SENTENZA N. 3
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 14 e 15 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali), come modificati dal d.P.R. 22 giugno 1979, n. 338 (Revisione della legislazione nazionale in materia di brevetti, in applicazione della delega di cui alla legge 26 maggio 1978, n. 260), promosso con ordinanza emessa il 22 dicembre 1994 dal Tribunale di Milano, nel procedimento civile vertente tra s.p.a. Zambon Group e s.p.a. Bracco Industria Chimica, iscritta al n. 96 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visti gli atti di costituzione della Bracco Industria Chimica s.p.a. e della Zambon Group s.p.a.;
udito nella udienza pubblica del 21 novembre 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto;
uditi gli avv. Giorgio Floridia e Giorgio Berti per la Zambon Group s.p.a. e Adriano Vanzetti e Valerio Onida per la Bracco Industria Chimica s.p.a.
Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale di Milano è stato adito dalla Zambon Group s.p.a., la quale, nella qualità di holding di un gruppo d'imprese operanti nel settore farmaceutico, ha esposto di aver apportato alcuni miglioramenti al processo di fabbricazione di un mezzo di contrasto per raggi X denominato "iopamidolo", e di aver depositato a riguardo due domande di brevetto esplicitamente riconosciute in rapporto di dipendenza - come invenzioni di perfezionamento - rispetto al brevetto n. 1.140.989 (concernente lo iopamidolo e il metodo di sua produzione), di cui era titolare la Bracco s.p.a. Di tale brevetto la Società Zambon ha chiesto che il giudice adito dichiari la nullità accertando nel contempo che essa attrice non ha compiuto atti di contraffazione.
Si è costituita in giudizio la convenuta Bracco s.p.a. e, su istanza di questa, il Tribunale, con ordinanza emessa il 22 dicembre 1994, ha sollevato, in relazione agli artt. 3, 9 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 14 e 15 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali), come modificati dal d.P.R. 22 giugno 1979, n. 338 (Revisione della legislazione nazionale in materia di brevetti, in applicazione della delega di cui alla legge 26 maggio 1978, n. 260).
Il giudice a quo, premesso che lo "iopamidolo" deve considerarsi un farmaco, espone che in data 13 dicembre 1974 venne depositata domanda svizzera di brevetto da parte della Società Savac A.G. e che questa deve intendersi riferita alla Società Bracco; ricorda quindi come il divieto di brevettabilità dei farmaci ex art. 14 del r.d. n. 1127 del 1939 sia stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 20 del 1978. Ripercorso l'iter argomentativo di tale decisione, ed in particolare il passaggio ove si osservava che sarebbe stato il legislatore a valutare l'opportunità di un regime transitorio, il Tribunale rileva che il legislatore stesso si è limitato a riscrivere l'art. 14, eliminando il divieto di brevettabilità, senza dare sèguito a tale invito, malgrado fossero stati predisposti numerosi disegni di legge volti a consentire la presentazione o la ripresentazione della domanda di brevetto depositata in paesi esteri e non in Italia o definitivamente respinta prima della sentenza citata.
In tale ottica le norme impugnate paiono al rimettente confliggere con gli evocati parametri, "nella parte in cui non prevedono alcuna (e quindi escludono dalla) tutela brevettuale per le invenzioni conseguite prima della declaratoria di illegittimità costituzionale del vecchio art. 14, sùbito brevettate in numerosi paesi esteri e non brevettate in Italia finché vigeva il divieto di brevettazione dei farmaci previsto dalle norme richiamate da ultimo, ma solo successivamente alla rimozione di tale divieto per effetto della sentenza n. 20 del 1978, e per le quali sia scaduto, prima di tale sentenza, il termine di priorità".
