SENTENZA N. 103
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 4, della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell'indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti), promossi con n. 13 ordinanze emesse l'8 marzo 1994 dal Pretore di Salerno, il 25 febbraio 1994 dal Pretore di Vallo della Lucania (n. 7 ordinanze), l'11 febbraio e il 20 maggio 1994 dal Consiglio di Stato, il 29 aprile 1994 dal Pretore di Chieti, l'8 agosto 1994 dal Pretore di Roma, il 24 febbraio 1994 dal Tribunale amministrativo regionale della Liguria, rispettivamente iscritte ai nn. 252, 286, 287, 288, 289, 290, 291, 292, 502, 567, 569, 698 e 760 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 20, 22, 38, 40, 49, prima serie speciale, dell'anno 1994 e nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visti gli atti di costituzione dell'I.N.P.S., nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto; uditi l'avv. Valerio Mercanti per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Il Consiglio di Stato con due ordinanze, il T.A.R. della Liguria, il Pretore di Vallo della Lucania con sette ordinanze, nonchè i Pretori di Salerno, di Roma e di Chieti hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale relativamente ad alcuni articoli della recente legge n. 87 del 1994, recante "Norme relative al computo dell'indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti".
Tutti i giudici remittenti dubitano della legittimità costituzionale - in riferimento a molti parametri variamente richiamati, e cioè agli artt. 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione - dell'art. 4, comma 1, della citata legge, secondo cui "i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge aventi ad oggetto la riliquidazione del trattamento di fine servizio comunque denominato con l'inclusione della indennità integrativa speciale sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese tra le parti".
Inoltre, il Consiglio di Stato dubita dell'art. 1, comma 1, lett. a), in relazione alla lett. b), nonchè dell'art. 2, comma 4, e dell'art. 3; il T.A.R. della Liguria, degli artt. 1 e 2; il Pretore di Vallo della Lucania, dell'art. 2, comma 4, e dell'art. 3; il Pretore di Salerno, infine, dell'art. 2, comma 4.
2. - Con riguardo all'art. 4, comma 1, osserva il Consiglio di Stato che esso viola gli artt. 103 e 113 della Costituzione perchè sottrae alla valutazione del giudice i profili relativi al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, anche riguardo alla compensazione delle spese di lite, e determina l'invasione delle attribuzioni del giudice, pregiudicando la sua indipendenza. Escluso, inoltre, il carattere innovativo della legge (disciplinatrice soltanto della misura, dei modi e dei tempi di computo dell'indennità di anzianità, rinvenendosi invece nella previgente normativa, come emendata dalla pronuncia di illegittimità costituzionale n. 243 del 1993, il riconoscimento della titolarità del diritto ad un adeguato computo dell'indennità medesima), il Collegio remittente deduce altresì la violazione delle garanzie costituzionali afferenti alla inviolabilità del diritto di difesa ed alla naturale precostituzione del giudice. Infine, secondo il giudice a quo, la norma si porrebbe in contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione, da un lato perchè la dichiarazione di estinzione si risolverebbe nella vanificazione proprio di quei giudizi che hanno consentito la proposizione in via incidentale della antecedente questione di costituzionalità (definita dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 243 del 1993) ovvero dei giudizi di primo grado già risoltisi favorevolmente per i ricorrenti, e dall'altro lato perchè la riconnessa previsione normativa della proposizione in sede amministrativa della domanda di applicazione del trattamento entro il termine perentorio del 30/9/94 (art. 3, comma 2, anch'esso impugnato), non sarebbe giustificata nei confronti di quei soggetti che avevano già proposto la loro pretesa in sede giurisdizionale.
2.1. - In senso analogo, seppure in termini più sintetici, argomenta il Pretore di Salerno, il quale inoltre - rilevato che la funzione giurisdizionale è "affermazione dell'ordinamento nel caso concreto" - osserva che attraverso la norma impugnata il legislatore (dopo avere connotato il diritto, scandendone modalità e tempi), nello stabilire l'automatica estinzione del processo e la declaratoria di compensazione delle spese, ha travalicato il limite della normazione, sconfinando nell'attuazione del sancito diritto, con invasione delle attribuzioni tipiche del giudice, organo indipendente, durante un giudizio ancora in corso dinanzi a questo e violando, quindi, i richiamati parametri costituzionali.
