SENTENZA N. 342
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente
Prof. Gabriele PESCATORE
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato l'11 dicembre 1993, depositato in Cancelleria il 29 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 11 ottobre 1993 (Direttiva ai Commissari di Governo, ai sensi dell'art. 13, primo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400) ed iscritto al n. 41 del registro conflitti 1993.
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 26 aprile 1994 il giudice relatore Francesco Guizzi;
uditi l'avvocato Valerio Onida per la Regione Lombardia e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. La Regione Lombardia ha sollevato, per violazione degli artt. 5, 117, 118, 124, 125 e 127 della Costituzione, conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, chiedendo l'annullamento dei paragrafi 1.1, 1.2, 1.3, 2.4, 3.1, 3.2, 3.4, 3.5, 5.1. della direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 11 ottobre 1993 (Direttiva ai commissari di Governo, ai sensi dell'art. 13, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400).
L'art. 13, comma 1, della legge n. 400 del 1988 prevede l'emanazione di direttive del Presidente del Consiglio sulle funzioni e le attività dei Commissari di Governo indicate dallo stesso art. 13, nelle lettere da a) a f). Parte della direttiva impugnata attiene alle competenze statali e ai rapporti interni all'amministrazione statale; altre prescrizioni toccano invece il coordinamento e la collaborazione tra organi e amministrazioni statali e amministrazioni regionali.
Il paragrafo 1.1. parla indiscriminatamente di < unità d'indirizzo> da assicurare a livello regionale ad opera del Commissario del Governo; ma l'unità d'indirizzo vale per l'attività amministrativa degli apparati dello Stato, e ad essa si riferisce la potestà di direzione del Presidente del Consiglio dei ministri (art.95, primo comma, della Costituzione), mentre la Regione ha autonomia politica e persegue, anche nell'attività amministrativa, propri indirizzi, definiti o vincolati dalle leggi e dai programmi regionali: vi è, dunque, un'istanza di coordinamento fra lo Stato e la Regione nell'ambito del principio di leale collaborazione, e non l'obbligo di uniformità agli indirizzi dello Stato.
La Regione censura anche il riferimento, contenuto nel paragrafo 1.1, all'adeguatezza dell'azione amministrativa, che porterebbe a valutazioni discrezionali non limitate al canone costituzionale del buon andamento e, perciò, potenzialmente invasive della sfera di autonomia regionale.
L'attuazione coordinata dei programmi statali e regionali è assunta dalla direttiva come uno dei fini dell'attività di coordinamento del Commissario, ma in questo modo si prefigura un'interferenza del Commissario nell'attività amministrativa regionale attuativa dei programmi, ben al di là delle funzioni di raccordo demandategli dalla Costituzione e dalla legge.
Quanto al paragrafo 1.2, il previsto invio al Commissario dei progetti legislativi e di altri atti deliberativi della Regione determinerebbe una sorta di controllo preventivo su tali deliberazioni, in contrasto con la disciplina costituzionale dei controlli sulle leggi e sugli atti amministrativi della Regione (artt. 127 e 125 della Costituzione).
Secondo il paragrafo 1.3, il Commissario cura l'esecuzione delle delibere del Consiglio dei ministri e degli atti ministeriali, in sostituzione degli organi regionali inattivi: previsione generica che - se dovesse intendersi nel senso di fondare un potere sostitutivo degli organi regionali in casi e con modalità non stabiliti dalla legge - sarebbe illegittima per violazione del principio di legalità sostanziale, nonchè delle regole di competenza, procedurali e sostanziali, che questa Corte ha affermato in tema di esercizio dei poteri sostitutivi.
Riguardo al paragrafo 2.4, la ricorrente teme che l'inciso relativo alla convocazione dei rappresentanti di altre pubbliche amministrazioni possa riferirsi, illegittimamente, alle Regioni.
Il paragrafo 3 della direttiva disciplina la convocazione delle riunioni di coordinamento, conferendone il potere al Commissario (n. 3.1.); ma in base all'art. 13, comma 1, lett. b), della legge n. 400 del 1988, spetta al Presidente della Regione presiedere, e dunque convocare, dette riunioni. Il paragrafo 3.2, poi, subordina la convocazione dei rappresentanti degli enti locali all'intesa tra il Commissario e il prefetto della provincia interessata sì che il Commissario, oltre a convocare le riunioni, potrebbe invitare tali soggetti senza intesa preventiva col Presidente della Regione.
