Sentenza n. 121 del 1993

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SENTENZA N. 121

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11 della legge 23 giugno 1961, n. 520 (Disciplina del rapporto di lavoro del personale estraneo all'Amministrazione dello Stato assunto per le esigenze dell'attività specializzata dei servizi del turismo e dello spettacolo informazioni e proprietà intellettuale), promosso con ordinanza emessa il 3 dicembre 1991 dal Consiglio di Stato - Sezione quarta giurisdizionale - sul ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri contro Chibbaro Rita, iscritta al n.422 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visto l'atto di costituzione di Chibbaro Rita;

 

udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

 

udito l'Avv. Antonio Cochetti per Chibbaro Rita.

 

Ritenuto in fatto

 

l.- Con ordinanza del 3 dicembre 1991 (pervenuta il 16 luglio 1992 ed iscritta al r.o. con il n. 422), il Consiglio di Stato, Sezione IV, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 della legge 23 giugno 1961, n. 520 (recante "Disciplina del rapporto di lavoro del personale estraneo all'Amministrazione dello Stato assunto per le esigenze dell'attività specializzata dei servizi del turismo e dello spettacolo informazioni e proprietà intellettuale").

 

La legge suddetta prevede che la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministero del turismo e dello spettacolo possono avvalersi dell'opera di persone estranee all'Amministrazione dello Stato, particolarmente esperte nelle materie di competenza dei servizi delle informazioni e della proprietà letteraria, artistica e scientifica nonchè dei servizi del turismo e dello spettacolo. Tale personale si distingue in personale a contratto a termine rinnovabile e personale a prestazione saltuaria. Riguardo a quest'ultimo, l'impugnato art. 11 stabilisce che esso "non ha diritto ad alcun trattamento di previdenza e di quiescenza, nè ad indennità di licenziamento".

 

Il giudice a quo dubita che tale norma sia compatibile con gli artt. 1 e 36 della Costituzione, che, nel vigente ordine costituzionale, fondato sul lavoro, garantiscono il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa. Va infatti considerato - precisa il Consiglio di Stato - che anche la pensione e l'indennità di fine rapporto hanno carattere di retribuzione differita e che la indicata normativa può apparire lesiva della funzione minima della retribuzione, che è quella di sostentamento del lavoratore.

 

Ritenuta rilevante tale questione di legittimità costituzionale ai fini della definizione del giudizio - avente ad oggetto una domanda di pagamento di differenze retributive e dell'indennità di fine rapporto, nonchè di risarcimento del danno per omissione contributiva, avanzata da una ricorrente che aveva prestato per quattordici anni consecutivi la propria attività presso la Presidenza del Consiglio e presso la Prefettura di Palermo rimanendo inquadrata fra il personale a prestazione saltuaria - il Consiglio di Stato l'ha rimessa all'esame della Corte.

 

2.- Nel giudizio davanti alla Corte si è costituita l'originaria ricorrente, sig.ra Rita Chibbaro, che ha chiesto alla Corte di dichiarare l'illegittimità costituzionale della norma denunziata.

 

Considerato in diritto

 

l.- La questione sottoposta all'esame della Corte nasce da una controversia promossa nel 1977 da Rita Chibbaro che assumeva di aver prestato continuativamente per 14 anni la propria attività come schedarista presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e presso la Prefettura di Palermo.

 

Il Consiglio di Stato, davanti al quale la controversia era approdata dopo una lunga e complessa vicenda processuale, ha rilevato che il rapporto tra la ricorrente e l'Amministrazione traeva la propria fonte e la propria qualificazione in una serie di atti organizzativi - e pertanto di carattere autoritativo - che avevano univocamente definito il rapporto stesso come "prestazione saltuaria" ai sensi dell'art. 10 della legge 23 giugno 1961, n. 520.

