Sentenza n. 107 del 1995

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SENTENZA N. 107

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 6, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, convertito nella legge 18 marzo 1993, n. 67 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale), promosso con ordinanza emessa il 9 luglio 1994 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Zucchi Manlio ed altri contro l'I.N.P.S. ed altro, iscritta al n. 573 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di costituzione dell'I.N.P.S.; udito nell'udienza pubblica del 7 febbraio 1995 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

1.-- Con ordinanza emessa in data 9 luglio 1994, il Pretore di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 6, della legge n. 67 del 1993 (recte: del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, recante disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale, convertito nella legge 18 marzo 1993, n. 67).

Secondo il giudice remittente, la norma impugnata, nello stabilire, per i cittadini a suo tempo non tenuti all'iscrizione ad un istituto mutualistico di natura pubblica, l'obbligo di versare, per gli anni 1984 e 1985, un contributo di malattia commisurato al reddito imponibile ai fini IRPEF, senza, tra l'altro, limite di massimale, creerebbe una ingiustificata discriminazione rispetto agli altri contribuenti. La discriminazione è, altresì, prospettata rispetto ai versamenti richiesti agli stessi "non mutuati" per gli anni precedenti e per il successivo 1986, non essendovi stati, per gli anni 1984 e 1985, oneri particolari a carico dell'assistenza sanitaria, tali da giustificare il maggior esborso contributivo.

La norma viene, infine, censurata per violazione del criterio di progressività del sistema tributario.

2.-- Nel giudizio di fronte alla Corte costituzionale si è costituito l'I.N.P.S., il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile. Nella memoria depositata si assume la legittimità del riferimento fatto dalla disposizione impugnata al reddito IRPEF e dell'assunzione dell'imponibile fiscale quale base per la determinazione dell'onere contributivo, senza collegamento con il costo delle prestazioni a carico dell'assistenza sanitaria e con le sue variazioni, secondo un criterio seguito anche per i lavoratori dipendenti e autonomi. Si deduce, altresì, che la norma avrebbe fatto ricorso al reddito per l'impossibilità di prevedere i contributi dovuti annualmente, sulla base della variazione degli oneri sostenuti dall'assistenza sanitaria nel corso dell'anno precedente.

Considerato in diritto

1.-- Con l'ordinanza in epigrafe, il Pretore di Milano solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 6, della legge 18 marzo 1993, n. 67 (recte: del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, contenente disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale, convertito nella legge 18 marzo 1993, n. 67), nella parte in cui dispone che, per gli anni 1984 e 1985, i cittadini <non mutuati> debbono pagare il contributo per l'assistenza di malattia previsto dall'art. 63 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, in misura percentuale rispetto all'entità dell'intero reddito imponibile a fini IRPEF.

2.-- La disposizione è stata emanata dopo che talune pronunzie del giudice amministrativo e del giudice ordinario avevano dichiarato l'illegittimità, per violazione del disposto dell'art. 63 della legge n. 833 del 1978, dei decreti ministeriali che avevano determinato il contributo dovuto al servizio sanitario nazionale dai cittadini non mutuati, per gli anni dal 1980 al 1985.

Nel riconfermare, in via legislativa, l'obbligo contributivo nella misura a suo tempo stabilita con i decreti ministeriali, si dispone, in particolare, per gli anni 1984 e 1985, che il contributo resti determinato, tenendo conto delle variazioni previste nel costo medio pro-capite dell'anno precedente, in un importo pari al 5,50 per cento del reddito imponibile ai fini IRPEF.

Secondo il remittente, la norma contrasterebbe con: -- l'art. 3 della Costituzione, per l'ingiustificata discriminazione che un esborso contributivo commisurato, senza limite di massimale, al reddito dichiarato ed imponibile ai fini IRPEF, realizzerebbe rispetto agli altri contribuenti e rispetto, altresì, agli stessi <non mutuati> per i versamenti richiesti relativamente agli anni precedenti ed al successivo 1986, senza che, a giustificare il maggiore esborso contributivo degli anni 1984 e 1985, vi siano stati oneri particolari a carico dell'assistenza sanitaria; -- l'art. 53 della Costituzione, non risultando rispettato il criterio di progressività del sistema tributario.

3.-- La questione non è fondata.

