ORDINANZA N. 431
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20 del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri), promosso con ordinanza emessa il 27 gennaio 1993 dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia - Sezione di Lecce sul ricorso proposto da De Vitis Assunta contro il Ministero di Grazia e Giustizia, iscritta al n. 109 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visti l'atto di costituzione di De Vitis Assunta nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 novembre 1994 il Giudice relatore Luigi Mengoni.
Ritenuto che, nel procedimento relativo a un ricorso proposto da Assunta De Vitis contro il Ministero di grazia e giustizia, il T.A.R. per la Puglia - Sezione di Lecce, con ordinanza del 27 gennaio 1993 (pervenuta a questa Corte il 25 febbraio 1994), ha sollevato, in riferimento all'art. 36 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266, nella parte in cui non prevede per il personale inquadrato nella nona qualifica funzionale, qualora sia adibito a mansioni di grado superiore, "un termine massimo che giustifichi, da un lato, la temporanei tà delle funzioni vicarie, dall'altro, la gratuità delle medesime";
che, ad avviso del giudice rimettente, tale mancata previsione determina un contrasto della norma impugnata con l'art. 36 Cost., che garantisce il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro;
che nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituita la ricorrente, invocando, a sostegno della fondatezza della questione, le sentenze nn. 57 del 1989 e 296 del 1990;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
Considerato che il d.P.R. n. 266 del 1987 - che, ai sensi dell'art. 6, ultimo comma, della legge 29 marzo 1983, n. 93, ha recepito la disciplina prevista dall'accordo 26 marzo 1987 per il comparto del personale dipendente dai ministeri - non è atto avente forza di legge e, quindi, non è assoggettabile al sindacato di costituzionalità di questa Corte (cfr., da ultimo, ordinanze nn. 462 del 1990, 782 del 1988).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri), sollevata, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia - Sezione di Lecce con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/12/94.
Francesco Paolo CASAVOLA ,presidente
Luigi MENGONI, Redattore
Depositata in cancelleria il 14/12/94.