Ordinanza n. 536 del 1995

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ORDINANZA N. 536

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale art. 4, comma 1, lett. a), punto 2) della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R.26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro); artt. 2 e 10 d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale) e 1 della tariffa allegata; art. 2, comma 2, d.P.R 26 ottobre 1972, n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili) promosso con ordinanza emessa il 12 dicembre 1994 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Padova sui ricorsi riuniti proposti da s.r.l. Messaggero Servizi ed altri contro Ufficio del Registro di Padova, iscritta al n. 252 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visti gli atti di costituzione dell'Istituto Teologico Missioni Estere dei Frati Minori Conventuali S. Antonio Dottore, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 21 novembre 1995 il Giudice relatore Renato Granata;

uditi l'avv. Enrico De Mita per l'Istituto Teologico Missioni Estere dei Frati Minori Conventuali S. Antonio Dottore e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

RITENUTO che con ordinanza del 12 dicembre 1994 la Commissione tributaria di secondo grado di Padova nel corso del giudizio promosso dalla S.r.l. Messaggero Servizi ed altri, avente oggetto l'impugnativa dell'atto con cui l'Ufficio del registro aveva liquidato le imposte di registro, ipotecaria e catastale, nonchè l'INVIM, riferite ad una delibera di aumento di capitale della società suddetta mediante conferimento (anche) di immobili ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, lettera a), punto 2) della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, degli artt. 2 e 10 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n.347, dell'art. 1 della tariffa allegata al medesimo decreto legislativo, nonchè dell'art. 2, comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, in riferimento all'art. 76 Cost., nella parte in cui non prevedono che i conferimenti a società di capitali vengano assoggettati ad aliquota unica non superiore all'1%, così come stabilito dalla direttiva del Consiglio delle Comunità europee del 17 luglio 1969, n. 335 concernente le imposte indirette sulla raccolta dei capitali, e siano parimenti esenti dalle imposte catastale ed ipotecaria e dall'INVIM;

che ad avviso della Commissione rimettente la menzionata normativa comunitaria in parte qua deve essere interpretata nel senso che non è suscettibile di diretta applicabilità nell'ordinamento giuridico nazionale;

che però ritiene ancora la Commissione rimettente il contenuto precettivo (ancorchè non autoapplicativo) della direttiva rileva sotto altro profilo perchè la legge di delega ad emanare le disposizioni di riforma del sistema tributario (legge 9 ottobre 1971, n. 825) prevedeva (all'art. 7) che la disciplina dell'imposta di registro, ipotecaria e catastale, dovesse adeguarsi alla citata direttiva comunitaria n. 335 del 1969, onde, non avendo il legislatore delegato dato attuazione alla direttiva, le norme censurate sarebbero affette da vizio di eccesso di delega;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile o infondata;

che si è costituita una delle parti conferenti, la quale ha chiesto in via principale la dichiarazione di inammissibilità della questione di costituzionalità in ragione della ritenuta efficacia diretta della direttiva CEE n.335 del 1969 (contrastando in tal modo l'opposta interpretazione offerta dalla Commissione rimettente ed aderendo all'interpretazione accolta da altra e a suo dire prevalente giurisprudenza) ed in via subordinata la dichiarazione di incostituzionalità delle disposizioni censurate;

CONSIDERATO che l'esame della prospettata questione di costituzionalità essendo questa fondata sull'interpretazione della citata direttiva esige che il contenuto delle norme espresse dalle disposizioni comunitarie sia compiutamente e definitivamente individuato secondo le regole all'uopo dettate da quell'ordinamento, in guisa che tale contenuto si presenti connotato dai caratteri della certezza ed affidabilità necessitati dall'irriversibilità degli effetti che nell'ordinamento nazionale conseguirebbero ad una eventuale pronuncia di incostituzionalità, quale quella ipotizzata dalla Commissione rimettente per emendare il denunciato vizio delle disposizioni censurate;

che ferma per un verso la possibilità del controllo di costituzionalità per violazione dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili della persona (cfr. da ultima sent. n. 509 del 1995) non compete per altro verso a questa Corte fornire l'interpretazione della normativa comunitaria che non risulti di per sè di "chiara evidenza" (sentenza n. 168 del 1991), nè tanto meno le spetta risolvere i contrasti interpretativi insorti (come nella fattispecie) in ordine a tale normativa, essendone demandata alla Corte di giustizia delle Comunità europee la interpretazione con forza vincolante per tutti gli Stati membri;

che detto giudice comunitario non può essere adito come pur ipotizzato in una precedente pronuncia (sentenza n. 168 del 1991, cit.) dalla Corte costituzionale, la quale "esercita essenzialmente una funzione di controllo costituzionale, di suprema garanzia della osservanza della Costituzione della Repubblica da parte degli organi costituzionali dello Stato e di quelli delle Regioni" (sentenza n. 13 del 1960);

che pertanto nella Corte costituzionale non è ravvisabile quella "giurisdizione nazionale" alla quale fa riferimento l'art. 177 del trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, poichè la Corte non può "essere inclusa fra gli organi giudiziari, ordinari o speciali che siano, tante sono, e profonde, le differenze tra il compito affidato alla prima, senza precedenti nell'ordinamento italiano, e quelli ben noti e storicamente consolidati propri degli organi giurisdizionali" (sent. n. 13 del 1960, cit.);

che è invece il giudice rimettente, il quale alleghi, come nella specie, la norma comunitaria a presupposto della censura di costituzionalità, a doversi far carico in mancanza di precedenti puntuali pronunce della Corte di giustizia di adire quest'ultima per provocare quell'interpretazione certa ed affidabile che assicuri l'effettiva (e non già ipotetica e comunque precaria) rilevanza e non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale circa una disposizione interna che nel raffronto con un parametro di costituzionalità risenta, direttamente o indirettamente, della por tata della disposizione comunitaria;

che quindi gli atti vanno restituiti al giudice rimettente, come già ritenuto da questa Corte in analoga fattispecie (ordinanza n. 206 del 1976).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al giudice rimettente.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/95.

Mauro FERRI, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 29/12/95.