Sentenza n. 43 del 1996

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SENTENZA N.43

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 2 maggio 1995 dal Pretore di Catania - sezione distaccata di Giarre - nel procedimento civile vertente tra Corbo Mariangela e Ministero del lavoro ed altri, iscritta al n. 501 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di costituzione di Corbo Mariangela nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 23 gennaio 1996 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

udito l'avvocato Massimo D'Antona per Corbo Mariangela e l'Avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio proposto da Mariangela Corbo per il riconoscimento del proprio diritto a fruire della indennità di maternità in seguito ad interdizione ed astensione obbligatoria dal rapporto di lavoro instaurato, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67, con la cooperativa Noemi, il Pretore di Catania, sezione distaccata di Giarre, con ordinanza emessa il 2 maggio 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 23 della citata legge nella parte in cui esclude la configurabilità del rapporto di lavoro de quo come di natura subordinata e, comunque, nella parte in cui non prevede l'applicabilità alla fattispecie degli artt. 4, 5 e 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 sulla tutela delle lavoratrici madri.

Il giudice a quo, dopo aver premesso che l'interessata ha svolto la propria attività lavorativa in condizione di subordinazione, rileva che la norma impugnata, nel qualificare il rapporto come "rapporto di lavoro non subordinato", determinerebbe la violazione degli artt. 3 e 37 della Costituzione in quanto la lavoratrice non potrebbe usufruire della previdenza a favore delle lavoratrici madri di cui agli artt. 4, 5 e 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, diversamente da quanto stabilito in favore delle altre categorie di lavoratrici subordinate e in dispetto dei fondamentali principi posti a tutela della donna e della maternità.

A sostegno delle censure il giudice rimettente richiama la sentenza n. 121 del 1993 di questa Corte, in base alla quale non è consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica di lavoro subordinato a rapporti che tale natura rivestono ove da ciò consegua l'inapplicabilità di norme inderogabili a tutela del lavoro subordinato, e la circolare dell'Assessorato del lavoro della Regione Siciliana n. 1553 del 28 giugno 1993 secondo cui anche al rapporto ibrido di cui all'art. 23 della legge n. 67 del 1988 devono essere applicate le norme poste a tutela delle lavoratrici madri.

2.- Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituita la parte privata chiedendo, in via principale, l'accoglimento della sollevata questione di costituzionalità, ed in via subordinata una declaratoria di non fondatezza della questione interpretando le norme impugnate nel senso di non escludere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato ove il rapporto oggetto del giudizio a quo presenti contenuti e modalità proprie del rapporto di lavoro subordinato.

3.- E' anche intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la inammissibilità o per l'infondatezza della proposta questione.

La difesa erariale rileva in primo luogo che la questione andrebbe dichiarata inammissibile per una serie di considerazioni; il giudice rimettente avrebbe infatti omesso di valutare pregiudizialmente l'ammissibilità del ricorso innanzi a lui proposto, non avendo considerato che la domanda di corresponsione dell'indennità di maternità è stata formulata nei confronti di soggetti non legittimati passivamente quali il Ministero del lavoro, l'Assessorato al lavoro della Regione siciliana, l'Ufficio provinciale del lavoro e la cooperativa Noemi, mentre non risulta la chiamata in causa dell'INPS cui compete il pagamento della provvidenza invocata. Da ciò conseguirebbe, rileva l'Avvocatura, l'inammissibilità del ricorso introduttivo e la irrilevanza del dubbio di costituzionalità sollevato.

Dall'ordinanza di rimessione, inoltre, non emergerebbe in modo chiaro se il rapporto di lavoro, che si assume di natura subordinata, sia intercorso con il Comune di Riposto ovvero con la cooperativa Noemi, e quindi se si sia in presenza di un rapporto di impiego pubblico o privato. In proposito, osserva la difesa che ove il giudice a quo avesse ritenuto la ravvisabilità di un rapporto di impiego pubblico, sussisterebbe un ulteriore motivo di inammissibilità risultando la questione di costituzionalità sollevata da un giudice giurisdizionalmente incompetente.