Il paragrafo 3.4. contempla la stipula di accordi a conclusione delle riunioni di coordinamento, trasformate in qualcosa di simile alle < conferenze di servizi>, ma senza alcuna disposizione legislativa a fondamento: di qui, la denunziata violazione del principio di legalità sostanziale, dal momento che si è piegato l'istituto delle riunioni di coordinamento (art. 13, comma 1, lett. h), legge n. 400 del 1988) a un utilizzo improprio. In caso di mancato accordo, può essere convocata, questa volta d'intesa con il Presidente della Giunta regionale, la Conferenza Stato - Regioni (paragrafo 3.5.).
Ma i problemi del coordinamento fra amministrazioni statali e amministrazione regionale, nel territorio di una singola Regione, coinvolgono l'autonomia della singola regione - soggiunge la ricorrente - e non possono essere risolti con deliberazioni della Conferenza, che interviene solo su questioni riguardanti, di massima, tutte le Regioni.
Il paragrafo 5.1. concerne l'acquisizione e la trasmissione d'informazioni, e contiene un accenno alle aziende regionali che sembrerebbe legittimare il Commissario ad acquisire direttamente flussi informativi da queste ultime, anzichè dalla Regione: anche il coordinamento informativo deve però rispettare l'autonomia regionale, e gli elementi informativi delle amministrazioni dipendenti dalla Regione devono essere acquisiti per il tramite istituzionale del Presidente della Regione.
2. Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo nel senso dell'infondatezza del ricorso.
L'Avvocatura afferma che l'art. 13, comma 1, della legge n. 400 del 1988, ha inteso dare spessore all'istituto del Commissario di Governo, superando la strettoia nella quale si era trovato a seguito dell'appiattimento sulle funzioni di controllo.
Il Governo, nell'adottare la direttiva che è occasione del conflitto, ha effettuato con prudenza e misura un'operazione di ricomposizione dei dati normativi esistenti, senza valorizzare, ad esempio, il primo periodo dell'art. 67 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29.
Non è un caso, infatti, che la direttiva sia stata emanata dopo che il decreto legislativo 13 febbraio 1993, n. 40, ha drasticamente ridotto l'area del controllo di legittimità: la commissione di controllo è stata ridimensionata e con essa la funzione del presiederla. Di qui, la necessità di < ritornare> all'art. 124 della Costituzione: l'ordinamento regionale (e, a fortiori, un eventuale sistema federale) può funzionare soltanto in presenza di idonei strumenti istituzionali di coesione, tra i quali va annoverato il Commissario del Governo.
La doglianza dello Stato esamina, quindi, le singole censure mosse dalla Regione ricorrente.
Con riguardo al paragrafo 1.1, si ritiene < sostanzialmente separatista> la doglianza sull'inciso relativo all'unità di indirizzo, giacchè la garanzia delle Regioni - che non sono espressione di altrettanti ordinamenti a sè stanti - risiede nel rispetto della legge costituzionale ed ordinaria da parte di tutti i soggetti pubblici. D'altronde, di unità di indirizzo (tra Regione ed enti locali) parla la sent. n. 348 del 1993 di questa Corte.
Il passaggio sull'< adeguatezza dell'azione amministrativa> duplica, nella sostanza, quello sul buon andamento della pubblica amministrazione. Circa l'< attuazione coordinata dei programmi statali e regionali>, la direttiva invece non prevede che gli interventi sostitutivi siano devoluti al Commissario, poichè tale organo è chiamato soltanto a segnalare l'approssimarsi di scadenze, a esortare mediante il dialogo e a informare il Presidente del Consiglio sullo stato dei lavori. Prima che infondata, la censura sarebbe perciò inammissibile per carenza di interesse sostanziale della ricorrente.
Il paragrafo 1.2. non introduce un nuovo controllo sugli atti, ma assicura un'informazione < in tempo reale> del Commissario.
Sui paragrafi 1.3. e 2.4, la ricorrente prospetta un dubbio più che una censura: la direttiva, infatti, non ha inteso contraddire in alcun modo i noti e ripetuti insegnamenti di questa Corte sui poteri sostitutivi in caso di inerzia degli organi regionali.
