Sentenza n. 296 del 1990

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SENTENZA N.296

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 7, commi quinto e settimo, del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128 (Ordinamento interno dei servizi ospedalieri), e dell'art. 29, commi secondo e terzo, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali) promossi con quattro ordinanze emesse il 10 aprile 1989 e il 9 giugno 1989 dal Consiglio di Stato, il 13 ottobre 1989 (n. 2 ordinanze) dal T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia, iscritte rispettivamente ai nn. 58, 86, 88 e 89 del registro ordinanze 1990 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 8 e 10, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visti l'atto di costituzione di Ceccarini Ettore e gli atti d'intervento di Pecoraro Nicolino nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 maggio 1990 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi l'avv. Domenico Arlini per Ceccarini Ettore e l'Avvocato dello Stato Paolo D'Amico per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1.- Il Consiglio di Stato con due ordinanze, la prima dell'Adunanza plenaria in data 10 aprile 1989, la seconda della V Sezione in data 9 giugno 1989 (pervenute alla Corte costituzionale rispettivamente il 30 gennaio e il 20 febbraio 1990), e il T.A.R. per il Friuli-Venezia Giulia, con due ordinanze del 13 ottobre 1989, hanno sollevato, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, quinto e settimo comma, del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, e dell'art. 29, secondo e terzo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, "nella parte in cui non prevedono una maggiorazione di retribuzione per l'ipotesi di esercizio. da parte dell'aiuto ospedaliero, delle mansioni proprie del primario (o, da parte dell'assistente, delle mansioni proprie dell'aiuto) oltre il termine di sessanta giorni, in caso di disponibilità o vacanza del posto".

I giudici remittenti dissentono dall'interpretazione accolta da questa Corte con la sentenza n. 57 del 1989, secondo cui l'art. 29, secondo comma, del citato d.P.R. n. 761 del 1979, "essendo norma eccezionale, deve essere interpretato rigorosamente nel senso che l'adibizione temporanea a mansioni superiori per esigenze di servizio non dà diritto a variazioni economiche (... ) solo entro il limite temporale massimo ivi indicato", onde il suo prolungamento oltre tale limite determina a carico del datore di lavoro, a norma dell'art. 36 Cost., l'obbligo di integrare il trattamento economico del dipendente in misura corrispondente alla qualità del lavoro effettivamente prestato.

Si obietta che, superato il termine di sessanta giorni, "l'ulteriore esercizio da parte dell'aiuto delle mansioni superiori di primario deve considerarsi un'attività vietata dalla legge e pertanto illegittima", di guisa che - argomenta il T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia - il preteso obbligo di retribuzione comporterebbe che "da una condotta vietata deriverebbero vantaggi anzichè sanzioni per l'interessato". Al contrario, "se non si ha diritto a variazioni di trattamento economico nel periodo di sessanta giorni in cui l'esercizio delle mansioni superiori é eccezionalmente consentito, a maggior ragione non si dovrebbe aver diritto a tale trattamento nei tempi eccedenti i sessanta giorni, nei quali l'esercizio delle mansioni superiori é addirittura interdetto".

2.- Nel giudizio davanti alla Corte promosso dall'ordinanza dei Consiglio di Stato - Adunanza plenaria si é costituito tempestivamente il ricorrente prof. Ettore Ceccarini chiedendo la conferma della precedente sentenza interpretativa di rigetto ovvero, in subordine, l'accoglimento della sollevata questione.

Nell'altro giudizio promosso dall'ordinanza dei Consiglio di Stato V Sezione si é costituito il ricorrente dott. Nicolino Pecoraro con atto depositato in data 24 aprile 1990 e pertanto fuori termine

3.- In tutti i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che, in ordine all'art. 29, secondo comma, del d.P.R. n. 761 del 1979, la questione sia dichiarata inammissibile essendo già stata risolta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 57 del 1989, o comunque infondata nei sensi già precisati da tale sentenza.

Quanto all'art. 7, quinto e settimo comma, del d.P.R. n. 128 dei 1969 e all'art. 29, terzo comma, del d.P.R. n. 761 del 1979, l'Avvocatura ritiene la questione inammissibile, "non risultando specificato sotto quale aspetto tali commi sarebbero in contrasto con l'art. 36 Cost.".