Ove invece si volesse dare prevalenza alla astratta definizione del rapporto di lavoro fornita dalla norma impugnata, l'ordinanza di rimessione sarebbe carente di motivazione avendo il rimettente omesso di considerare se il diritto all'indennità di maternità potesse essere riconosciuto sulla base della legge 29 dicembre 1987, n. 546, che ha esteso la sfera dei soggetti beneficiari della tutela a nuove categorie di lavoratrici.

In altri termini, non risulterebbe dimostrata la tesi secondo cui il riconoscimento del diritto invocato sarebbe impedito dalla qualificazione del rapporto di lavoro effettuata dalla norma impugnata.

Nel merito, osserva l'Avvocatura che, essendo l'art. 23 della legge n. 67 del 1988 finalizzato alla realizzazione di iniziative a livello locale temporalmente limitate e di utilità collettiva attraverso l'impiego di giovani disoccupati, la precisazione che tale attività lavorativa non comporta l'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato appare coerente con gli obiettivi della legge e con la natura e le modalità di espletamento delle prestazioni richieste.

4.- In prossimità dell'udienza la difesa della ricorrente ha presentato memoria insistendo per l'accoglimento delle già formulate conclusioni.

Inoltre la difesa ha osservato che la sopravvenuta legge della Regione Siciliana 21 dicembre 1995, n. 85, la cui incidenza nel giudizio di merito andrebbe rimessa alle valutazioni del giudice a quo, conferma la fondatezza delle sollevate questioni, in quanto inquadra nell'ambito del lavoro subordinato quel medesimo rapporto che, in base alla legislazione previgente applicata nel giudizio a quo, non potrebbe assumere tale natura per espressa disposizione normativa.

Conclude pertanto la difesa chiedendo, in via principale, una declaratoria di incostituzionalità della norma impugnata; in subordine, una sentenza interpretativa di rigetto secondo la quale la norma impugnata dovrebbe interpretarsi nel senso della sua non applicabilità ai rapporti di lavoro più volte prorogati; ed in ulteriore subordine, una pronuncia di rimessione degli atti al giudice a quo affinché valuti la persistenza della rilevanza della questione alla stregua dello ius superveniens rappresentato dalla legge regionale 21 dicembre 1995, n. 85.

Considerato in diritto

1.- E' stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), nella parte in cui esclude la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato e, comunque, nella parte in cui non prevede l'applicabilità alla fattispecie delle previdenze a favore delle lavoratrici madri di cui agli artt. 4, 5 e 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204.

In particolare il giudice a quo lamenta la violazione dell'art. 3 della Costituzione in quanto a fronte di uguali condizioni di subordinazione lavorativa di fatto verrebbero discriminate le lavoratrici assunte ai sensi dell'art. 23 della legge n. 67 del 1988; dell'art. 37 della Costituzione in quanto l'esclusione delle previdenze in favore delle lavoratrici madri determinerebbe la violazione dei principi posti a tutela della donna e della maternità.

2.- Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità della questione sollevate dall'Avvocatura generale dello Stato.

La difesa della Presidenza del Consiglio dei ministri eccepisce che il giudice rimettente avrebbe omesso di valutare pregiudizialmente l'ammissibilità del ricorso innanzi a lui proposto per non essere stata la domanda di corresponsione dell'indennità di maternità formulata nei confronti dell'INPS quale unico soggetto passivamente legittimato. Per respingere tale eccezione è sufficiente osservare, come più volte affermato da questa Corte (sentenze nn. 468 e 173 del 1994), che la verifica della legittimazione delle parti e il riscontro dell'interesse ad agire sono rimessi alla valutazione del giudice rimettente e non sono soggetti a controllo nel giudizio di costituzionalità.

Rileva inoltre l'Avvocatura che l'ordinanza di rimessione difetterebbe di motivazione in punto di rilevanza, non emergendo con chiarezza se il rapporto di lavoro in questione fosse intercorso con il Comune di Riposto ovvero con la cooperativa Noemi e quindi se si trattasse di impiego di natura pubblica o privata con conseguente difetto di giurisdizione del giudice a quo nel primo caso.

