SENTENZA N. 60
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Ugo SPAGNOLI,Presidente
- Prof. Antonio BALDASSARRE
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 513 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 19 novembre 1993 dal Tribunale di Marsala nel procedimento penale a carico di Cottonaro Massimo, iscritta al n. 251 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 1994;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'8 febbraio 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri.
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 19 novembre 1993, il Tribunale di Marsala ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 513 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la possibilità di dare lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato alla polizia giudiziaria in sede di interrogatorio da questa effettuato su delega del pubblico ministero, ai sensi dell'art. 370 del codice medesimo.
Premesso che il pubblico ministero ha chiesto darsi lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato contumace ai Carabinieri che lo avevano interrogato su delega del procuratore della Repubblica, il giudice remittente osserva che la disciplina posta dall'art. 513 del codice di procedura penale, secondo cui è possibile la lettura delle sole dichiarazioni rese dall'imputato contumace o assente al pubblico ministero o al giudice per le indagini preliminari, con esclusione della possibilità di utilizzare l'interrogatorio reso dal medesimo alla polizia giudiziaria, anche quando essa abbia operato su delega del pubblico ministero, non appare sorretta da alcuna giustificazione razionale: ci in quanto la polizia giudiziaria, quando procede a norma dell'art. 370 del codice di procedura penale, quale organo delegato, è tenuta ad osservare tutte le prescrizioni che regolano l'interrogatorio diretto del pubblico ministero, ivi comprese quelle che impongono la contestazione degli elementi esistenti a carico dell'indagato e la precisazione delle fonti di prova emerse a suo carico.
D'altro canto, prosegue il giudice a quo, tale disciplina stride con quella posta dall'art. 503, quinto comma, del codice di procedura penale, che, mediante il meccanismo delle contestazioni, consente la utilizzazione delle dichiarazioni in precedenza rese dall'imputato presente.
Inoltre, essendo comunque riferibile all'Ufficio del pubblico ministero l'interrogatorio raccolto su sua delega dalla polizia giudiziaria, non si comprende perché, in caso di assenza o contumacia dell'imputato, si possa dare lettura delle sole dichiarazioni da esso rese direttamente al pubblico ministero.
Ciò comporta, ad avviso del remittente, in primo luogo, una irragionevole disparità di trattamento tra imputati che si trovano, sostanzialmente, nella medesima posizione processuale: infatti, quello che ha reso le precedenti dichiarazioni alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero potr impedire, con l'assenza o la contumacia, l'utilizzabilità di esse, mentre lo stesso risultato non potrà essere conseguito dall'altro, il cui interrogatorio sia stato raccolto direttamente dallo stesso Ufficio del pubblico ministero. Inoltre, la norma impugnata determina anche una discriminazione della pubblica accusa rispetto alla difesa, in ordine all'acquisizione ed utilizzazione delle prove, consentendo all'imputato, dopo aver reso dichiarazioni confessorie nel rispetto delle garanzie previste per gli interrogatori dinanzi all'autorità giudiziaria, di evitarne la utilizzazione rendendosi contumace.
2. E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.
Osserva l'Avvocatura che l'interpretazione della normativa impugnata fornita dal giudice a quo non appare condivisibile, in quanto si sofferma sul solo dato testuale della norma (che non fa espresso riferimento all'interrogatorio effettuato dalla polizia giudiziaria) e non alla sostanza giuridica di tale disposizione.
Infatti, l'interrogatorio compiuto dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero, svolgendosi con le medesime modalità garantistiche di quello condotto dall'autorità giudiziaria, è senz'altro equiparabile a quest'ultimo e ne può quindi essere data lettura, ricorrendone le altre condizioni di legge. La mancata espressa previsione nell'art. 513 si spiega, conclude l'Avvocatura, da un lato, in quanto la questione è risolvibile interpretativamente sulla base degli ordinari principi in tema di delega e di attività delegata e, dall'altro, poiché la possibilità di delegare l'interrogatorio è stata introdotta solo con il decreto legge n. 306/92, che ha modificato l'art. 370 del codice di procedura penale.
Considerato in diritto
1. Il Tribunale di Marsala solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 513 del codice di procedura penale, in quanto, nel disporre che sia data lettura dei verbali delle dichiarazioni precedentemente rese dall'imputato (contumace, assente o che si rifiuti di sottoporsi all'esame) "al pubblico ministero o al giudice", esclude analoga previsione in ordine alle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria in sede di interrogatorio da questa effettuato su delega del pubblico ministero, ai sensi dell'art. 370 del codice medesimo.
Ad avviso del remittente, la norma viola l'art. 3 della Costituzione, in quanto la anzidetta preclusione appare sfornita di razionale giustificazione, dato che l'interrogatorio compiuto dalla polizia giudiziaria su delega è soggetto alle medesime prescrizioni di quello assunto direttamente dal pubblico ministero, al quale è comunque riferibile; si verifica, inoltre, una discrasia con la disciplina di cui all'art. 503, quinto comma, del codice di procedura penale, che consente, mediante il meccanismo delle contestazioni, l'utilizzazione delle dichiarazioni rese dall'imputato presente alla polizia giudiziaria delegata dal pubblico ministero; ne deriva, infine, una irragionevole disparità di trattamento tra imputati (nonché, per gli stessi motivi, tra accusa e difesa), in quanto quello che ha reso le dichiarazioni alla polizia giudiziaria può impedirne - con l'assenza, la contumacia o il rifiuto di sottoporsi all'esame - la lettura, mentre l'imputato che le ha rese direttamente al pubblico ministero non può conseguire analogo risultato.