 

La legge suddetta prevede, all'art. 1, che la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministero per il turismo e lo spettacolo, per le esigenze dell'attività specializzata relativa ai servizi delle informazioni e della proprietà letteraria, artistica e scientifica, nonchè di quella relativa ai servizi del turismo e dello spettacolo, possano avvalersi dell'opera di persone estranee all'Amministrazione dello Stato particolarmente esperte nelle materie di competenza dei servizi stessi.

 

Tale personale viene distinto in due categorie: la prima è quella del "personale a contratto a termine rinnovabile" ed il relativo rapporto di lavoro è disciplinato dagli articoli da 2 a 9 della medesima legge. La seconda categoria è rappresentata dal "personale a prestazione saltuaria" ed il relativo rapporto di lavoro è disciplinato dagli articoli da 10 a 12. Più precisamente, l'art. 10 prevede che il personale a prestazione saltuaria sia utilizzato per esigenze particolari e temporanee dei servizi e demanda a successivi decreti interministeriali la determinazione dei criteri concernenti le prestazioni e i relativi compensi. L'art. 11 stabilisce che il personale suddetto non ha diritto ad alcun trattamento di previdenza e di quiescenza, nè ad indennità di licenziamento. Per l'art. 12, infine, "le prestazioni rese in applicazione della presente legge non fanno sorgere, in ogni caso, rapporto di pubblico impiego".

 

Il Consiglio di Stato, con l'ordinanza già indicata in epigrafe, chiede a questa Corte di esaminare la legittimità costituzionale del citato art.11, che dispone l'esclusione, per il personale a prestazione saltuaria, del diritto al trattamento di previdenza e di quiescenza e all'indennità di licenziamento. Tale norma, secondo il giudice a quo, appare contrastare con gli articoli 1 e 36 della Costituzione, dovendosi considerare che la pensione e l'indennità di fine rapporto hanno natura di retribuzione differita, sì che la loro esclusione lede il diritto costituzionalmente garantito del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare al lavoratore stesso e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa.

 

2.- La questione prospettata dal Consiglio di Stato presuppone che la sopra descritta normativa relativa al "personale a prestazione saltuaria" sia ritenuta applicabile (anche) rispetto a rapporti di lavoro che presentino i caratteri oggettivi propri del lavoro subordinato. Qualora, infatti, la normativa stessa fosse riferibile esclusivamente a rapporti di lavoro autonomo, il richiamo alla garanzia costituzionale del diritto ad una retribuzione adeguata e comunque sufficiente non avrebbe ragion d'essere nel caso di conformità del rapporto concreto alla fattispecie legale, mentre, nel caso di un rapporto che abbia assunto in via di mero fatto - ed in contrasto con l'atto che lo ha costituito - le modalità di svolgimento concreto proprie del rapporto di lavoro subordinato, si avrebbe invalidità del rapporto, ma il diritto del dipendente di mero fatto alle prestazioni retributive e previdenziali sarebbe salvaguardato dall'art.2126 cod. civ. (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 29 febbraio 1992 nn. 1 e 2 e 5 marzo 1992 nn. 5 e 6).

 

Non vi sono motivi per disattendere in questa sede l'interpretazione che il Consiglio di Stato ha dato in ordine all'ambito di applicazione della normativa riguardante il "personale a prestazione saltuaria". Può osservarsi, al riguardo, che la sussumibilità in tale categoria anche di rapporti di lavoro subordinato appare consentita dalla assoluta genericità della definizione normativa della fattispecie, mentre non può essere considerata di ostacolo la sola menzione del carattere saltuario della prestazione, non essendo tale carattere di per sè incompatibile con la configurabilità del rapporto come rapporto di lavoro subordinato allorquando tra una prestazione e l'altra permanga il vincolo di disponibilità per il lavoratore e vi sia comunque l'inserimento di quest'ultimo nell'organizzazione del datore di lavoro (Cass., 8 gennaio 1987, n. 51; 1° settembre 1986, n. 5363; 1° marzo 1984, n. 1457 e numerose altre).