In proposito, va osservato che, secondo il costante orientamento di questa Corte, stante l'autonomia del giudizio di costituzionalità rispetto a quello dal quale proviene la questione sollevata, la Corte, in sede di verifica dell'ammissibilità, può rilevare il difetto di giurisdizione o di competenza del giudice rimettente solo ove questo appaia tanto evidente che nessun dubbio possa aversi sulla sussistenza di quel vizio (sentenze nn. 349 e 288 del 1993). Nel caso di specie non ricorrono tali estremi; ché anzi la ritenuta giurisdizione discende dalla stessa qualificazione data dal giudice al rapporto in questione come di natura privata perché intercorrente con la cooperativa Noemi, cui l'interessata aveva comunicato la propria volontà di astenersi dal lavoro per maternità e successivamente richiesto il pagamento della relativa indennità.

3.- Osserva ancora l'Avvocatura dello Stato che il rimettente avrebbe omesso di considerare se il diritto all'indennità in questione potesse essere riconosciuto sulla base di altre disposizioni, quali quelle contenute nella legge 29 dicembre 1987, n. 546, che ha esteso la sfera dei soggetti beneficiari della tutela a nuove categorie di lavoratrici; in altri termini, non sarebbe stata sufficientemente dimostrata la tesi - sostenuta dal giudice a quo - secondo cui il riconoscimento del diritto invocato è impedito dalla qualificazione legislativa del rapporto di lavoro espressa nella norma sospettata di incostituzionalità.

Questa eccezione appare sostanzialmente fondata, pur se l'inammissibilità della questione va ravvisata anche in altre ragioni che saranno ora precisate.

4.- Va premesso che l'impugnato art. 23 della legge n. 67 del 1988 aveva previsto per gli anni 1988, 1989 e 1990 il finanziamento di iniziative a livello locale "temporalmente limitate" consistenti nello svolgimento di "attività di utilità collettiva" mediante l'impiego, a tempo parziale, di giovani privi di occupazione ed iscritti nella prima classe delle liste di collocamento.

Allo scadere del triennio considerato dalla normativa statale, la Regione Siciliana ha emanato una serie di provvedimenti legislativi con i quali ha esteso la durata massima dei progetti di utilità collettiva di cui all'art. 23 della legge statale richiamata. Ed invero, la durata dei progetti è stata portata dapprima fino al 30 giugno 1992 con la legge regionale n. 27 del 1991, quindi fino al 31 dicembre 1993 con la legge n. 5 del 1992, ed infine fino al gennaio del 1996 con la legge n. 25 del 1993; inoltre con la legge regionale n. 85 del 1995 sono state adottate misure per l'inserimento dei giovani impegnati nei progetti di utilità collettiva, precisandosi che l'impiego dei giovani nei "nuovi" progetti avverrà in base a contratti di diritto privato a tempo determinato e/o parziale.

5.- Dalla descritta sequenza normativa risulta che la fonte del rapporto di lavoro in questione non può più essere considerata la norma statale impugnata, avendo essa esaurito i propri effetti nel triennio 1988-1990. D'altra parte le successive disposizioni (cui peraltro non viene riferita alcuna censura) delle leggi regionali, pur estendendo di volta in volta la durata massima dei progetti di utilità collettiva, non hanno previsto alcuna qualificazione legislativa del rapporto né potevano ovviamente protrarre l'efficacia di tutte le disposizioni della legge dello Stato. E dal momento che l'evento maternità si è verificato nell'anno 1993, la norma statale impugnata appare in ogni caso insuscettibile di trovare applicazione nel caso concreto.

Pertanto, non potendo applicarsi nella specie la normativa di cui all'impugnato art. 23 della legge n. 67 del 1988, che secondo il giudice a quo non consentirebbe il riconoscimento del diritto della lavoratrice alla indennità di maternità (che è previsto da una serie di altre norme), la questione deve essere dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione dal Pretore di Catania, sezione distaccata di Giarre, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 febbraio 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 23 febbraio 1996.