Quanto alla lamentata violazione dell'art. 3 della Costituzione, la Corte, nelle varie occasioni in cui è stata chiamata ad occuparsi del tema della contribuzione al servizio sanitario nazionale, non ha mancato di evidenziare le incoerenze di fondo del relativo quadro normativo, ed in particolare le disarmonie fra le varie disposizioni in materia di prelievo contributivo.

La Corte ha indicato, già a suo tempo (v. sentenze nn. 167 del 1986 e 431 del 1987), in una più equilibrata previsione e distribuzione dei costi, insieme all'effettivo incremento dell'efficienza, la condizione per realizzare, anche sul versante delle occorrenti entrate, un sistema univoco nelle sue previsioni e certo nei suoi contenuti e scopi. Nel contempo, ha ritenuto che le disposizioni in materia contributiva sottoposte a vaglio di costituzionalità potessero trovare giustificazione, alla luce del criterio di gradualità, nella progressiva attuazione del nuovo sistema, tale da richiedere imponenti e rilevanti trasformazioni per il raggiungimento dell'obiettivo della tutela della salute (art. 32 della Costituzione). Nel solco di tali precedenti orientamenti, la conformità o meno a Costituzione della norma denunciata è da valutare, perciò, in riferimento al contesto temporale in cui essa va a collocarsi e che, per quanto caratterizzato dall'emergere, già all'epoca, di taluni dati positivi sul versante della spesa (legge 23 ottobre 1985, n. 595 e successive integrazioni e modifiche), continuava a contraddistinguersi per la perdurante carenza di un completo ed organico processo di allineamento, a superamento della fase transitoria di trapasso dal chiuso sistema mutualistico, limitato a categorie determinate, all'altro, aperto e generale, rivolto a tutti i cittadini sulla base di una equa ripartizione degli oneri.

Il riflesso di tale realtà ordinamentale in evoluzione si coglie, peraltro, anche nell'ordinanza in epigrafe che, nel prospettare una disparità di trattamento "rispetto agli altri contribuenti", non indica puntualmente, nè si vede come potrebbe farlo, un vero e proprio tertium comparationis, con l'effetto, perciò, di evidenziare, piuttosto, una generale disarticolazione normativa derivante dalla mancanza, già rilevata nelle precedenti sentenze, di criteri di omogenea ripartizione degli oneri.

In particolare, per quanto attiene alla lamentata insussistenza, per gli anni in discussione, di un massimale cui commisurare la contribuzione, va rilevato che, nel periodo al quale occorre riferirsi, non si rinvengono nella legislazione tendenze univoche in ordine a tale aspetto della disciplina, tanto è vero che il raffronto che si volesse effettuare con altre categorie di soggetti, parimenti tenute al versamento del contributo di malattia, non è tale da confortare l'assunto del giudice a quo, come reso palese dall'art. 12 del decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402, convertito nella legge 26 settembre 1981, n. 537, che ha disposto l'abolizione del massimale stesso per la categoria dei lavoratori autonomi.

4.-- Quanto, poi, all'asserito contrasto della norma portata all'esame della Corte con l'art. 53 della Costituzione, vanno, del pari, rammentate le varie pronunzie della Corte costituzionale che non hanno ritenuto di poter ravvisare nel contributo di malattia caratteristiche tributarie certe, attesa la permanenza di evidenti connotati di carattere assicurativo. Tenendo conto, peraltro, del le più recenti tendenze evolutive, sono stati, da ultimo, posti in risalto (sentenza n. 2 del 1995) elementi di fondo, non privi di rilievo per una meno dubbia soluzione della questione, e cioè l'imposizione di un sacrificio economico individuale realizzata attraverso un atto amministrativo di carattere ablatorio, insieme alla destinazione del gettito scaturente da tale ablazione al fine di integrare la finanza pubblica.

Ma, a parte il problema della natura tributaria o meno del contributo di cui trattasi, è qui sufficiente la considerazione del ripetuto orientamento della giurisprudenza costituzionale, secondo il quale il principio di progressività di cui all'art. 53 della Costituzione concerne l'ordinamento tributario nel suo complesso (sentenze n. 150 del 1985 e n. 263 del 1994), ma non vieta che i singoli tributi possano ispirarsi a criteri diversi.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 6, del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9 (Disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio-assistenziale), convertito nella legge 18 marzo 1993, n. 67, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dal Pretore di Milano con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 6 aprile 1995.