2.2. - Secondo il Pretore di Chieti, poi, la norma de qua si tradurrebbe, a seguito dell'esclusione del potere decisionale del giudice, in un ingiustificato pregiudizio per la parte interessata, con conseguente lesione dei princìpi costituzionali di cui agli artt. 24 e 38. Inoltre, si porrebbe in contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione, in quanto verrebbe a gravare delle spese processuali il ricorrente che abbia agito in sede giurisdizionale, penalizzandolo rispetto a colui il quale non abbia inteso azionare giudizialmente il proprio diritto e nei confronti del quale si sia verificata, con il decorso del tempo e senza il compimento di atti interruttivi della prescrizione, una situazione preclusiva dell'esercizio del diritto stesso. Infine, sempre secondo il Pretore di Chieti, la norma de qua si appaleserebbe censurabile anche in riferimento agli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, sotto l'aspetto dell'eccesso di potere legislativo, dal momento che si sarebbe realizzata una indebita ingerenza del legislatore nei procedimenti in corso, con la conseguente sottrazione al giudice civile del potere di regolamentazione delle spese processuali secondo l'affermazione della soccombenza virtuale.
2.3. - A sua volta, il Pretore di Roma ravvisa nel censurato art. 4 la violazione degli artt. 3, 25 e 102 della Costituzione, assumendo: a) che l'estinzione d'ufficio del processo e la compensazione delle spese di lite, senza l'accoglimento integrale delle domande proposte, vanifica il ricorso alla tutela giurisdizionale comportando la negazione, almeno parziale, della tutela del diritto che si assume leso (con violazione, quindi, dell'art. 24 della Costituzione); b) che la obbligatoria disciplina delle spese di lite contrasta con il principio di riserva della giurisdizione di cui al primo comma dell'art. 102 della Costituzione, sottraendo al giudicante la possibilità di esplicare la potestà giurisdizionale in relazione a determinati processi; c) che la previsione della compensazione delle spese stesse e quindi il superamento del generale principio della soccombenza non trova alcuna ragione, creando una ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni identiche, poichè nel giudizio civile la soccombenza funge da parametro di riferimento per la generalità delle pronunce dei giudici.
2.4. - Con riferimento alla norma de qua, il Pretore di Vallo della Lucania ravvisa, invece, la sola violazione dell'art. 24 della Costituzione, senza tuttavia svolgere proprie specifiche argomentazioni.
2.5. - Il T.A.R. della Liguria, infine, sviluppa gli stessi argomenti prospettati in merito dagli altri giudici remittenti sulla violazione dei princìpi fondamentali di azione e di difesa enunciati dall'art. 24 della Costituzione, ribadendo la natura non pienamente satisfattiva assunta dallo ius superveniens rispetto alla pretesa fatta valere dal ricorrente (avuto riguardo sia al computo ridotto dell'indennità integrativa speciale
nel calcolo dell'indennità di anzianità, sia alla mancata corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria sul credito).
3. - Riguardo, poi, alle altre norme variamente impugnate dai giudici a quibus, rileva il Consiglio di Stato che l'art. 1, comma 1, lett. a) della legge n. 87 del 1994 violerebbe gli artt. 3 e 36 della Costituzione, apparendo irrazionale il contenimento della quota di computabilità dell'indennità integrativa speciale nella misura del 30 per cento per i dipendenti degli enti pubblici non economici, in rapporto al diverso trattamento riservato dalla stessa legge alla generalità dei dipendenti delle altre pubbliche amministrazioni ed agli stessi iscritti all'Opera di previdenza ed assistenza per i ferrovieri dello Stato, nonchè in rapporto alla misura di ogni altro elemento retributivo computabile, che l'art. 13 della legge n. 70 del 1975 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente) considera per intero relativamente proprio ai dipendenti di tali enti. E ciò in quanto la discrezionalità del legislatore ordinario nella determinazione della base di calcolo ai fini del tratta mento di fine rapporto non potrebbe ritenersi estesa alla previsione di ingiustificate commisurazioni sperequative ed inidonee a soddisfare l'esigenza di adeguatezza e proporzionalità cui la riforma avrebbe dovuto ispirarsi secondo le indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 243 del 1993.