Le richiamate norme costituzionali si assumono violate per le stesse ragioni svolte nella citata sentenza n. 20 del 1978, con l'ulteriore notazione che la normativa censurata non svantaggia più tutti gli imprenditori farmaceutici, ma solo quelli che non avevano presentato in Italia domanda di brevetto, in ragione del divieto legislativo, o che, pur avendola presentata, erano riusciti a tenere aperto il contenzioso presso la Commissione dei ricorsi sino alla pronuncia della sentenza n. 20 del 1978. Opina il Tribunale che per gli imprenditori in questione si configurerebbe una sorta di ultrattività della norma concernente il divieto di brevettazione, la quale continuerebbe a produrre i propri effetti, comportando la nullità del brevetto Bracco in quanto anticipata dai brevetti analoghi depositati in Svizzera e negli altri paesi ove non vigeva il divieto.
Aggiunge il Tribunale che la giurisprudenza della Suprema Corte circa una differenziazione tra chi abbia reclamato il riconoscimento e chi sia rimasto inerte, non si mostra "così convincente da far apparire superfluo il vaglio della Corte costituzionale". Infatti le ragioni della Cassazione, che richiama il concetto di rapporti esauriti e gli inconvenienti - sul piano internazionale e costituzionale - insiti nella riapertura del termine per rivendicare la priorità, se possono essere condivisibili e giustificati in astratto, non si attagliano al caso concreto, tenuto conto della "particolare risalenza della normativa la cui costituzionalità si sarebbe dovuta eccepire", e del fatto che la normativa stessa aveva già una volta superato il giudizio della Corte (sentenza n. 37 del 1957). Inoltre non si tratterebbe qui di rapporti esauriti, bensì di brevetti in vigore. Infine, non sarebbe sostenibile che nel caso in esame si richiede alla Corte l'introduzione di una disciplina "ad hoc", con indebita interferenza nell'esercizio del potere legislativo, consistendo il petitum nella "valutazione della costituzionalità della disciplina introdotta con il d.P.R. n. 338 del 1979 e in particolare della mancata previsione di un qualsiasi regime transitorio".
2. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituita la Bracco s.p.a., insistendo per la declaratoria d'illegittimità costituzionale.
La società sottolinea che essa è stata per anni l'unica a produrre, anche in Italia, il farmaco in questione e che solo dopo il venir meno del divieto di brevettabilità e la scadenza del termine di priorità, la Zambon ha cercato di eludere il diritto di esclusiva spettantele, sostenendo in giudizio la nullità del brevetto. La pretesa dell'attrice non sarebbe dunque fondata su una sua priorità, ma tenderebbe a sfruttare la sfasatura temporale tra il brevetto ottenuto in Italia e i brevetti ottenuti all'estero, intraprendendo così un'attività produttiva che sfrutta parassitariamente l'invenzione altrui. Sì ché non sarebbero in questione gli effetti in praeteritum della sentenza n. 20 del 1978, ma si verserebbe in una situazione assimilabile a quella di chi, dopo la declaratoria d'incostituzionalità di una legge, fosse sottoposto a conseguenze pregiudizievoli per il solo fatto di aver operato, prima di tale declaratoria, in conformità della legge allora vigente.
Ricorda la deducente come nel nostro ordinamento solo il giudice abbia il potere-dovere di sospendere l'applicazione di una legge sospettata d'incostituzionalità e sottolinea come si tratti di valutare gli effetti attuali della normativa denunciata e non già di estendere ai rapporti passati gli effetti della pronuncia d'incostituzionalità. In tal senso la difesa della Bracco condivide la critica del Tribunale di Milano all'orientamento della Cassazione, richiamando anch'essa il contenuto della sentenza n. 20 del 1978, in particolare sottolineando trattarsi di una declaratoria d'illegittimità sopravvenuta in forza di un mutamento del contesto fattuale e normativo, sì ché non resta individuato nel tempo il momento di collisione con l'ordinamento. Perciò non sarebbe possibile discriminare la posizione di chi non abbia all'epoca chiesto il brevetto (in quanto a ciò legittimamente impedito dalla legge) rispetto a chi fin da allora abbia richiesto tale tutela. Palese sarebbe quindi l'incostituzionalità del non aver legislativamente previsto un regime transitorio, malgrado l'espresso invito formulato a riguardo dalla Corte e l'esigenza subito avvertita dalla dottrina, tradotta anche in vari schemi di d.d.l. presentati a seguito della sentenza.
