Sentenza n. 128 del 1986

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SENTENZA N. 128

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente 

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 55 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 (disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) e artt. 92 e 95 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito); art. 10, n. 11 legge 9 ottobre 1971 n. 825 (delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l'8 febbraio 1984 dalla Commissione tributaria di primo grado di Imperia sul ricorso proposto da Rigoni Alfonso e C. iscritta al n. 542 del registro ordinanze '84 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 266 dell'anno 1984;

2) ordinanza emessa il 19 marzo 1984 dalla Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa sul ricorso proposto da Bresolin Luciano, iscritta al n. 850 del registro ordinanze '84 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7 bis dell'anno 1985;

3) ordinanza emessa il 15 marzo 1984 dalla Commissione tributaria di primo grado di Belluno sul ricorso proposto dalla Latteria Turnaria cooperativa, iscritta al n. 859 del registro ordinanze '84 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7 bis dell'anno 1985;

visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 marzo 1986 il Giudice relatore Ettore Gallo;

udito l'Avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza 11 novembre 1981, la Commissione tributaria di primo grado di Imperia aveva sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 55 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 per contrasto con i principi fissati dall'art. 10, comma secondo, n. 11 della legge-delega 9 ottobre 1971 n. 825, e perciò in violazione degli artt. 76 e 77 Cost..

Ma, l'art. 55 comma terzo del citato decreto anche per contrasto con l'art. 3 Cost..

La questione era sorta a seguito del ricorso interposto da tale Alfonso Rigoni, rappresentante della società di fatto "Alfonso Rigoni e C.", avverso avviso di accertamento, notificatogli il 6 agosto 1980 dall'ufficio II.DD. di Imperia, che gli aveva contestato la mancata presentazione della dichiarazione di sostituto d'imposta per l'anno 1974; e ciò, pur avendo egli corrisposto, nel corso dell'anno predetto, ai suoi dipendenti emolumenti per Lit. 3.952.000. Conseguentemente gli veniva richiesto il pagamento delle ritenute d'acconto calcolate nella complessiva somma di Lit. 149.000, oltre alla pena pecuniaria di Lit. 105.000 per il mancato pagamento. Sosteneva, invece, il ricorrente di aver regolarmente provveduto al versamento delle ritenute d'acconto, e produceva a riprova copie delle relative ricevute. Tutto si riduceva, perciò, all'omessa presentazione della dichiarazione del sostituto d'imposta sul mod. 770, avvenuto per mera dimenticanza degli impiegati addetti per cui eccessiva sembrava al Giudice tributario la pretesa, sancita dall'impugnato art. 47, di sottoporre il cittadino a nuovo pagamento dell'imposta già versata. Per tal modo, infatti, una semplice omissione formale, veniva equiparata nella sanzione al doloso comportamento di chi omette per celare l'evasione. Una siffatta indiscriminata equiparazione di trattamento sanzionatorio veniva a violare apertamente - secondo l'ordinanza - il criterio direttivo della "migliore commisurazione delle sanzioni alla effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni", prescritta dal n. 11 del comma secondo dell'art. 10 della legge delega, rendendo incompatibili con tale direttiva gli artt. 47, primo comma e 55 del decreto n. 600/1973.

In particolare, poi, l'art. 55 appariva nel suo terzo comma in contrasto anche con l'art. 3 Cost., nella parte in cui ammetteva l'oblazione della pena pecuniaria (nella misura di un sesto del massimo della pena), se la violazione era stata constatata in occasione di accessi, ispezioni o verifiche, eseguite à sensi dell'art. 33 del decreto stesso, e non quando essa veniva contestata per accertamento d'ufficio, o addirittura quando era lo stesso contribuente a renderla nota mediante tardiva presentazione.

Questa Corte, tuttavia, con sentenza 30 settembre 1983 n. 310, restituiva gli atti al giudice a quo affinché avesse ad accertare la permanenza della rilevanza per l'ipotesi che il ricorrente si fosse avvalso della presentazione di dichiarazione integrativa, ai sensi della sopravvenuta l. 12 febbraio 1983 n. 27 che ha convertito con modificazioni il d.l. 15 dicembre 1982 n. 916.

Con ordinanza 8 febbraio 1984, la detta Commissione tributaria, accertato che il ricorrente non si era avvalso nei termini della normativa citata, per cui le già sollevate questioni permanevano tuttora rilevanti, ritrasmetteva gli atti a questa Corte per il giudizio su di esse.

Come già nel precedente giudizio, interveniva nuovamente l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, che chiedeva dichiararsi l'infondatezza della questione.