Sempre secondo il Consiglio di Stato, inoltre, l'art. 2, comma 4, della stessa legge contrasterebbe con gli artt. 3 e 36 della Costituzione, perchè, da un lato, sottoporrebbe i crediti ivi considerati (in conseguenza dell'inadempimento dei rispettivi debiti) ad un trattamento risarcitorio deteriore rispetto a quello previsto per ogni altro credito di qualsiasi genere ed anche da lavoro dipendente, senza che ne sussistano peculiarità differenziatrici, mentre, dall'altro lato, esporrebbe tali specifici crediti, nel loro carattere di retribuzione differita ormai legislativamente riconosciuto, alla diminuzione conseguente al decorso del tempo, così da svilirne la intrinseca proporzionalità alla qualità e quantità del lavoro prestato e la sufficienza alla esistenza libera e dignitosa del lavoratore.
3.1. - In modo sostanzialmente analogo argomenta il T.A.R. della Liguria, il quale peraltro evoca come parametro costituzionale violato l'art. 97, giacchè le suddette norme urterebbero contro il principio di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione, introducendo una deroga a favore dello Stato al principio fondamentale di liquidazione dei debiti liquidi ed esigibili.
3.2. - Il Pretore di Salerno impugna anch'esso l'art. 2, comma 4, affermando che, nel momento in cui viene riconosciuta natura di retribuzione differita al trattamento di fine rapporto (comunque lo si denomini e comunque lo si componga), ogni disposizione che venga a vulnerare il diritto alla giusta retribuzione, mediante la sostanziale preclusione dell'operatività dei sistemi di garanzia della realità della retribuzione stessa, finirebbe col porsi in contrasto con l'art. 36 della Costituzione; del pari (anche a volere riconoscere all'indennità integrativa speciale attribuita agli statali natura previdenziale) non potrebbe dubitarsi della specifica funzione, da questa assunta, di completamento di un reddito che a seguito del collocamento a riposo si è venuto a ridurre, con conseguente applicazione ai relativi crediti dei princìpi di adeguatezza sanciti per le retribuzioni dall'art. 36 della Costituzione e dalle norme primarie contenenti le modalità di attuazione di siffatti princìpi (quali l'art. 429 c.p.c.).
L'esclusione, poi, della corresponsione degli interessi e della rivalutazione verrebbe a creare una disparità di trattamento tra soggetti collocati in pensione negli anni andati e quelli collocati successivamente all'entrata in vigore nell'anno corrente.
3.3. - Relativamente alla norma de qua, il Pretore di Vallo della Lucania, infine, ne deduce il contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione per l'asserita violazione sia del principio di adeguatezza della retribuzione e delle prestazioni previdenziali, sia del criterio di ragionevolezza, perchè la previsione della riliquidazione dell'indennità premio di servizio, senza il riconoscimento della rivalutazione monetaria, quantomeno a far data dall'entrata in vigore della legge, comporterebbe di fatto l'ingiustificato depauperamento del contenuto economico della retribuzione differita con funzione previdenziale, dovendosi a tal fine considerare anche il lasso di tempo intercorso dalla cessazione del servizio.
4. - In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale rispettivamente sollevate dai giudici remittenti siano dichiarate manifestamente infondate.
4.1. - Con riguardo alla questione sollevata da tutti i giudici remittenti, relativa all'art. 4 della legge n. 87 del 1994, che dispone l'estinzione dei giudizi in corso, afferma l'Avvocatura (richiamando le precedenti decisioni della Corte costituzionale n. 185 del 1981, n. 62 del 1982 e n. 123 del 1988) che rientra nella discrezionalità del legislatore la facoltà di provvedere alla eliminazione del contenzioso, con compensazione delle spese, allorquando - come nella fattispecie - la nuova legge intervenga sul diritto sostanziale in maniera satisfattiva per il richiedente, con la conseguenza che siffatta previsione non inciderebbe in alcun modo nè sul diritto di difesa e di azione, nè sulla funzione giurisdizionale non sottratta al giudice naturale, il quale neppure viene leso nella sua indipendenza.
4.2. - Con riferimento, invece, alle censure mosse avverso la determinazione della misura percentuale di computo dell'indennità integrativa speciale nel calcolo complessivo dell'indennità di buonuscita e di analoghi trattamenti di fine servizio, di cui all'art. 1 della legge in esame, l'Avvocatura - premesso che con la sentenza n. 243 del 1993 la Corte costituzionale, nel ritenere contraria all'art. 36 della Costituzione l'esclusione in toto dell'indennità integrativa speciale dal calcolo dei trattamenti di fine rapporto, ne ha tuttavia nel contempo rimesso al legislatore la determinazione della misura - esclude la violazione sia dell'art. 3 della Costituzione, essendo notorio che nel pubblico impiego continuano a sussistere (dato il carattere intrinsecamente transitorio della legge n. 87 del 1994) meccanismi e strutture differenti da settore a settore "in attesa della omogeneizzazione dei trattamenti retributivi e pensionistici", sia dell'art. 36 della Costituzione, che deve ritenersi rispettato ogni qualvolta, come nella fattispecie, un emolumento è rapportato alla retribuzione e alla durata del rapporto, e quindi attraverso tali due parametri alla quantità e qualità del lavoro.