3. - Si è costituita altresì la s.p.a. Zambon Group, sostenendo l'inammissibilità o, in subordine, l'infondatezza della questione.
Premette la società che la Bracco ha depositato la domanda di brevetto italiano sei anni dopo la prima domanda proposta in un paese estero, dunque ben oltre il termine annuale previsto per rivendicare la priorità unionista; ed inoltre, a sostegno dell'irrilevanza e contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, contesta diffusamente e con argomenti tecnici che lo "iopamidolo" sia un farmaco e fosse perciò soggetto al divieto in argomento.
Nel merito, la Zambon osserva come la denunciata incostituzionalità altro non sia che il normale effetto dell'"impermeabilità" dei rapporti esauriti alla dichiarazione di illegittimità costituzionale. A suo dire, ciò che si vorrebbe è la riapertura dei termini per via giurisdizionale, sì ché la Corte ponga rimedio al diverso trattamento che l'ordinamento riserva, a seguito della pronuncia demolitoria, a coloro che, in costanza del divieto di brevettazione, hanno presentato in Italia domanda di brevetto di un farmaco e a coloro che si sono limitati a presentarla soltanto all'estero senza far seguire il deposito in Italia nel termine decadenziale di un anno con rivendicazione della priorità unionista.
Né si potrebbe argomentare nel senso che il termine decadenziale de quo non decorreva in costanza del divieto di brevettare farmaci in Italia, atteso che, per insegnamento della Suprema Corte, il vizio di illegittimità non determina un impedimento legale all'esercizio del diritto, ma una mera difficoltà di fatto, e quindi non incide sulla decorrenza della prescrizione.
La Zambon si diffonde poi sui limiti di una sentenza additiva, esclusa già in materia dalla Corte nella sentenza n. 20 del 1978 e sottolinea come il legislatore avrebbe potuto introdurre una normativa transitoria, adattandola agli obblighi derivanti dalla Convenzione dell'Unione. Rileva quindi che, ove la Corte riconoscesse validità a quei brevetti che avrebbero dovuto essere depositati ma non lo furono, resterebbe pregiudicata la posizione di chi, confidando nella libertà di fabbricazione e vendita di un prodotto già predivulgato e non più tutelabile, avesse compiuto, come la stessa Zambon, seri investimenti.
Conclude la Zambon osservando che non esiste un "dovere costituzionale" a provvedere per il legislatore, onde il fatto che questi non abbia predisposto un regime transitorio, consentendo comportamenti differenziati, non può tradursi nell'illegittimità della normativa "a regime".
4. - Nell'imminenza dell'udienza entrambe le parti hanno depositato ulteriori ampie memorie, ribadendo i rispettivi assunti e contestando quelli di controparte.
Considerato in diritto
1.1- Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale degli artt. 14 e 15 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, come modificati dal d.P.R. 22 giugno 1979, n. 338, nella parte in cui non prevedono la tutela brevettuale per quei farmaci brevettati all'estero in costanza del divieto di brevettabilità dei farmaci (poi rimosso dalla sentenza n. 20 del 1978 della Corte costituzionale) e brevettati in Italia dopo la scadenza del termine annuale (a decorrere dal primo brevetto estero) stabilito dall'art. 4 della Convenzione di Parigi, ratificata con legge 28 aprile 1976, n. 424, per poter rivendicare la priorità.
1.2- Va preliminarmente disattesa, sotto entrambi i profili prospettati, l'eccezione d'inammissibilità per difetto di rilevanza, proposta dalla Società Zambon, attrice dinanzi al Tribunale di Milano.
2.1.- Quest'ultimo, attraverso un'ampia motivazione del suo apprezzamento di fatto, è pervenuto a ritenere che lo "iopamidolo", oggetto del brevetto di cui si controverte, rientra nella previsione di quella normativa predicata come applicabile nel giudizio a quo.
Sotto questo primo profilo, quindi, la rilevanza della sollevata questione di costituzionalità non può essere negata, attesa la plausibilità della relativa motivazione.