Ribadiva, infatti, l'Avvocatura che l'entità oggettiva e soggettiva della violazione, cui la sanzione va commisurata, non é limitata al danno corrispondente al mancato pagamento dell'imposta, ma va riferita ad ogni aspetto dell'interesse pubblico al puntuale adempimento di tutti gli obblighi tributari. Nella specie, la denuncia del sostituto d'imposta ha anche lo scopo di consentire l'esatta tassazione dei redditi del contribuente sostituito, redditi di cui l'omissione della dichiarazione rende problematico l'accertamento: si giustificherebbe, perciò, il rigore che il decreto usa indiscriminatamente per ogni specie di omissione.

D'altra parte, l'art. 54 del decreto contiene i principi per la determinazione in concreto della pena pecuniaria, che fanno riferimento alla gravità del danno e alla personalità dell'autore. Di tal ché la Commissione aveva la possibilità di differenziare in concreto la sanzione per il caso di semplice omissione formale, evitando una censura che il decreto non meritava. Secondo l'Avvocatura, infatti, appartiene alla discrezionalità del legislatore la scelta fra la comminazione in astratto di pene diverse a seconda della gravità delle violazioni, o l'affidamento della differenziazione alla concreta irrogazione della pena attraverso il gioco di circostanze.

2. - Con ordinanza 7 maggio 1979 la Commissione tributaria di primo grado di Bassano del Grappa aveva ordinato la sospensione del processo promosso con ricorso 14 novembre 1977 dal dr. Luciano Bresolin, nella sua qualità di Curatore della Ditta Bosio Carlo - Camiceria Carlòs, già corrente in Bassano del Grappa, dichiarata fallita con sentenza 9 febbraio 1977 dal Tribunale locale.

Il dr. Bresolin si era opposto all'accertamento notificatogli dal locale Ufficio II.DD. il 12 settembre precedente, per avere egli omesso di effettuare e versare la ritenuta di acconto su parte degli emolumenti corrisposti a vari professionisti nell'anno 1974, e all'irrogazione di ben cinque conseguenti sanzioni, di cui due per violazioni dell'art. 47 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e tre per infrazioni agli artt. 92 e 95 del d.P.R. stessa data n. 602.

Il Giudice Tributario, rilevando che ambo i decreti erano stati emanati dal Governo sulla base della legge di delegazione 9 ottobre 1971 n. 825, e precisamente, per quanto riguardava gli articoli impugnati, in relazione all'art. 10, secondo comma, n. 11 della legge stessa, osservava che in detta norma non esistevano per il Governo precisi punti di riferimento. Infatti, secondo l'ordinanza, se da un lato il legislatore aveva prescritto "la migliore commisurazione delle sanzioni alla effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni", dall'altro, però, non sarebbe stato dettato alcun criterio direttivo per realizzare la detta finalità. E poiché la stessa Commissione Tributaria aveva già investito questa Corte di identica questione con precedente ordinanza n. 213/77, decideva di sospendere il giudizio attuale in attesa che la Corte si pronunciasse sulla questione già sollevata.

Questa Corte, però, con la già citata sentenza n. 310/83, aveva restituito gli atti affinché la rilevanza fosse rivalutata in relazione alla l. 12 febbraio 1983 n. 27. La Commissione riprendeva allora il giudizio e, constatato che il ricorrente non aveva utilizzato la normativa predetta, con ord. 19 marzo 1984 (n. 850/84) sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 del d.P.R. n. 600/1973 e degli artt. 92 e 95 del d.P.R. n. 602 del 1973; e ciò in quanto l'art. 10, comma secondo, n. 11 della legge delega, sulla base del quale quegli articoli erano stati emanati dal Governo, non era compatibile, per i motivi sopra enunciati, con gli artt. 23 e 76 Cost.

Interveniva nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, che chiedeva dichiararsi l'infondatezza della sollevata questione.

Nell'ampio e motivato atto d'intervento l'Avvocatura rilevava che, a parte quanto dedotto dalla Commissione in ordine alle sanzioni penali che, non essendo oggetto del giudizio, rendevano quella parte irrilevante, il Giudice a quo avrebbe preso in esame solo alcuni dei criteri dettati dal legislatore, finendo così per avere una visione incompleta e fuorviante del problema. Infatti, precetti e sanzioni, lungi dall'essere rimessi all'arbitrio del legislatore delegato, sono già presenti, quanto ai primi, nelle norme sui tributi nuovi, o riformati e, quanto alle seconde, in quelle stabilite in via generale dall'ordinamento tributario.