4.3. - Relativamente poi alla esclusione della corresponsione degli interessi e della rivalutazione monetaria sulle somme dovute a titolo di prestazione ai sensi dell'art. 2, comma 4, l'Avvocatura osserva che il pagamento degli interessi e la rivalutazione risultano esclusi dalla stessa legge anche con riferimento al contributo previdenziale obbligatorio posto a carico dei dipendenti, per cui si porrebbe il problema se l'eventuale caducazione della norma verrebbe concretamente a giovare agli stessi.
Inoltre, la mancata decorrenza degli interessi e della rivalutazione sarebbe giustificata dal fatto che il diritto al computo della indennità integrativa speciale è sorto con la legge n. 87 del 1994 poichè la sentenza n. 243 del 1993 non aveva reso attuale tale diritto, avendo rimesso alla discrezionalità del legislatore la determinazione della misura, dei modi e dei tempi di detto computo.
Pertanto, richiamata la sostanziale identità della disposizione legislativa impugnata con la norma dettata dall'art. 4 della legge 20 marzo 1980 n. 75 - recante, appunto, norme in materia di computo della tredicesima mensilità e riliquidazione dell'indennità di buonuscita - (ritenuto non illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 185 del 1981 e con successiva ordinanza n. 62 del 1982), l'Avvocatura precisa che non sussiste un principio costituzionale che imponga il riconoscimento degli interessi e della rivalutazione sulle obbligazioni pecuniarie, concludendo nel senso della legittimità della norma impugnata con riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione.
4.4. - Riguardo infine alla questione sollevata dal Consiglio di Stato, relativa alla necessità della presentazione da parte di tutti i dipendenti già cessati dal servizio di una domanda all'ente erogatore (art. 3, comma 2), osserva l'Avvocatura che, lungi dal ledere il principio di uguaglianza e di imparziale applicazione della legge, l'onere della proposizione della domanda amministrativa esteso a tutti i richiedenti trova la sua giustificazione nella semplificazione del procedimento di riliquidazione (potendo bene nelle more essere mutate le condizioni soggettive dei singoli interessati).
5. - Nel giudizio promosso da una delle ordinanze del Consiglio di Stato si è costituito l'I.N.P.S., chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate in parte inammissibili ed in parte manifestamente infondate.
6. - Nell'immediatezza dell'udienza l'Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria nella quale ribadisce, unitariamente, le osservazioni precedentemente svolte in merito alla dedotta manifesta infondatezza delle questioni sollevate dai giudici remittenti.
6.1. - A sua volta, l'I.N.P.S. ha depositato memoria, nella quale fa sostanzialmente proprie le considerazioni svolte dall'Avvocatura dello Stato in ordine alla legittimità della previsione, sia della presentazione della domanda di riliquidazione del trattamento di fine rapporto da parte di tutti i dipendenti cessati dal servizio (senza differenziare la posizione di coloro i quali abbiano nel frattempo avanzato le loro pretese in sede giurisdizionale), sia dell'estinzione dei giudizi pendenti con compensazione delle spese di lite tra le parti. In particolare, con riferimento alla prima delle due questioni, l'I.N.P.S. ne assume l'inammissibilità perchè l'amministrazione resistente ha già disposto, con propria circolare, di non richiedere la presentazione della domanda ai soggetti che abbiano in atto un contenzioso giudiziario sulla menzionata riliquidazione.
Inoltre, l'I.N.P.S., nel riprendere le osservazioni dell'Avvocatura dello Stato circa la ritenuta illegittimità dei criteri percentuali di computo della indennità integrativa speciale di cui all'art. 1, lett. a) e b), precisa che, al contrario, proprio l'invocata utilizzazione di una percentuale unica di calcolo avrebbe determinato - attesa la diversità delle normative che, nei rispettivi ordinamenti, disciplinano i trattamenti stessi - una palese violazione delle direttive e dei parametri indicati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 243 del 1993, in relazione alla ravvisata esigenza di pervenire ad "una effettiva e ragionevole equivalenza nel risultato complessivo".
