoltre presente che la disposizione impugnata è stata abrogata e sostituita dall'art. 171-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), aggiunto dall'art. 17 del decreto legislativo 16 novembre 1994, n. 685 (Attuazione della direttiva 92/100/CEE concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto d'autore in materia di proprietà intellettuale), il quale ha ricondotto nell'ambito di una fattispecie più ampia (comprendente anche le ipotesi di riproduzione di opere cinematografiche o televisive e di duplicazione di supporti contenenti videogrammi, nonché le ipotesi di noleggio di duplicazioni o riproduzioni abusive) la previsione sanzionatoria della norma qui censurata, senza però modificare le pene già da questa previste;
che è intervenuta altresì la Società italiana autori ed editori (SIAE), non costituita nel giudizio a quo, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per irrilevanza -- attesa la intervenuta abrogazione della norma denunciata -- o comunque infondata: osservando fra l'altro che per tutte le ipotesi punite è richiesto il dolo specifico del fine di lucro;
che l'interveniente ha ribadito e ulteriormente argomentato tali conclusioni in una memoria depositata in prossimità della camera di consiglio, ove si osserva in particolare che la norma in questione ha inteso punire comportamenti anche solo potenzialmente lesivi del bene tutelato, e che l'uguale trattamento sanzionatorio risponde all'intento di ottenere il massimo grado di efficacia della sanzione penale.
CONSIDERATO preliminarmente che la SIAE non era presente nel procedimento a quo -- del quale neppure può essere considerata parte necessaria --, e che essa non è portatrice di posizioni giuridiche direttamente coinvolte in conseguenza della proposizione dell'incidente di costituzionalità, sicché l'intervento spiegato nel presente giudizio è inammissibile;
che non osta alla ammissibilità della questione sollevata la intervenuta abrogazione della disposizione denunciata ad opera dell'art. 20 del decreto legislativo 16 novembre 1994, n. 685, posto che l'art. 17 del medesimo decreto, che ha riformulato la norma in un contesto più ampio, ha lasciato immutate le pene previste, e non ha dunque inciso sulla applicabilità della norma ai fatti -- come quello oggetto del giudizio a quo -- commessi nel vigore della norma nella sua formulazione originaria;
che, nel merito, la denunciata lesione del principio di eguaglianza non sussiste, in quanto, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, è rimessa alla discrezionalità del legislatore la commisurazione delle pene comminate in relazione ai diversi comportamenti penalmente sanzionati, col solo limite della non irragionevolezza delle scelte effettuate (cfr. ad es. sentenza n. 333 del 1991, e ivi altri riferimenti; sentenza n. 25 del 1994);
che, in particolare, entro il medesimo limite, al legislatore è consentito anche "includere in uno stesso modello di genere una pluralità di sotto-fattispecie diverse per struttura e disvalore" (sentenza n. 285 del 1991; cfr. anche sentenza n. 67 del 1992);
che, nel caso in esame, la scelta del legislatore non appare irragionevole, specie ove si tenga conto, da un lato, del fine commerciale o di lucro come requisito necessario per la punibilità del comportamento di detenzione per la vendita dei dischi, nastri o supporti analoghi abusivamente riprodotti; dall'altro lato, dell'ampio arco di graduabilità della pena tra il minimo e il massimo edittali, stabiliti rispettivamente in tre mesi di reclusione e lire 500.000 di multa, e in tre anni di reclusione e lire 6 milioni di multa, con un minimo di sei mesi di reclusione e di lire 1 milione di multa "se il fatto è di rilevante gravità": onde il giudice dispone della possibilità di adeguare la pena in concreto inflitta alla effettiva gravità del fatto;
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integra-tive per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 29 luglio 1981, n. 406 (Misure urgenti contro la abusiva duplicazione, riproduzione, importazione, distribuzione e vendita di prodotti fonografici non autorizzati), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Vicenza, sezione distaccata di Schio, con l'ordinanza in epigrafe indicata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Depositata in cancelleria il 25 giugno 1996.