Ne consegue che la discrezionalità concessa al Governo é ben circoscritta alla scelta dei precetti da sanzionare e a quella fra le varie sanzioni predeterminate: il tutto poi subordinato alla necessità della prescritta commisurazione tra entità della violazione e gravità della sanzione.

3. - Pressoché identiche a quelle appena riferite sono le questioni che risollevava la Commissione Tributaria di primo grado di Belluno con ordinanza 15 marzo 1984, dopo avere accertato - a seguito della richiamata sentenza n. 310/1983 di questa Corte - che il contribuente non si era avvalso della normativa di sanatoria, e che perciò le eccezioni prospettate con la precedente ordinanza 6 marzo 1981 erano da ritenersi tuttora rilevanti sotto i profili segnalati.

Esse avevano avuto origine dal ricorso proposto dalla Latteria Turnaria Cooperativa di Frontin, in comune di Trichiana (BL) avverso l'avviso di accertamento 6 maggio 1980 dell'Ufficio locale II.DD. che, contestando la mancata presentazione della dichiarazione mod. 770 relativa al 1977, aveva irrogato una pena pecuniaria di Lit. 797.000, pari al doppio importo delle ritenute I.R.P.E.F. dovute dalla Latteria, quale sostituto d'imposta relativa alla retribuzione corrisposta ad un dipendente. La ricorrente sosteneva di avere regolarmente provveduto alle ritenute mensili, che aveva puntualmente versato, come risultava dai 12 bollettini di versamento trasmessi in risposta ad un questionario inviato dall'Ufficio; l'omessa presentazione del modello 770 era dovuta ad erronea interpretazione della legge da parte dell'Associazione Cooperativa che aveva assunto l'incarico di provvedervi; anche qui, in altri termini, una infrazione puramente formale.

Nella motivazione l'ordinanza di remissione denunziava la violazione dell'art. 76 della Costituzione da parte dell'art. 10 n. 11 della legge n. 825 del 1971 nonché un eccesso di delega in cui sarebbe incorso il d.P.R. n. 600 del 1973, il cui art. 47 non risulterebbe conformato alla migliore commisurazione delle sanzioni alla effettiva entità oggettiva e soggettiva delle infrazioni.

Il Presidente del Consiglio dei ministri interveniva anche in questo, come già nel precedente giudizio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato che, ribadendo i precedenti rilievi, chiedeva declaratoria d'infondatezza.

Considerato in diritto

1. - L'ordinanza della Commissione Tributaria di Bassano del Grappa, di cui al n. 2 della narrativa, pur impugnando norme emanate dal legislatore delegato, in realtà rivolge censura d'illegittimità costituzionale esclusivamente e direttamente all'art. 10, comma secondo, n. 11 della legge di delegazione 9 ottobre 1971 n. 825, per asserita incompatibilità nei confronti degli artt. 23 e 76 Cost..

Afferma, infatti, testualmente l'ordinanza che i decreti delegati "visti a monte, cioé in rapporto alla legge di delegazione n. 825/71, art. 10, punto 11, vanno censurati perché tale legge appare viziata di validità costituzionale".

La Corte, tuttavia, non prende in considerazione le non poche censure riguardanti le pene detentive, perché manifestamente eccedenti i limiti di rilevanza propri della questione proposta: gli articoli dei decreti delegati, infatti che, per il detto rapporto con la legge delega, sono stati impugnati, riguardano esclusivamente sanzioni amministrative pecuniarie.

Analoga questione propone anche la Commissione Tributaria di Belluno.

Tutto ciò precisato, deve dirsi che la sollevata questione non é fondata.

É da escludersi, infatti, che - come sostiene il giudice tributario - la delega in parola possa essere addirittura definita "in bianco" perché attribuirebbe al potere delegato "un illimitato potere di scelta dei tipi di sanzione utilizzabili per punire gli illeciti, e di classificazione dei fatti cui estende l'applicazione": e ciò, in quanto indeterminati o assenti sarebbero i criteri direttivi.

Come questa Corte ha rilevato in sentenza n. 111/1986, occorre guardarsi da prospettive particolari che, avulse dal contesto del complesso generale del sistema, danno un concetto erroneo e riduttivo dei principi fissati dal legislatore delegante. Questi, infatti, ha assegnato al potere delegato un compito ben preciso, consistente nell'adeguazione della preesistente disciplina delle sanzioni tributarie alla riforma che la legge delega prefigurava. Ma non é vero che nella scelta dei precetti da sanzionare e in quella delle sanzioni da adottare il legislatore delegante non abbia indicato criteri e non abbia posto limiti al Governo. Quelle scelte, infatti, restano subordinate ad un preciso criterio indicato nella delega: quello, cioé, di commisurare e graduare le sanzioni alla entità delle violazioni, al fine di adeguare alla riforma la disciplina della situazione preesistente; e ciò nella prospettiva di un perfezionamento del sistema sanzionatorio.

