SENTENZA N. 13
ANNO 1995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
- Prof. Gabriele PESCATORE
- Avv. Ugo SPAGNOLI
- Prof. Antonio BALDASSARRE
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI "
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento" limitatamente a:
articolo 26, comma 2: "Le associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario nonché sulle prestazioni erogate per conto degli enti previdenziali, i contributi che i lavoratori intendono loro versare, con modalità stabilite dai contratti collettivi di lavoro, che garantiscono la segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione sindacale" e comma 3: "Nelle aziende nelle quali il rapporto di lavoro non è regolato da contratti collettivi, il lavoratore ha diritto di chiedere il versamento del contributo sindacale all'associazione da lui indicata";
nonché il decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante "Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relativa alle scuole di ogni ordine e grado", limitatamente all'articolo 594, iscritto al n. 74 del registro referendum.
Vista l'ordinanza del 30 novembre 1994 con la quale l'Ufficio centrale per il referendum popolare presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;
udito nella camera di consiglio del 9 gennaio 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto;
udito l'avvocato Roberto Nania per i presentatori Giuseppe Calderisi, Lorenzo Strik Lievers e Elio Vito.
Ritenuto in fatto
1. - L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di Cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352 e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare presentata il 3 febbraio 1994 da Calderisi Giuseppe ed altri sei cittadini elettori, sul seguente quesito:
"Volete voi che sia abrogata la legge 20 maggio 1970, n. 300, recante "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento", limitatamente all'articolo 26, comma 2: "Le associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario nonché sulle prestazioni erogate per conto degli enti previdenziali, i contributi sindacali che i lavoratori intendono loro versare, con modalità stabilite dai contratti collettivi di lavoro, che garantiscono la segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione sindacale", e comma 3: "Nelle aziende nelle quali il rapporto di lavoro non è regolato da contratti collettivi, il lavoratore ha diritto di chiedere il versamento del contributo sindacale all'associazione da lui indicata"?".
2. - L'Ufficio centrale, verificata la tempestività e la regolarità della richiesta, con ordinanza del 30 novembre 1994 ha disposto, ai sensi dell'articolo 39 della legge n. 352 del 1970 - su indicazione dei promotori del referendum circa la sopravvenienza del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, il cui art. 594 attribuisce, in materia di istruzione, al personale la facoltà di rilasciare delega in favore della propria organizzazione sindacale per la riscossione di una quota mensile di stipendio per il pagamento dei contributi sindacali -, l'integrazione e l'estensione del quesito con aggiunta al testo originario delle parole: "nonché il decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante "Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relativa alle scuole di ogni ordine e grado", limitatamente all'art. 594 ?" e ha dichiarato la legittimità della richiesta stessa.
3. - Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 9 gennaio 1995 per la deliberazione in camera di consiglio sull'ammissibilità della richiesta referendaria, dandone regolare comunicazione.
4. - Nell'imminenza della camera di consiglio il Comitato promotore ha depositato una memoria, sottolineando come la richiesta abrogatrice si configuri quale contrarius actus, volto alla mera caducazione delle disposizioni in argomento, sicché la ratio della richiesta stessa è in re ipsa e non postula alcun onere di motivazione a carico dei promotori.
Nella specie - secondo il Comitato - i quesiti investono atti legislativi ordinari, al di fuori delle preclusioni codificate dalla Corte costituzionale in relazione alla collocazione delle norme abrogande nel sistema delle fonti. Inoltre la materia non riguarda i temi esclusi dalla consultazione popolare: si tratta infatti del meccanismo di ritenuta sulla retribuzione in quelle ipotesi in cui è operato il coinvolgimento del datore di lavoro. Di talchè la coerenza dell'intento abrogativo non è intaccata dall'esistenza di altre disposizioni che prevedono il versamento dei contributi attraverso le indennità erogate dall'I.N.P.S. in caso di cassa integrazione, di trattamento di disoccupazione, ovvero di indennità di mobilità. Queste non sarebbero infatti disposizioni appartenenti al medesimo contesto normativo di quelle che si vorrebbero abrogare, ovvero ad esse indissolubilmente legate.
L'intento dei promotori è quello di restituire la materia all'autonomia privata, facendo venir meno l'obbligo legale di cooperazione gravante sul datore di lavoro. Tale obbligo giuridico, scaturito dalle abrogande disposizioni, avrebbe in concreto determinato un vincolo contributivo a tempo indeterminato a carico del lavoratore anche indipendentemente dalla permanenza del vincolo associativo. Ben altra sarebbe l'ipotesi in cui l'assunzione dell'obbligo datoriale derivasse da una "genuina espressione di autonomia negoziale". Allora l'operare di altri istituti civilistici quali la cessione di credito o la delegazione di pagamento, al medesimo fine utilizzabili, si collocherebbe su un piano contrattuale e non sarebbe attuativo di una prescrizione legislativa. Tanto verrebbe a dimostrare la effettiva portata modificativa del referendum: infatti il meccanismo che si intende abrogare non ha natura ricognitiva della ordinaria normativa civilistica ma rappresenta una figura specifica e ben definita, la cui eventuale abrogazione referendaria avrebbe l'effetto di incidere in senso modificativo sulla materia nel suo complesso.
Considerato in diritto
1. - Il quesito referendario investe le due norme contenute nel secondo e nel terzo comma dell'art. 26 della legge 20 maggio 1970, n. 300 nonché quelle, sopravvenute, contenute nell'art. 594 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, cui il quesito stesso é stato allargato dall'Ufficio centrale a titolo di integrazione ed estensione.
