SENTENZA N.194
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 47 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), promosso con ordinanza emessa il 19 gennaio 1994 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Lecce sul ricorso proposto da Cooperativa Meridionale Virginia Bright contro l'Ufficio imposte dirette di Lecce iscritta al n. 643 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 5 aprile 1995 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio tributario, avverso l'irrogazione della sanzione prevista per l'omessa dichiarazione annuale, da parte di un sostituto d'imposta, relativa a compensi corrisposti nel corso dell'anno 1980, la Commissione tributaria di secondo grado di Lecce, con ordinanza del 19 gennaio 1994 (pervenuta alla Corte costituzionale il 10 ottobre 1994), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), "laddove 'per il sostituto d'imposta' non prevede una diminuzione di pena pecuniaria nell'ipotesi in cui sia stato regolarmente versato l'ammontare complessivo delle ritenute d'acconto", in riferimento agli artt. 3, 73 (recte: 53) e 56 (recte: 76) della Costituzione ed in relazione all'art. 10 della legge 9 ottobre 1971, n. 825 e all'art. 92 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.
Dopo aver accertato che le ritenute erano state operate e debitamente versate all'erario dal sostituto d'imposta tenuto all'adempimento, sì che nessun danno aveva subito l'amministrazione finanziaria, il giudice a quo lamenta l'"iniquità" della sanzione prevista dalla norma impugnata per l'ipotesi di omessa dichiarazione annuale - nella misura da due a quattro volte l'ammontare delle ritenute non indicate nella dichiarazione, oltre ad "una pena pecuniaria per ogni nominativo omesso" - rispetto a quella prevista dall'art. 92 del d.P.R. n. 602 del 1973, per il caso di mancato versamento di ritenute punito con la minore sanzione della soprattassa del 50 per cento dell'ammontare delle ritenute stesse, nonché rispetto all'ipotesi, invece ben più grave di quella del giudizio a quo, di "omessa e infedele dichiarazione dell'IRPEF da parte del contribuente", punita ai sensi dell'art. 46 del d.P.R. n. 600 cit. con una pena pecuniaria da due a quattro volte l'imposta evasa. Ne deriverebbe la violazione degli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione in relazione all'art. 10, punto 11, della legge di delega n. 825 del 1971, il quale dispone che le sanzioni amministrative vanno commisurate "all'effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni".
2. - È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, rilevando che l'ordinanza di rimessione richiede un'inammissibile pronuncia additiva al fine di introdurre una diminuzione di pena per il caso che l'omessa dichiarazione del sostituto d'imposta sia "circostanziata" dalla non debenza di imposte, per essere state già versate le ritenute operate dal sostituto.
Tenuto conto che l'ordinamento sanziona illeciti "propri" dei sostituti d'imposta (art. 2 del d.-l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito nella legge 7 agosto 1982, n. 516 e art. 3 del d.-l. 16 marzo 1991, n. 83, convertito nella legge 15 maggio 1991, n. 154), non appare conferente il confronto con il richiamato art. 92 del d.P.R. n. 602 del 1973, per l'ipotesi di ritardato od omesso versamento diretto di ritenute, perché diverse appaiono le ragioni che sono alla base dell'obbligo del sostituto di presentare la dichiarazione (mod. 770), rispetto a quelle che impongono di versare al fisco quanto ritenuto ai sostituiti.
Considerato in diritto
1. -È stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), che commina la sanzione da 2 a 4 volte l'ammontare delle ritenute in caso di omessa dichiarazione del sostituto d'imposta <e non prevede una diminuzione di pena pecuniaria nelle ipotesi in cui sia stato regolarmente versato l'ammontare complessivo delle ritenute d'acconto>.