Considerato in diritto
1. - I dubbi di legittimità costituzionale prospettati variamente dalle diverse ordinanze riguardano l'art. 1, comma 1, lett. a), l'art. 2, comma 4, l'art. 3, commi 2 e 3, e l'art. 4 della legge 29 gennaio 1994, n. 87, recante "Norme relative al computo dell'indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti". In particolare: a) - l'art. 1, comma 1, lett. a), è censurato in riferimento agli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione, nella parte in cui limita al 3° per cento dell'indennità integrativa speciale annua in godimento alla data di cessazione dal servizio, la quota computabile nella base di calcolo ai fini dell'indennità di anzianità dei dipendenti degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, in relazione alla differente quota percentuale di indennità da computare in favore dei dipendenti delle altre pubbliche amministrazioni nonchè degli iscritti all'Opera di previdenza e assistenza per i ferrovieri dello Stato, che la successiva lett. b) dello stesso articolo fissa nel 60 per cento; b) - l'art. 2, comma 4, è censurato in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, in quanto prevede che le somme dovute ai sensi della legge non danno luogo a corresponsione d'interessi, nè a rivalutazione monetaria; c) - l'art. 3, commi 2 e 3, è poi impugnato nella parte in cui non esclude dall'obbligo della presentazione all'ente erogatore della domanda di riliquidazione i pensionati che abbiano già promosso un giudizio per il computo dell'indennità integrativa nel trattamento de quo; d) - infine, l'art. 4 è sospettato d'illegittimità costituzionale in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione, in quanto impone la dichiarazione d'estinzione d'ufficio con compensazione delle spese dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge aventi ad oggetto la riliquidazione del trattamento di fine servizio comunque denominato con inclusione dell'indennità in argomento.
2. - Le questioni, per l'evidente connessione dei temi, debbono essere riunite e decise con un'unica sentenza; ma l'ordine logico del loro esame è necessariamente diverso rispetto a quello seguito nell'esporle.
Infatti, la questione concernente l'asserita illegittimità della norma che impone la dichiarazione d'estinzione dei giudizi pendenti con compensazione delle spese riveste preliminare rilievo rispetto a tutte le altre censure, che investono le condizioni di esercizio e la quantificazione del diritto nonchè gli accessori del credito.
Secondo tutte le prospettazioni, ed in particolare nella corretta ottica in cui si pongono il Consiglio di Stato e il T.A.R. della Liguria, l'esame della norma di cui all'art. 4 va anteposto a quello di tutte le altre, in quanto solo la caducazione della prima darebbe ingresso al giudizio di legittimità sulle seconde.
Tale nesso di subordinazione logico-processuale è da ritenere esistente in base al rilievo - già fatto proprio da questa Corte con la sentenza n. 185 del 1981 in relazione a norme formalmente diverse ma di contenuto analogo e attinenti alla medesima materia delle indennità dovute ai pubblici dipendenti per la cessazione dal servizio - che, ove dovesse riconoscersi l'infondatezza delle censure formulate in ordine alle norme di previsione della sopra descritta disciplina processuale dei giudizi pendenti, le dichiarazioni di estinzione d'ufficio dei giudizi medesimi, non eludibili dai magistrati che ne sono investiti, precluderebbero, conformemente alla loro funzione, qualsiasi esame del merito e quindi la pronuncia di sentenze di condanna aventi un contenuto rispetto al quale si profili ostativo il dettato delle altre norme oggetto di censura.
3. - Ebbene, per individuare i limiti di costituzionalità dell'intervento del legislatore nel processo quando di questo venga definito l'esito attraverso una norma che ne imponga l'estinzione, la Corte ha già in altre occasioni valutato il rapporto tra siffatto intervento ed il grado di realizzazione che alla pretesa azionata sia stato accordato per la via legislativa. Allorchè la legge sopravvenuta abbia soddisfatto, anche se non integralmente, le ragioni fatte valere nei giudizi dei quali imponeva l'estinzione, si è esclusa l'illegittimità costituzionale di tale ultima previsione, proprio perchè questa sarebbe coerente con il riconoscimento ex lege del diritto fatto valere giudizialmente. Ed invero, per escludersi la menomazione del diritto di azione è necessario e sufficiente che l'àmbito delle situazioni giuridiche di cui sono titolari gl'interessati risulti comunque arricchito a seguito della normativa che dà luogo all'estinzione dei giudizi, come nel caso oggetto della succitata sentenza n. 185 del 1981.