L'art. 26, secondo comma, della legge n. 300 del 1970 (come sostituito dall'art. 18 della legge 23 luglio 1991, n. 223), attribuisce alle associazioni sindacali il "diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario nonché sulle prestazioni erogate per conto degli enti previdenziali, i contributi sindacali che i lavoratori intendono loro versare, con modalità stabilite dai contratti collettivi di lavoro, che garantiscono la segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione sindacale". Il terzo comma dello stesso articolo prevede poi che, nelle aziende in cui il rapporto di lavoro non sia regolato da contratti collettivi, il lavoratore ha "diritto di chiedere il versamento del contributo sindacale all'associazione da lui indicata".
L'art. 594 del decreto legislativo n. 297 del 1994, a sua volta, prevede la "facoltà" del personale della scuola di destinare una "quota mensile dello stipendio, paga o retribuzione per il pagamento dei contributi sindacali nella misura stabilita dai competenti organi statutari" della singola organizzazione sindacale cui il lavoratore aderisce, e disciplina le modalità di rilascio della relativa delega (comma 1), i termini di validità della stessa (comma 2), la forma e le condizioni della sua eventuale revoca (commi 2 e 4), le modalità di versamento delle trattenute operate dalle singole amministrazioni (comma 3).
2. - La richiesta dunque non riguarda le materie per le quali l'art. 75, secondo comma, della Costituzione espressamente non ammette il referendum, né materie da ritenersi escluse secondo l'interpretazione logico-sistematica della medesima disposizione costituzionale, fattane ripetutamente da questa Corte.
3. - E' inoltre ravvisabile la necessaria chiarezza nella finalità e nella struttura del quesito, il quale si presenta univoco e omogeneo, poiché: a) incorpora l'evidenza del fine intrinseco all'atto abrogativo, cioè la puntuale ratio che lo ispira (sentenza n. 29 del 1987; v. anche sentenze n. 16 del 1978 e n. 25 del 1981); b) ha riguardo a un "comune principio, la cui eliminazione o permanenza viene fatta dipendere dalla risposta del corpo elettorale" (sentenze nn. 22, 26 e 28 del 1981; nn. 63 e 65 del 1990); c) tende a un esito netto e lineare, in ragione della propria natura meramente ablativa, concretandosi le conseguenze abrogative in una situazione esattamente contraria a quella prevista dalle norme oggetto del referendum e facilmente percepibile dal corpo elettorale.
3.1. - Basti considerare in proposito che i due commi dell'art. 26 della legge n. 300 del 1970 sono strettamente collegati fra loro, concorrendo a configurare in ogni caso la "ritenuta" come diritto perfetto del sindacato: il momento di collegamento é individuabile proprio nel diritto del sindacato alla trattenuta dei contributi sindacali "sul salario nonché sulle prestazioni erogate per conto degli enti previdenziali" (cui corrispondono "le trattenute operate dalle singole amministrazioni sulle retribuzioni dei dipendenti" ex art. 594 del decreto legislativo n. 297 del 1994), giacché il diritto del "lavoratore" previsto nel terzo comma dell'art. 26 della legge n. 300 del 1970 e la facoltà del "personale" prevista nell'altra disposizione citata, presuppongono comunque un diritto dell'associazione da loro indicata, come garanzia di effettività dell'imposizione dell'obbligo, rispettivamente, al "datore di lavoro" e alle "singole amministrazioni" scolastiche. L'intendimento abrogativo consiste appunto nel voler eliminare la base legale di quel diritto e del correlativo obbligo di intermediazione, per restituire la materia all'autonomia privata, individuale e collettiva.
3.2. - Per converso, poi, non è ravvisabile un imprescindibile collegamento dei due ultimi commi col primo comma dello stesso citato art. 26, il quale attribuisce ai lavoratori "il diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro": diritto che costituisce semplice espressione individuale dell'attività sindacale, correlata invece alla norma del precedente art. 14, il quale proclama il diritto - garantito a tutti i lavoratori all'interno dei luoghi di lavoro - di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale. Né sono rinvenibili altre disposizioni dettate nel medesimo contesto normativo, indissolubilmente legate a quelle che si mira a sopprimere. In particolare con riguardo al pubblico impiego, giova ricordare che l'art. 23 della legge 29 marzo 1983, n. 93 (che aveva fra l'altro previsto l'applicabilità dei princìpi di cui all'art. 26 in esame ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, così modificando l'originaria previsione di cui all'art. 50 della legge 18 marzo 1968, n. 249), è stato espressamente abrogato dall'art. 74 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, il cui art. 55 prevede puramente e semplicemente l'applicabilità di tutta la legge n. 300 del 1970 alle pubbliche amministrazioni. E non rileva, poiché certamente non si traduce in una ragione di incoerenza del quesito, che eventuali deroghe a codesta applicabilità possano rintracciarsi, attraverso lo strumento dell'interpretazione, in precedenti disposizioni connesse a statuti speciali e non espressamente abrogate dal citato decreto legislativo.
Conseguentemente rimane esclusa una qualunque ricaduta sulla residuale normativa, da parte di un'eventuale abrogazione delle disposizioni oggetto del referendum, limitandosi l'effetto di questa all'elisione di norme attributive del già menzionato diritto, la cui eliminazione o permanenza viene dunque fatta dipendere dalla risposta del corpo elettorale. Ed è appena il caso di aggiungere che non incide in alcun modo sul giudizio di ammissibilità la permanenza del riferimento alle trattenute sindacali contenuta in discipline con matrici e rationes del tutto diverse da quelle della legislazione di sostegno.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione degli artt. 26, secondo e terzo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300 e 594 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297; richiesta dichiarata legittima con ordinanza 30 novembre 1994 dell'Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 gennaio 1995.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Depositata in cancelleria il 12 gennaio 1995.