Considerato in diritto

 

Visti l'atto di costituzione di Ceccarini Ettore e gli atti d'intervento di Pecoraro Nicolino nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri 1. - Il Consiglio di Stato e il T.A.R. del Friuli-Venezia Giuilia contestano la legittimità costituzionale degli artt. 7, quinto e settimo comma, del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, e 29, secondo e terzo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, in quanto non prevedono una maggiorazione di retribuzione nell'ipotesi di esercizio, da parte dell'aiuto o dell'assistente ospedaliero, delle mansioni rispettivamente di primario o di aiuto oltre il termine di sessanta giorni, in caso di disponibilità o vacanza del posto.

Data l'identità della questione, i quattro giudizi promossi dalle ordinanze dei giudici a quibus vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - In ordine all'art. 7, quinto e settimo comma, del d.P.R. n. 128 del 1969 e all'art. 29, terzo comma, del d.P.R. n. 761 del 1979 la questione è inammissibile per difetto di rilevanza.

Queste norme, la prima specificamente destinata al personale medico, la seconda concernente tutto il personale delle U.S.L., prevedono la sostituzione vicaria del titolare di una posizione funzionale più elevata assente per malattia, ferie, congedo, missione, motivi di famiglia e simili, oppure non immediatamente disponibile in caso di urgenza. In tali casi la sostituzione da parte del titolare di una posizione inferiore < < rientra tra gli ordinari compiti della propria posizione funzionale>.

Diverso è il caso, su cui vertono i giudizi principali, di vacanza del posto di primario o di aiuto: qui la sostituzione rispettivamente da parte dell'aiuto o dell'assistente ospedaliero non ha carattere di funzione vicaria, ma comporta un trasferimento temporaneo a funzioni superiori, che vengono esercitate a titolo personale e autonomo. In questo caso, come osserva giustamente il Consiglio di Stato, < si è al di fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 7 del d.P.R. n. 128 del 1969> e si entra, invece, nel campo di applicazione dell'art. 29, secondo comma, del d.P.R. n. 761 del 1979, il quale pertanto è la sola norma < rilevante ai fini della decisione>. In deroga alla regola del primo comma, essa consente in via eccezionale, per esigenze di servizio, l'assegnazione temporanea del dipendente a mansioni superiori a quelle inerenti alla sua qualifica, nel limite di un periodo massimo di sessanta giorni e senza diritto a variazioni del trattamento economico.

3. - Relativamente a quest'ultima norma la questione va dichiarata infondata nei sensi già precisati dalla sentenza precedente, la quale ha ritenuto che nell'ipotesi prevista dall'art. 29, secondo comma, del d.P.R. n. 761 del 1979 il diritto a variazioni del trattamento economico è escluso solo se l'assegnazione temporanea alle mansioni superiori sia contenuta entro il periodo di sessanta giorni nell'anno solare.

Contro questa interpretazione si obietta: trascorso il periodo di sessanta giorni, riprende vigore il divieto di assegnazione a mansioni superiori statuito nel primo comma; conseguentemente l'esclusione del diritto a variazioni del trattamento economico, disposta nel secondo comma, vale non soltanto nel detto periodo, < in cui l'esercizio di mansioni superiori è eccezionalmente consentito>>, ma anche, e < a maggior ragione, nel tempo eccedente i sessanta giorni, nel quale l'esercizio di mansioni superiori è interdetto>, e quindi concreta un comportamento illegittimo.

É agevole replicare che illegittimo non è il comportamento dell'aiuto ospedaliero il quale, essendo vacante il posto di primario, svolge le mansioni corrispondenti per un tempo eccedente i sessanta giorni, ma eventualmente il comportamento dell'amministrazione che, dopo essersi avvalsa della facoltà concessa dalla norma in esame, mantiene l'assegnazione dell'aiuto alle mansioni superiori oltre il termine indicato.