2.2. - Il secondo profilo d'inammissibilità attiene all'asserita carenza del carattere costituzionalmente necessitato del petitum.
Al riguardo va osservato, in contrario, che nella motivazione della sentenza n. 20 del 1978 questa Corte, escludendo di poter disegnare le linee del sèguito legislativo della propria decisione, rimise al legislatore la valutazione di due ben distinte alternative. La prima riguardava l'opportunità di introdurre o meno un regime transitorio. La seconda concerneva i modi stessi del bilanciamento tra le due contrapposte situazioni oggetto dell'eventuale disciplina transitoria: quella di coloro che non avessero richiesto il brevetto nella vigenza del divieto e quella di chi avesse operato investimenti in strutture dell'industria farmaceutica sulla base dell'affidamento che nasceva dalla esistenza stessa di tale divieto.
Ebbene, la tesi enunciata dal rimettente è indirizzata nel duplice senso della necessità costituzionale di un regime transitorio, e della precisa opzione a favore della prima categoria degli indicati soggetti. Sicché, una delle possibili soluzioni della controversia oggetto del giudizio a quo viene assunta come paradigma della domandata pronuncia additiva, la quale varrebbe a rendere immuni dai prospettati vizi le denunciate norme, attraverso l'introduzione di quello stesso strumento che il legislatore avrebbe dovuto offrire mediante la (mai dettata) disciplina transitoria. Col risultato, in tale direzione prospettica, di una sostanziale coincidenza fra i termini dell'attuale thema decidendum e quelli della potenziale decisione del giudizio a quo. Coincidenza, che tuttavia non è configurabile come ragione di inammissibilità della questione, ma piuttosto costituisce indice di valutazione del merito, al cui esame questa Corte deve dunque passare.
3. - La questione non è fondata.
3.1. - Secondo il rimettente, le denunciate norme contrasterebbero con gli artt. 3, 9 e 41 della Costituzione, per le stesse ragioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 20 del 1978, "con l'ulteriore aggravio che, mentre in precedenza la normativa svantaggiava, rispetto agli altri, solo, ma tutti, gli imprenditori farmaceutici ed ancora taluni di essi (che svolgevano attività di ricerca) rispetto ad altri concorrenti (che non la svolgevano), la nuova disciplina discrimina e svantaggia, tra gli imprenditori farmaceutici che svolgevano attività di ricerca, tanto da conseguire invenzioni brevettate all'estero, esclusivamente coloro che non avevano presentato anche in Italia domanda di brevetto [...] nel pieno rispetto della normativa al tempo vigente". Categoria di imprenditori farmaceutici, quest'ultima, in danno della quale "si configurerebbe una sorta di ultrattività" della norma già dichiarata incostituzionale, "che continuerebbe a produrre i propri effetti, nella specie importando la declaratoria di nullità del brevetto Bracco".
Osserva la Corte che, in realtà, soltanto una tale discriminazione potrebbe in astratto configurare la violazione di una delle norme evocate come parametro d'illegittimità costituzionale, e cioè dell'art. 3 della Costituzione. Infatti, le ragioni svolte nella sentenza n. 20 del 1978 riguardano esclusivamente il divieto di brevettabilità rimosso con la sentenza stessa, al dispositivo della quale si è perfettamente conformata la normativa oggetto dell'attuale censura. Significativo è, a questo proposito, come il rimettente motivi in forma diretta la non manifesta infondatezza della questione facendo leva soltanto sull'asserita ingiustificata discriminazione degli imprenditori che si trovano nella situazione della società convenuta nel giudizio a quo.
Sennonché, la disparità di trattamento comportante l'asserita discriminazione non deriva dalle denunciate norme, che invero non fanno distinzioni di sorta, bensì soltanto dalla diversa condotta mantenuta, nella vigenza della precedente normativa, dai soggetti fra i quali il rimettente imposta la comparazione. E questa Corte ha già avuto occasione di affermare (v. sentenza n. 58 del 1967) che "il principio di eguaglianza non è affatto violato quando la legge dispone trattamenti diversi in confronto a soggetti diversamente solleciti nella tutela delle proprie pretese, ed anzi violato sarebbe se, al contrario, si adottasse una disciplina uniforme nei due casi". Nei quali vi è un'oggettiva disomogeneità di situazioni, che esclude in modo evidente la configurabilità della dedotta disparità di trattamento.