2. Va premesso che, nell'esaminare la questione, questa Corte ritiene di doversi attenere alla interpretazione della norma impugnata fornita dal giudice a quo, la quale, secondo l'Avvocatura dello Stato, sarebbe invece superabile sulla base dei principi generali in materia di atti delegati.
Tale interpretazione, infatti, oltre a non risultare contraddetta da un diverso orientamento giurisprudenziale, appare sorretta dalla formulazione della norma, soprattutto se raffrontata, con indubbio rilievo ermeneutico, con quella adottata nel citato art. 503, quinto comma, del codice di procedura penale (anch'esso compreso nel capo relativo all'istruzione dibattimentale), nel quale è espressamente previsto che siano acquisite nel fascicolo per il dibattimento, se utilizzate per le contestazioni, oltre alle dichiarazioni (alle quali il difensore aveva il diritto di assistere) assunte dal pubblico ministero, anche quelle assunte "dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero".
3.1. Al di là del caso specifico che concerne l'istituto dell'interrogatorio, la censura del remittente investe, in generale, l'art. 513 (pi specificamente il primo comma) del codice di procedura penale, in quanto determina una preclusione, in ordine al regime di utilizzazione - mediante lettura - degli atti di indagine, basata sulla distinzione tra atti compiuti direttamente dal pubblico ministero ed atti da questo delegati alla polizia giudiziaria.
La questione è fondata sotto l'assorbente profilo della assoluta irragionevolezza di tale disparità di disciplina.
3.2. In relazione alla medesima disposizione ora di nuovo in esame, questa Corte, nella sentenza n. 476 del 1992, ritenne che certamente non fosse irrazionale la scelta del legislatore di escludere dalla possibilità di lettura le sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 350 del codice di procedura penale: e ci in considerazione della sostanziale differenza che intercorre, sotto l'angolo visuale delle garanzie difensive dell'imputato, tra tale atto e l'interrogatorio effettuato dall'autorità giudiziaria, soltanto quest'ultimo dovendosi svolgere secondo le modalità stabilite dall'art. 65 del codice (obbligo di contestare alla persona sottoposta alle indagini il fatto attribuitole, di renderle noti gli elementi di prova a carico, di comunicargliene - salvo che ne possa derivare pregiudizio per le indagini - le fonti, nonché di invitare la persona stessa ad esporre quanto ritiene utile per la sua difesa).
Nella successiva ordinanza n. 176 del 1993, resa sulla medesima questione, questa Corte, nel ribadire quanto gi affermato nella predetta sentenza, ebbe anche modo di osservare come non fosse pertinente il raffronto con l'art. 503, quinto comma, del codice di procedura penale, poiché esso concerneva "l'interrogatorio compiuto dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero...cioè un atto che non può non essere soggetto - a differenza delle sommarie informazioni ex art. 350 - alla disciplina prevista in via generale per l'interrogatorio, ivi compresa pertanto quella dettata dall'art. 65 del codice di procedura penale".
La medesima ratio decidendi delle citate pronunce, fondata sull'aspetto delle garanzie difensive dell'imputato, non può che condurre, nella fattispecie ora in esame, alla opposta conclusione.
Come gi detto, l'interrogatorio effettuato dalla polizia giudiziaria a ci delegata (possibilità introdotta - per i soli indagati in stato di libertà - dal decreto-legge n. 306 del 1992, convertito nella legge n. 356 del 1992, che ha modificato l'art. 370, primo comma, del codice) si svolge, in conformità ai principi generali in materia di attività delegata, con le stesse modalità i quello compiuto personalmente dal pubblico ministero: è soggetto anch'esso, in particolare, alla disciplina garantistica dettata dal citato art. 65, nonché dall'art. 364 del codice (relativo alla nomina del difensore), ed è anzi assistito dall'ulteriore garanzia della presenza obbligatoria del difensore (art. 370, primo comma, del codice di procedura penale).
Ne deriva che risulta del tutto priva di razionale giustificazione una disciplina, quale quella in esame, che determina una disparità nel regime di utilizzazione processuale tra interrogatorio diretto ed interrogatorio delegato, in deroga al criterio - seguito nello stesso codice (cfr. il citato art. 503, quinto comma) - della assimilazione, anche sotto tale profilo, tra atti diretti ed atti delegati.
3.3. Le medesime considerazioni dianzi esposte non possono non valere anche in ordine agli altri atti delegabili ai sensi dell'art. 370, primo comma, del codice di procedura penale (nel testo modificato dal decreto-legge n. 306/92), e, in particolare, al confronto, per il quale pure è prevista, come per l'interrogatorio delegato (della cui natura del resto partecipa), l'assistenza necessaria del difensore.
In conclusione, deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 513, primo comma, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il giudice, ricorrendone le condizioni, disponga la lettura dei verbali delle dichiarazioni dell'imputato assunte dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 513, primo comma, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il giudice, ricorrendone le condizioni, disponga che sia data lettura dei verbali delle dichiarazioni dell'imputato assunte dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 20 febbraio 1995.
Ugo SPAGNOLI, Presidente
Mauro FERRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 24 febbraio 1995.