SENTENZA N. 468
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, lett. a), della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980, n. 19 (Norme sul referendum consultivo per l'istituzione di nuovi Comuni, e modificazione delle circoscrizioni e denominazioni comunali, in attuazione dell'art. 133, secondo comma, della Costituzione), promosso con ordinanza emessa il 24 marzo 1994 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi riuniti proposti da Vinciguerra Franco ed altri contro il Prefetto della Provincia di Roma ed altri, iscritta al n. 615 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visti gli atti di costituzione di Vinciguerra Franco ed altri, del Comune di Boville e della Regione Lazio;
udito nell'udienza pubblica del 13 dicembre 1994 il Giudice relatore Mauro Ferri;
uditi gli avvocati Alessandro Pace per Vinciguerra Franco ed altri, Giorgio Marino per il Comune di Boville, e Achille Chiappetti per la Regione Lazio.
Ritenuto in fatto
1. Il TAR del Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980 n. 19, come modificato dalla successiva legge Regionale 20 agosto 1987 n.49, per contrasto con l'art. 133, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non diversifica il procedimento referendario per l'istituzione di nuovi Comuni a seconda che si tratti di distacco di una o più frazioni ovvero di vero e proprio smembramento della originaria comunità.
2. Il giudice remittente premette che avanti a sè è stato impugnato il decreto di sospensione della indizione dei comizi elettorali del Comune di Marino, quale primo atto inteso a dare esecuzione alla istituzione autonoma del Comune di Boville, per separazione da quello di Marino, prospettando tra gli altri motivi, la violazione dell'art.133 - secondo comma - della Costituzione, da parte dell'art. 1 - comma secondo, lett. a) - della legge regionale Lazio 8 aprile 1980, n.19 (con conseguente illegittimità derivata del decreto prefettizio impugnato), in quanto sono stati chiamati ad esprimersi sul referendum soltanto i cittadini residenti nelle frazioni da distaccare e non tutti i cittadini di Marino.
3. Condividendo la tesi prospettata dai ricorrenti, il TAR del Lazio ritiene che il problema di legittimità costituzionale si incentri tutto sulla locuzione "popolazioni interessate", dettata dalla norma costituzionale, con riferimento al fatto se queste siano solo quelle delle frazioni che chiedono il distacco da un Comune già costituito, ovvero se si debba intendere tutta la popolazione dell'originario ente locale, chiamata, nel caso in esame, a consentire o meno lo smembramento del Comune.
Entrerebbero in gioco due principi ordinamentali entrambi rinvenienti da norme costituzionali: quello della cosiddetta autodeterminazione, per il quale un soggetto o un gruppo può scegliere alcune caratteristiche della propria esistenza giuridica, e quello della volontà della maggioranza di una collettività, per il quale la modifica di qualsiasi elemento costitutivo deve essere deciso dal maggior numero dei soggetti che partecipano della originaria composizione; il tutto trasfuso nell'altro principio ordinamentale, di carattere fondamentale, per il quale gli enti locali sono, sì autonomi, ma non anche indipendenti, per cui ogni loro decisione deve pur sempre rapportarsi agli interessi della comunità organizzata in ordinamento sovrano.
4. Ove quindi si ricerchi il "quid intermediationis", prosegue il TAR del Lazio, cioé il delicato punto di equilibrio ordinamentale nel quale entrambe le esigenze della collettività prima evidenziate possono trovare composizione satisfattiva, occorre considerare che i gruppi organizzati di carattere pubblico, come nella specie gli enti locali di carattere comunale, sono tali perchè i singoli soggetti che ne fanno parte hanno fra loro una qualche comunanza più o meno intensa, che non è mai solo l'elemento oggettivo del territorio ma che si connette ad usi, costumi, dialetti, cemento storico, comunanze geografiche, coerenza sociale, costumanze religiose, specificità folcloristiche, ecc., per cui il "gruppo sociale" prima di essere tale, si "sente" tale e la sovrapposizione istituzionale finisce soltanto per dare riconoscimento ad una realtà già aggregata.