Costretto, pertanto, fra scelte obbligate su oggetti predeterminati e precisi criteri di scelta, non si può affermare che il legislatore delegato non abbia la strada segnata da principi e criteri direttivi: giusta le indicazioni del dettato costituzionale.

Deve dirsi, infine, che inconferente é il riferimento all'art. 23 Cost., essendo pacifico, per la stessa ordinanza di rimessione, che le prestazioni di cui ivi si parla sono nella specie stabilite per legge.

2. - Con le ordinanze delle Commissioni Tributarie di Imperia e di Belluno si lamenta, ancora, che l'art. 47 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, non abbia rispettato i principi e i criteri dettati dall'art.10, comma secondo, n. 11 della legge delega più volte citata, per tal modo violando gli artt. 76 e 77 Cost. La Commissionedi Imperia fa inoltre riferimento all'art. 55 del d.P.R. n. 600 che violerebbe la legge di delegazione e si porrebbe anche in contrasto con l'art. 3 Cost. La situazione di fatto é comune alle due ordinanze ed é rappresentata dalla mancata presentazione della dichiarazione di sostituto d'imposta, relativa all'I.R.P.E.F., sul mod. 770, nonostante fossero state effettuate le ritenute, tuttavia regolarmente versate all'erario.

Sostengono i remittenti che le sanzioni previste per siffatte situazioni violerebbero i criteri dettati dal citato articolo della legge delega perché, lungi dal commisurare le sanzioni stesse alla effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni, il legislatore delegato avrebbe comminato una non diversificata sanzione tanto per il caso in esame quanto per quello in cui la ritenuta d'acconto non fosse stata effettuata o, se effettuata, non fosse stata versata.

Rilievo che, per verità, sembrerebbe prima facie avere un qualche fondamento, quando però non si rifletta alla ratio cui sono ispirati gli obblighi che la legge impone al sostituto d'imposta.

La dichiarazione, infatti, prevista nel mod. 770, non mira soltanto ad assicurare all'Erario la quota che il sostituto trattiene al sostituito, ma ha altresì valore cognitivo, in quanto consente agli uffici di apprendere che il sostituito possiede fonti di reddito, mettendoli conseguentemente in grado di verificare l'esistenza e l'entità delle dichiarazioni che egli a sua volta é obbligato a rendere, ed eventualmente a procedere agli accertamenti del caso.

Sotto questo riguardo, quindi, non si tratta - come si sostiene - di una mera violazione formale, ché anzi essa riveste un notevole rilievo sostanziale, tale da corrispondere ai principi di adeguata commisurazione in relazione alla situazione di pericolo che l'omissione viene a determinare per gli interessi dell'Erario. Peraltro, il giudice tributario ben può tenere conto, nella determinazione della pena in concreto, anche dei principi dettati dall'art. 54 dello stesso decreto che fa riferimento alla gravità del danno o del pericolo e alla personalità dell'autore.

3. - Quanto, infine, alla questione concernente l'impugnazione dell'art. 55 del decreto in esame, sollevata soltanto dalla Commissione Tributaria di Imperia, con riferimento all'art. 3 Cost., deve rilevarsi che il giudice tributario non ha speso una sola parola per giustificarne la rilevanza in ordine al caso di specie: tanto più che non spiega né se né come si renderebbero applicabili alla specie i benefici previsti dal terzo comma, dell'art. 55, ove questa Corte li giudicasse estensibili oltre l'ipotesi ivi prevista.

La questione, pertanto, così come proposta é inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi:

dichiara non fondata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 10, comma secondo, n. 11, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, 47 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 92 e 95 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, questione promossa dalle Commissioni Tributarie di Bassano del Grappa (r.o. n. 850/84) e di Belluno (r.o. n. 859/84);

dichiara non fondata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione ed in relazione all'art. 10, comma secondo, n. 11 della legge 9 ottobre 1971, n. 825, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 47 e 55 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, promossa dalle Commissioni Tributarie di Imperia (r. o. n. 524/84) e di Belluno (r.o. n. 859/84);

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 55 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di Imperia (r.o. 524/84).

Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 1986.

 

Livio PALADIN - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA

 

Depositata in cancelleria il 23 maggio 1986.