Il giudice rimettente ritiene la norma impugnata in contrasto con: a) gli artt. 3 e 53 della Costituzione, perchè sarebbe prevista la medesima sanzione disposta dall'art. 46 del d.P.R. n. 600 cit. per la più grave infrazione costituita dalla omessa o infedele dichiarazione IRPEF e non invece quella prevista dall'art. 92 del d.P.R. n. 602 del 1973, pari al 50 per cento delle ritenute, a titolo di soprattassa, nel caso di omesso versamento di ritenute dovute a vario titolo; b) l'art. 76 della Costituzione, in relazione all'art. 10, punto 11, della legge di delega n. 825 del 1971, che impone di commisurare le sanzioni all'effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni.
2. - La questione è inammissibile.
Si deve al riguardo precisare che la stessa questione è stata in precedenza disattesa da questa Corte (ord. n. 212 del 1989; sent. n. 83 del 1989; ord. n. 452 del 1987; sentt. nn. 364 del 1987 e 128 del 1986) sul rilievo del carattere cognitivo che assume la dichiarazione del sostituto d'imposta in ordine ai redditi percepiti dai soggetti nei cui confronti sono state effettuate le ritenute poi versate all'erario.
In tal modo il problema, concernente l'assoggettamento a medesima sanzione in caso di omessa o tardiva denuncia, sia di chi abbia versato all'erario le ritenute, sia di chi non le abbia nè effettuate nè versate, sia di chi le abbia effettuate ma non versate, non risulta fino ad ora affrontato nei precisi termini nei quali è stato ora prospettato.
Nel frattempo la Corte, esaminando questioni in parte diverse, perchè riguardanti altre ipotesi normative rispetto alle quali era stato prospettato il medesimo problema dell'esigenza di una più razionale graduazione delle sanzioni, ha mutato l'originario indirizzo di infondatezza, rilevando in più occasioni (v., da ultimo, sentenza n. 97 del 1994) l'incongruenza dell'attuale sistema che assoggetta alla medesima sanzione fattispecie in realtà fra loro diverse, senza distinguere in ragione della loro maggiore o minore gravità, pronunciandosi però per l'inammissibilità delle questioni nella considerazione della obbiettiva difficoltà che incontrerebbe un intervento additivo della Corte nei sensi auspicati.
In dette occasioni è stato tuttavia rivolto l'invito al legislatore per una revisione delle norme di volta in volta denunciate, in modo da realizzare una ragionevole graduazione del sistema sanzionatorio complessivo, in conformità al principio enunciato dall'art. 10, punto 11, della legge di delega 9 ottobre 1971, n. 825, che prevede appunto la commisurazione delle sanzioni all'effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni e quindi la differenziazione delle ipotesi diverse. Ciò anche nella evidente considerazione, in relazione agli inconvenienti lamentati, che il perfezionamento della disciplina sanzionatoria, nel senso di una razionale graduazione delle sanzioni, costituisca il necessario presupposto per un corretto rapporto tra cittadini e fisco (sentt. nn. 97 del 1994 e 83 del 1989).
Tenuto perciò conto, da un lato, del carattere legislativo di una possibile pronuncia correttiva di questa Corte in senso additivo, come auspicato dal giudice rimettente, e dall'altro delle conseguenze che determinerebbe l'unico intervento che potrebbe essere consentito a questa Corte sullo specifico oggetto e cioè quello della dichiarazione di illegittimità della norma denunciata, devesi ribadire l'auspicio di un intervento legislativo che conferisca al sistema l'invocata razionalità, in modo da eliminare gli inconvenienti che è dato obbiettivamente di riscontrare nella normativa vigente, come è dimostrato dalla frequenza con cui questioni del genere di quella oggetto del presente giudizio vengono sollevate, stante l'assenza di risposte nella sede legislativa che è la più appropriata per eliminare gli inconvenienti determinati dalla mancata graduazione delle sanzioni.
Per le ragioni anzidette la questione deve essere dichiarata inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), sollevata, in riferimento agli artt. 3,53 e 76 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di secondo grado di Lecce con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/05/95.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Vincenzo CAIANIELLO, Redattore
Depositata in cancelleria il 26/05/95.