 

Nè è di ostacolo la norma contenuta nell'art. 12, secondo cui "Le prestazioni rese in applicazione della medesima legge non fanno sorgere, in ogni caso, rapporto di pubblico impiego". Con tale formula, infatti, il legislatore ha inteso escludere non già la natura subordinata dei rapporti di lavoro in questione, ma solo l'applicabilità ai medesimi delle particolari norme sostanziali che disciplinano il rapporto di pubblico impiego: ciò è reso evidente, del resto, dal fatto che la norma si riferisce anche ai contratti a termine rinnovabili, per i quali la qualificazione come rapporti di lavoro subordinato non può essere messa in discussione. Ed è da precisare che non sarebbe comunque consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l'inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall'ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato.

 

Gli stessi decreti interministeriali 2 luglio 1962 e 12 dicembre 1966 con i quali sono stati stabiliti i "criteri concernenti le prestazioni saltuarie del personale utilizzato per esigenze particolari e temporanee dei servizi, di cui all'art. 10 della legge 520" del 1961 non arrecano specificazioni rilevanti per escludere che nella categoria dei rapporti a prestazione saltuaria possano essere compresi anche rapporti di lavoro subordinato. Vi è anzi da rilevare che vi si prevede che l'osservanza dell'orario di ufficio non è richiesta in via normale: il che lascia spazio ad ipotesi in cui l'osservanza di tale orario sia invece richiesta. Non rilevante è invece la formulazione, contenuta in tali decreti, secondo cui le prestazioni del personale in questione non fanno sorgere rapporto di impiego, nè pubblico nè privato: non rientra infatti nei poteri della pubblica Amministrazione, essendo invece prerogativa del legislatore, nel rispetto dei limiti già detti, stabilire la qualificazione giuridica dei rapporti.

 

L'interpretazione presupposta dal Consiglio di Stato trova poi indiretta conferma nella legge 20 dicembre 1965, n. 1435, che, per la categoria di personale in oggetto, previde che coloro che prestavano la loro opera da almeno un anno potessero, a domanda, essere assunti con contratto a termine rinnovabile, con ciò evidenziando la consapevolezza da parte del legislatore della possibile omogeneità delle due categorie di personale previste dalla legge n. 520 del 1961. Dalla documentazione che la Presidenza del Consiglio dei ministri ha fornito a questa Corte risulta, del resto, che rapporti instaurati ai sensi dell'art. 10 della legge n.520 del 1961 si riferivano anche a personale adibito a prestare "servizio continuativo e a pieno tempo" presso l'Amministrazione.

 

3.- Tanto premesso in ordine all'ambito di applicazione della disciplina in esame, la questione di legittimità costituzionale formulata dal Consiglio di Stato è fondata, ma solo per quanto attiene all'applicabilità del denunziato art. 11 ad incarichi destinati a dar luogo a rapporti che presentino i caratteri oggettivi propri del lavoro subordinato. Per tal genere di rapporti, infatti, l'esclusione del diritto al trattamento di previdenza e di quiescenza e all'indennità di licenziamento costituisce palesemente una violazione dell'art. 36, primo comma, della Costituzione.

 

Tale violazione non è invece configurabile con riferimento ad incarichi di lavoro autonomo, dato che il diritto al trattamento di fine rapporto e al trattamento previdenziale è garantito dall'art. 36 solamente per il lavoratore subordinato.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 11 della legge 23 giugno 1961, n. 520 (Disciplina del rapporto di lavoro del personale estraneo all'Amministrazione dello Stato assunto per le esigenze dell'attività specializzata dei servizi del turismo e dello spettacolo, informazioni e proprietà intellettuale), nella parte in cui si applica anche ad incarichi aventi ad oggetto prestazioni di lavoro subordinato.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/03/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Ugo SPAGNOLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 29/03/93.