Ben diversa è l'ipotesi, oggetto della sentenza n. 123 del 1987 (che quasi tutti i giudici a quibus richiamano), in cui la voluntas legis si opponga alle pretese oggetto delle controversie che si vogliono estinte ed impedisca, negandone il fondamento, la realizzazione delle stesse. Qui il vulnus all'art. 24 della Costituzione è reso evidente dal fatto che il legislatore opera una sostanziale vanificazione della via giurisdizionale, intesa quale mezzo al fine dell'attuazione di un preesistente diritto.
4. - Tanto premesso, va osservato che l'art. 4 in esame si inserisce in un provvedimento legislativo volto ad appagare le aspettative dei pubblici dipendenti ad una estensione della base di computo dell'indennità erogata in occasione della cessazione dal servizio, fino a ricomprendervi l'indennità integrativa speciale: la legge de qua si è resa necessaria dopo che questa Corte, con la sentenza n. 243 del 1993, aveva dichiarato l'illegittimità del precedente assetto normativo - che tale computo non prevedeva - così determinando il sorgere, in capo agl'interessati, di un diritto la cui misura la Corte aveva peraltro demandato all'attività del legislatore. Nell'affidare a quest'ultimo "modi e tempi" di un "adeguato" computo dell'indennità, la Corte aveva sottolineato come la concreta realizzabilità del diritto in parola potesse improntarsi al principio di gradualità, tenuto conto anche delle scelte di politica economica necessarie al reperimento delle risorse finanziarie.
Ciò posto, non può negarsi che la legge in esame tenda a perseguire proprio gli obiettivi a suo tempo indicati dalla Corte, esplicitamente enunciando il suo carattere prodromico rispetto alla futura "omogeneizzazione dei trattamenti retributivi e pensionistici per i lavoratori dei vari comparti della pubblica amministrazione e per i lavoratori privati" (cfr. art. 1).
Avuto riguardo alla complessità del programma, alla molteplicità delle finalità e quindi all'ampiezza dell'intervento e dell'onere finanziario richiesti, deve giudicarsi la legge n. 87 del 1994 come una risposta adeguata oltre che sufficientemente tempestiva rispetto a quanto da questa Corte ritenuto non eludibile da parte del legislatore.
Ai fini che qui interessano, la normativa de qua è certamente di segno positivo rispetto alle sopra indicate aspettative, le quali, in virtù della citata sentenza, avevano bensì assunto il rango di diritti, ma non ancora immediatamente determinabili. L'avvenuta determinazione ex lege, superando positivamente il giudizio di congruità, legittima allora la estinzione dei giudizi pendenti.
4.1. - Poichè tale estinzione non deriva dal potere dispositivo delle parti ma dalla legge, va ritenuto non irrazionale che ad essa segua la declaratoria di compensazione delle spese. È infatti proprio il modo dell'intervenuto riconoscimento del diritto che non consente di assimilare la descritta situazione ad una delle ipotesi tipiche di cessazione della materia del contendere, di talchè il giudice neppure astrattamente sarebbe stato in grado - atteso l'iter particolarissimo attraverso cui è maturato il soddisfacimento del diritto degli attori - di tener conto della soccombenza virtuale.
4.2. - Si può quindi concludere che - come già ritenuto con la più volte citata sentenza n. 185 del 1981 (relativamente all'estinzione d'ufficio dei giudizi pendenti disposta dall'art. 57, secondo comma, del decreto-legge n. 163 del 1979) - nella specie si tratta di disposizioni che, mentre non compromettono il diritto costituzionale di difesa - non restandone ostacolato, per l'interessato, lo ius persequendi iudicio quod sibi debetur -, simmetricamente non incidono sull'assetto che la Costituzione riserva all'esercizio dell'attività giurisdizionale ed alle sue prerogative, anche nei rapporti col legislatore.
5. - Affermata la non fondatezza della questione concernente l'art. 4, tutte le altre questioni risultano superate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, dell'art. 2, comma 4, dell'art. 3, commi 2 e 3, e dell'art. 4, della legge 29 gennaio 1994, n. 87 (Norme relative al computo dell'indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei pubblici dipendenti), sollevata, in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 101, 102, 103, 104, 108 e 113 della Costituzione, dal Consiglio di Stato, dal T.A.R. della Liguria, dai Pretori di Roma, di Chieti, di Vallo della Lucania e di Salerno, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/03/95.
Antonio BALDASSARRE, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Depositata in cancelleria il 31/03/95.