Se questo è probabilmente il dato di base, è fuori discussione che l'ordinamento nazionale, nella ricerca di quel consenso che forma e rafforza il suo prestigio e la sua vitalità, non può che favorire movimenti al suo interno che tendano a compattare e ad omogeneizzare le singole strutture sociali di cui esso di compone.
Non, quindi, qualsiasi richiesta di qualsiasi gruppo in qualsiasi momento può essere presa in considerazione per smembrare unità sociali che presentano caratteri di compattezza, ma soltanto quelle richieste che sono collegate con un gruppo che ha una nitida differenziazione complessiva che lo rende già di per sè autonomo, come è potuto accadere per il recente scorporo del Comune di Fiumicino dal Comune di Roma, dove era evidente il rapporto puramente amministrativo che collegava le due comunità.
In casi del genere, prosegue il remittente, è fuori discussione che basta la manifestazione della volontà del gruppo che intende distaccarsi; questo è già esistente come fatto sociologicamente distinto, è collegato con un'area geografica eccentrica rispetto al capoluogo, ed ha quindi una sua caratterizzazione distintiva, per cui l'autonomia amministrativa non può che discendere dalla volontà degli autonomisti, potendosi vanificare un fatto naturale per una questione di maggioranza già di per sè precostituita, nel caso si ammettesse al voto l'intera cittadinanza.
Diverso sarebbe invece il caso, come nel Comune di Marino, allorquando la richiesta di distacco non proviene da una precisa e ben identificata (per elementi storico-sociali propri) comunità di cittadini, ma scaturisce invece dall'interno della stessa comunità, da parte di quasi i due terzi dei cittadini dell'originaria comunità, perchè in questo caso non si tratta di far conseguire l'autonomia ad un gruppo che già la possiede, ma si tratta invece di operare lo smembramento di una collettività organica, determinando, essa sì, una suddivisione che può essere artificiale e che, quindi, l'ordinamento ha interesse ad evitare.
5. É intervenuto nel giudizio il Presidente della Giunta regionale del Lazio concludendo per l'inammissibilità, o comunque per l'infondatezza, della questione.
Quanto all'inammissibilità, la Regione sostiene che la questione mira a richiedere alla Corte una decisione "manipolativa" al fine di introdurre una norma che il legislatore regionale non aveva ritenuto opportuno adottare: con ciò denunciando un vizio di merito della legge ma non un vizio di legittimità costituzionale.
6. Sarebbe comunque evidente l'infondatezza della questione, prosegue la Regione, in quanto la legge impugnata consente alla popolazione interessata al processo di autonomia di esprimere adeguatamente il proprio parere sul procedimento per l'istituzione del nuovo Comune, poichè essa, a tali fini, deve coincidere con la popolazione che viene direttamente coinvolta dalla nuova istituzione. Nel caso non potrebbe porsi in dubbio che la popolazione direttamente interessata coincide con la popolazione residente nei territori che formeranno il nuovo Comune.
Gli argomenti prospettati dal giudice a quo non potrebbero essere condivisi poichè con essi il remittente sembra preoccuparsi di estendere il più possibile il suffragio anche a popolazioni che potrebbero solo subire una mera influenza dall'istituzione di un nuovo Comune.
7. Si è costituito in giudizio il Comune di Boville, in persona del commissario prefettizio protempore, concludendo per l'inammissibilità e per l'infondatezza della questione.
Dopo aver premesso alcune considerazioni sulla legittimazione ad agire dei ricorrenti e sul loro interesse a proporre il ricorso avanti il TAR remittente, il Comune di Boville richiama la sent. n. 453 del 1989 della Corte per concludere che il diritto costituzionale di autodeterminazione spetta esclusivamente agli elettori residenti nell'area territoriale oggetto della variazione, e non alla popolazione di tutto il Comune da trasformare.
Fermo restando, sottolinea il Comune, che anche accertata la effettiva volontà della popolazione, il potere di costituire o meno nuovi enti locali spetta comunque alla Regione quale atto di responsabilità socio-politica derivante dall'art. 117 della Costituzione.