Perciò l'argo mento a fortiori applicato nelle ordinanze di rimessione è inconsistente: l'illeicità che, ai sensi dell'art. 2126, primo comma, cod. civ., priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto di lavoro < non può ravvisarsi nella violazione della mera ristretta legalità, ma nel contrasto con norme fondamentali e generali o con principi basilari pubblicistici dell'ordinamento> (cfr. Cass., sez. un., n. 1609 del 1976).

Deve trattarsi, cioé, dell'illiceità in senso forte (illiceità della causa) prevista dall'art. 1343 cod. civ., non semplicemente dell'illegalità che invalida il negozio o l'atto costitutivo del rapporto a norma dell'art. 1418, primo comma, cod. civ.

Una illiceità in questo senso rigoroso non è ravvisabile nell'attività esercitata dall'aiuto o dall'assistente ospedaliero nei casi in questione: l'illegittimità dell'ordine di servizio in ottemperanza al quale essa si svolge, in quanto deriva dalla violazione di un limite temporale dettato dalla legge per ragioni che non attengono a principi giuridici ed etici fondamentali dell'ordinamento, non si riflette in un giudizio di illiceità della prestazione di lavoro.

Ciò, in definitiva, è implicitamente ammesso dagli stessi giudici remittenti; chè, altrimenti, la sollevata questione di costituzionalità avrebbe un contenuto contraddittorio, non essendo consentito di affermare in pari tempo, da un lato, che la norma denunciata esclude il diritto alla maggiorazione di retribuzione in ragione dell'illiceità dell'attività svolta dal prestatore di lavoro, dall'altro che la norma medesima, in quanto nega tale maggiorazione, contrasta con l'art. 36 Cost. L'art. 36, invero, presuppone la liceità del lavoro prestato.

4. -Il T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia obietta ulteriormente che la sentenza n. 57 del 1989 si pone < in insanabile conflitto con l'obbligo di assunzione dei pubblici dipendenti tramite concorso pubblico, con quello di buon andamento della pubblica amministrazione e della riserva di legge relativa all'organizzazione dei pubblici uffici>. L'obiezione è fuori misura perchè la Corte ha avuto cura di precisare che non può sorgere in favore dell'assistente o dell'aiuto ospedaliero il diritto al riconoscimento formale della qualifica superiore (rispettivamente di aiuto o di primario), alla quale si può accedere soltanto mediante le procedure previste dagli artt. 9 e segg. del d.P.R. n. 761 del 1979, restando perciò esclusa l'applicabilità dell'art. 2103 cod. civ. D'altra parte, nel protrarsi della vacanza del posto di primario, l'assegnazione provvisoria delle relative mansioni all'aiuto favorisce, non già ostacola, il buon andamento del servizio sanitario.

Inconferente è pure il rilievo della mancanza di un atto formale di preposizione alle funzioni superiori. Ai fini della qualificazione del rapporto di fatto tutelato dall'art. 2126 cod. civ. non è necessario un atto formale, ancorchè illegittimo, di assegnazione a determinate mansioni, ma è sufficiente il semplice riscontro dell'effettivo svolgimento di esse in conformità di una disposizione impartita dall'organo amministrativo dell'ente pubblico nell'esercizio del suo potere direttivo.

5. -Deve pertanto essere confermata l'interpretazione accolta nella precedente sentenza n. 57 del 1989, secondo cui l'art. 29, secondo comma, del d.P.R. del 1979 si applica solo quando l'assegnazione temporanea a mansioni solare. Qualora il trasferimento a tali mansioni si protragga oltre questo termine, spetta al prestatore di lavoro, in via di applicazione diretta dell'art. 36, primo comma, Cost. sulla base dell'art. 2126, primo comma, cod. civ., il trattamento corrispondente all'attività svolta.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 29, secondo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), sollevata, in riferimento all'art. 36 della Costituzione, dal Consiglio di Stato e dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, quinto e settimo comma, del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128 (Ordinamento interno dei servizi ospedalieri) e dell'art. 29, terzo comma, del d.P.R. n. 761 del 1979 citato, sollevata dai giudici sopraddetti con le medesime ordinanze.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/06/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Luigi MENGONI

Depositata in cancelleria il 19/06/90.