I soggetti che, come la parte convenuta nel giudizio a quo, non si sono attivati a causa della formale vigenza di norme viziate da illegittimità costituzionale successivamente dichiarata su iniziativa di altri, finiscono per trovarsi nella lamentata situazione deteriore, semplicemente per via dei limiti intrinseci all'efficacia retroattiva delle declaratorie d'illegittimità costituzionale, le quali lasciano intangibili i rapporti esauriti, fra cui rientrano anche i rapporti pregiudicati da una decadenza verificatasi in forza di norma diversa da quella dichiarata incostituzionale.
Nella specie - come è pacifico - si è appunto verificata, già prima della decisione di questa Corte n. 20 del 1978, una decadenza dipendente da norma che nulla ha a che vedere con quella investita dalla declaratoria di illegittimità costituzionale: più specificamente, dettata dall'art. 4 della Convenzione internazionale di Parigi, riveduta da ultimo a Stoccolma e ratificata con la legge 28 aprile 1976, n. 424, secondo cui la c.d. "priorità unionista" può essere rivendicata solo entro un anno dal primo brevetto estero.
3.2. - Nessun rilievo può assumere, ai fini qui in esame, la circostanza valorizzata dalla convenuta nel giudizio a quo, secondo cui dalla motivazione della citata sentenza le ragioni della dichiarata incostituzionalità risultano sopravvenute rispetto all'entrata in vigore della Costituzione. Al riguardo basterebbe osservare che trattasi di sopravvenienza rapportata dalla Corte a fattori extranormativi privi di oggettività, incidenti attraverso il tempo sul contenuto della denunciata disposizione sì da renderla anacronistica: una sopravvenienza, quindi, non correlata ad un preciso momento cronologico. Quest'ultimo, d'altronde, sarebbe potuto semmai valere unicamente a segnare il dies del venir meno dell'impedimento al decorso del termine di decadenza, che nella specie non è stato comunque osservato neanche a far tempo dalla sentenza n. 20 del 1978.
Ma, a parte tale considerazione, già di per sé risolutiva, sta di fatto che il soggetto interessato all'accertamento dell'incostituzionalità, necessario per rimuovere l'impedimento all'esercizio di un diritto, deve pur sempre percorrere la via dell'instaurazione di un giudizio - nella specie, avverso il provvedimento che abbia negato quel brevetto da domandarsi entro il termine di decadenza - e nel corso di tale giudizio richiedere che venga sollevata la relativa questione (come accadde appunto nei molteplici casi che dettero luogo alla sentenza n. 20 del 1978). Chi subisce passivamente detto impedimento, non può sfuggire alla conseguenza che il rapporto venga ad esaurirsi, così come del resto ha più volte ritenuto la giurisprudenza ordinaria in casi analoghi alla fattispecie sottoposta al giudizio del rimettente.
D'altra parte, è nella logica del giudizio costituzionale incidentale che - ferma restando la perdita di efficacia della norma dichiarata incostituzionale dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, e la sua inapplicabilità nel giudizio a quo e in tutti quelli ancora pendenti, anche in relazione a situazioni determinatesi antecedentemente - la retroattività delle pronunce d'incostituzionalità trovi un limite nei rapporti ormai esauriti, la cui definizione - nel rispetto del principio di uguaglianza e di ragionevolezza - spetta solo al legislatore di determinare.
3.3. - Alla luce di quanto sopra considerato, il petitum del giudice a quo sembra allora, in definitiva, volto ad ottenere, attraverso la richiesta sentenza additiva, che sia resa uniforme la disciplina di situazioni affatto diverse, a misura della fattispecie oggetto del giudizio a quo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 14 e 15 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 9 e 41 della Costituzione, dal Tribunale di Milano, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 gennaio 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Depositata in cancelleria il 9 gennaio 1996.