8. Si sono altresì costituiti i ricorrenti nel giudizio a quo concludendo per la fondatezza della sollevata questione, nonchè instando, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, per la dichiarazione d'illegittimità costituzionale in via conseguenziale della legge della Regione Lazio n. 56 del 1993, istitutiva del nuovo Comune di Boville.
Dopo aver richiamato le conclusioni raggiunte dalla sent. n. 453 del 1989 della Corte, i ricorrenti affermano che l'indicazione univoca che scaturisce dalla sentenza è nel senso che l'ambito di popolazione da consultare a mezzo di referendum va determinato in relazione all'entità della modifica territoriale da attuare.
Una cosa sarebbe la erezione a Comune autonomo (o l'aggregazione ad altro Comune) di una piccola frazione di un grande Comune, altro è, invece, l'erezione a Comune autonomo di una larghissima parte del territorio di un Comune preesistente, come avviene nel caso del Comune di Marino.
Nel primo caso sarebbe evidente che l'entità della variazione è tale da lasciare sostanzialmente integra l'identità non solo storico-politica, ma anche territoriale, del Comune, ben potendosi ritenere che concretamente "interessata" alla costituzione del nuovo Comune sia esclusivamente quella piccola entità di popolazione che dovrebbe distaccarsi.
Nel secondo caso, invece, il Comune preesistente sarebbe scosso nelle sue fondamenta, in quanto la dimensione territoriale di esso (se non, addirittura, la stessa sua identità storico-politica) verrebbe profondamente incisa, potendo subire (in caso di esito positivo del referendum) una trasformazione quantitativa di tale entità da divenire qualitativa. In tale ipotesi la popolazione "interessata" ad esprimere il proprio giudizio sarebbe, allora, l'intera popolazione del comune preesistente. Nessun membro di tale popolazione potrebbe dirsi indifferente rispetto ad un processo di trasformazione così radicale.
9. Infine, i ricorrenti rilevano che una volta espunto dall'ordinamento l'art. 1, secondo comma, lett. a), della legge Regionale n. 19 del 1980, non potrebbe più essere applicata la legge Regionale n. 56 del 1993, istitutiva del nuovo Comune di Boville, perchè priva dei suoi presupposti giustificativi e dei suoi referenti normativi.
Tale ultima disposizione costituirebbe infatti, un provvedimento legislativo meramente applicativo delle norme di legge sopra richiamate, che disciplinano il procedimento che ha dato origine alla legge n. 56 del 1993.
Tuttavia, sottolineano i ricorrenti, la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge Regionale n. 56 del 1993 riveste una importanza decisiva dal punto di vista processuale, poichè, una volta accolta la questione di legittimità costituzionale così come formalmente sollevata (con conseguente declaratoria d'incostituzionalità della sola legge Regionale n. 19 del 1980), il giudice a quo dovrebbe, all'esito di questo primo giudizio, richiedere un nuovo intervento della Corte affinchè, sulla base della prima sentenza, ne deduca esplicitamente tutte le conseguenze logiche, in punto d'incostituzionalità della legge Regionale n.56 del 1993.
Pertanto, concludono i ricorrenti, sia per esigenze di economia processuale, sia perchè a ciò non osterebbe nessuna ragione di ordine formale o sostanziale - essendo la questione della legge Regionale n.56 del 1993 "derivativa" rispetto alla prima e, soprattutto, ictu oculi rilevante per lo svolgimento del processo a quo - ben potrebbe questa Corte dichiarare l'illegittimità costituzionale, in via conseguenziale, della legge Regionale n. 56 del 1993.
10. Con successive memorie, depositate in prossimità dell'udienza pubblica, la Regione Lazio, il Comune di Boville, e i ricorrenti nel giudizio a quo, hanno ulteriormente illustrato e ribadito le tesi precedentemente svolte.
Considerato in diritto
1. Il TAR del Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, lett. a), della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980 n. 19, come modificato dalla successiva legge regionale 20 agosto 1987 n. 49, per contrasto con l'art.133, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non diversifica il procedimento referendario per l'istituzione di nuovi Comuni a seconda che si tratti di distacco di una o più frazioni ovvero di vero e proprio smembramento della originaria comunità.
