Ordinanza n. 176 del 1993

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ORDINANZA N. 176

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 513, primo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 18 settembre 1992 dal Pretore di Macerata nel procedimento penale a carico di Civitarese Alessandra ed altro, iscritta al n. 806 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 marzo 1993 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto che, con ordinanza del 18 settembre 1992, il Pretore di Macerata ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.513, primo comma, del codice di procedura penale "nella parte in cui non consente che sia data lettura a richiesta di parte delle dichiarazioni rese, con le garanzie difensive, alla polizia giudiziaria dall'imputato contumace";

che il giudice a quo osserva che il decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, ha, tra l'altro, modificato sostanzialmente il quinto comma dell'art. 503 del codice, consentendo l'acquisizione nel fascicolo del dibattimento (e dunque la loro utilizzabilità come prove) delle dichiarazioni dell'imputato utilizzate per le contestazioni, non solo nel caso che esse siano state assunte dal pubblico ministero, ma anche quando siano state assunte dalla polizia giudiziaria;

che ne deriva che se l'imputato, come nella specie, sceglie di rimanere contumace, non potendosi ricorrere al descritto meccanismo processuale - il quale presuppone la sottoposizione dell'imputato ad esame -, la norma dell'art.513 (non toccata dalla novella) consente di dar lettura soltanto delle dichiarazioni precedentemente rese al pubblico ministero o al giudice, non anche di quelle rese o assunte dalla polizia giudiziaria nel rispetto delle garanzie di difesa;

che tale assetto, oltre a confliggere con il principio di eguaglianza in quanto sottopone ad un trattamento deteriore l'imputato che si sia presentato al dibattimento e si sia sottoposto all'esame rispetto a quello che sia rimasto contumace (o, comparendo, abbia rifiutato di sottoporsi all'esame), appare altresì in contrasto, conclude il re mittente, con il principio - desumibile dagli artt. 24 e 112 della Costituzione - dell'esatto ed efficace esercizio della giurisdizione penale e della pretesa punitiva da parte dello Stato;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'infondatezza della questione.

Considerato che, con sentenza n. 476 del 1992, questa Corte ha già dichiarato non fondata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 513, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la possibilità di dar lettura delle dichiarazioni rese dall'imputato alla polizia giudiziaria con l'assistenza del difensore ai sensi dell'art. 350 del codice medesimo;

che in detta pronuncia si è osservato, in sintesi, che la norma impugnata, limitando la possibilità di lettura alle sole dichiarazioni rese dall'imputato al pubblico ministero o al giudice con esclusione delle sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria ex art.350 del codice di procedura penale, non è certamente irragionevole, in considerazione della sostanziale differenza - sotto l'angolo visuale delle garanzie difensive dell'imputato (fra le quali è compresa la facoltà di non rispondere) - tra tale atto di indagine della polizia giudiziaria e l'interrogatorio effettuato dall'autorità giudiziaria, dovendo solo quest'ultimo essere svolto con le modalità garantistiche di cui all'art. 65 del codice di procedura penale;

che le medesime considerazioni valgono a dimostrare l'infondatezza anche dell'odierna questione, in quanto il raffronto con la nuova disciplina dell'art.503, quinto comma, del codice di procedura penale (come modificato dall'art. 8 del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito con legge 7 agosto 1992, n. 356) non è pertinente, poichè essa concerne l'interrogatorio compiuto dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero (cfr. anche il nuovo testo dell'art. 370 del codice di procedura penale), cioé un atto che non può non essere soggetto - a differenza delle sommarie informazioni ex art. 350 - alla disciplina prevista in via generale per l'interrogatorio, ivi compresa pertanto quella dettata dall'art. 65 del codice di procedura penale;

che, in ordine, poi alla denunciata violazione degli artt. 24 e 112 della Costituzione, va ribadito (come già detto nella menzionata sentenza n. 476 del 1992) che la disciplina dettata dall'art. 513 del codice di procedura penale concerne il regime di utilizzabilità, ai fini della decisione, di precedenti dichiarazioni provenienti dall'imputato ed attiene pertanto essenzialmente al tema delle garanzie difensive di quest'ultimo, per cui il richiamo ad un generico "principio dell'esatto ed efficace esercizio della giurisdizione penale e della pretesa punitiva da parte dello Stato" (desumibile, ad avviso del remittente, dagli anzidetti parametri) risulta, nei termini in cui è prospettato, del tutto inconferente.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 513, primo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione, dal Pretore di Macerata con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/04/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15/04/93.