2. Il giudice remittente premette che avanti a sè, con due ricorsi successivamente riuniti, sono stati impugnati: il decreto di sospensione della indizione dei comizi elettorali del Comune di Marino, quale primo atto inteso a dare esecuzione alla istituzione del Comune di Boville per separazione da quello di Marino, nonchè il decreto di nomina del Commissario prefettizio per la provvisoria amministrazione del nuovo Comune.
Condividendo la tesi prospettata dai ricorrenti, il TAR del Lazio ritiene che la norma impugnata si ponga in contrasto con il richiamato art. 133, secondo comma, della Costituzione in quanto sono stati chiamati ad esprimersi sul referendum consultivo soltanto i cittadini residenti nelle frazioni da distaccare e non tutti i cittadini di Marino.
Il problema di legittimità costituzionale si incentrerebbe quindi sulla locuzione "popolazioni interessate", dettata dalla norma costituzionale, con riferimento al fatto se queste siano solo quelle delle frazioni che chiedono il distacco da un Comune già costituito ovvero se, nel caso in esame, si debba intendere tutta la popolazione dell'originario ente locale, interessata a consentire o meno la scissione del Comune.
Ad avviso del remittente la questione assumerebbe rilevanza nel giudizio in quanto "soltanto la declaratoria d'incostituzionalità della norma suddetta può portare all'accoglimento dei ricorsi, avendo la Regione Lazio posto in essere il procedimento referendario di istituzione del Comune di Boville sulla base della sopraindicata norma legislativa".
3. La questione è inammissibile.
Preliminarmente si deve rilevare che tutte le eccezioni sollevate dal Comune di Boville, in ordine all'insussistenza dell'interesse ad agire o di altre condizioni dell'azione proposta dai ricorrenti avanti il TAR del Lazio, non possono avere ingresso nel presente giudizio in quanto tali accertamenti rientrano nell'apprezzamento del giudice di merito e non sono soggetti a controllo nel giudizio di costituzionalità (cfr. sentt. n. 70 del 1960 , n. 168 del 1987).
Ciò posto, occorre considerare che il TAR del Lazio ha impugnato la sola norma di legge regionale disciplinante il referendum consultivo per il procedimento istitutivo di nuovi Comuni (nell'ipotesi di scorporo da aree comunali di più vasta dimensione), ma ha omesso di estendere la questione di legittimità costituzionale anche alla legge della Regione Lazio n. 56 del 1993 che ha istituito il Comune di Boville, e che costituisce l'atto finale del procedimento previsto dal secondo comma dell'art. 133 della Costituzione.
Ne consegue che ove anche, in ipotesi, fosse dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma regionale impugnata, resterebbe comunque in vigore la legge regionale n. 56 del 1993 che sorregge direttamente i provvedimenti amministrativi oggetto del giudizio a quo (cfr. per analoga fattispecie: sent. n. 154 del 1994), e che, naturalmente, il giudice amministrativo non può disapplicare.
Nè, come auspica il "Comitato Città di Marino" costituito avanti questa Corte, può essere utilizzato lo strumento offerto dall'art. 27 della Legge 11 marzo 1953 n. 87, ai fini della declaratoria d'illegittimità conseguenziale della legge regionale n. 56 del 1993, in quanto tale norma consente di dichiarare soltanto quali altre disposizioni legislative divengono costituzionalmente illegittime in conseguenza della decisione adottata, ma non certo di sanare, o, come nel caso in esame, di "completare" i termini di una questione ai fini della sua rilevanza.
Donde, conclusivamente, l'inammissibilità, per irrilevanza ai fini del decidere, della questione così come formalmente prospettata nell'ordinanza di rimessione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, lett. a), della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980 n. 19, come modificato dalla legge della Regione Lazio 20 agosto 1987 n. 49, sollevata, in riferimento all'art. 133, secondo comma, della Costituzione dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Mauro FERRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 30/12/94.