Per quanto concerne il paragrafo 3.1, la ricorrente rivendica al Presidente della Giunta il potere di convocare le < riunioni di coordinamento>, appellandosi all'art. 13, comma 1, lett. b) della legge n. 400 (in base al quale le riunioni sono presiedute dal Presidente della Regione). Nella funzione di presiedere la riunione, però, non rientra il potere di convocarla nè quello di fissare l'ordine del giorno e di stabilire le persone da invitare. Nè vale il richiamo a quanto previsto, nel successivo paragrafo 3.2. circa le intese tra il Commissario del Governo e il prefetto della provincia interessata per far partecipare i rappresentanti degli enti locali (di modo che vi dovrebbe essere, a fortiori, intesa con il Presidente della Giunta regionale), poichè nessun argomento potrebbe desumersi da tale previsione, essendo invero opinabile la < riserva> del livello locale a un organo, come il prefetto, non previsto dalla Costituzione.
Il paragrafo 3.4. avrebbe trasformato le riunioni di coordinamento in qualcosa di simile alle conferenze di servizi: in realtà, la formula adottata (che richiama la nozione di accordo) esprime, secondo l'Avvocatura, un livello minimo di valenza giuridica, al di sotto della quale vi sarebbe la non vincolatività degli accordi stessi.
Quanto al paragrafo 3.5, la Regione contesta che la Conferenza Stato-Regioni possa definire questioni che non sono state risolte mediante accordo ex paragrafo 3.4. La direttiva non poteva certo modificare l'art.12 della legge n. 400, e la Conferenza potrà essere consultata, ove occorra, ai sensi del comma 5, lett. c), di detto articolo: il che costituisce filtro idoneo per separare questioni < di massima> da quelle attinenti a una singola Regione; fra l'altro, la proposta di convocazione della sessione deve essere formulata d'intesa con il Presidente della Regione.
Il paragrafo 5.1, infine, concerne soltanto l'acquisizione di flussi d'informazione: una richiesta diretta contrasterebbe, al più, con regole di correttezza, senza compromettere minimamente l'autonomia regionale, a meno che non si voglia configurare un assurdo < segreto di Regione>.
Considerato in diritto
1. La Regione Lombardia ha impugnato, con ricorso per conflitto di attribuzione, alcuni paragrafi della direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 11 ottobre 1993 (nn.1.1, 1.2, 1.3, 2.4, 3.1, 3.2, 3.4, 3.5, 5.1.), reputandoli lesivi dell'autonomia regionale e specificamente degli artt. 5, 117, 118, 124, 125 e 127 Cost.
Prima di esaminare le singole censure, appare necessaria una considerazione preliminare sul ruolo del Commissario del Governo, quale risulta definito dalla giurisprudenza di questa Corte.
Il Commissario svolge un ruolo di rappresentanza dello Stato nel territorio regionale ed è strumento del coordinamento, su base paritaria, delle funzioni amministrative esercitate dallo Stato con quelle regionali. Assolve, altresì, compiti di trasmissione delle informazioni da e verso la Regione (da ultimo, v. la sent. n. 359 del 1993).
Il principio di leale cooperazione fra lo Stato e le Regioni rappresenta la cornice generale nella quale inserire la tematica dei poteri commis sariali (e, in particolare, quella dei flussi di informazione: sent. n.497 del 1992) al fine di evitare sia indebite ingerenze nella sfera d'autonomia della Regione, con lesione della sua potestà di autorganizzazione, sia nuovi < steccati> fra lo Stato e gli enti autonomi, quando deve affermarsi un'istanza di cooperazione volta al più efficiente esercizio delle rispettive attribuzioni.
In questa ottica vanno riconosciuti al Commissario poteri d'impulso (sent. n. 218 del 1993), di acquisizione della documentazione legislativa regionale (sent. n. 497 del 1992), di promozione di conferenze e riunioni, e in genere di iniziative finalizzate al coordinamento paritario, anche se non destinate a tradursi in atti formali. Il Commissario può inoltre avanzare proposte nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in vista dell'adozione di atti di indirizzo e di coordinamento (sent. n. 242 del 1989). Ma ciò che più rileva è che il Commissario del Governo - strumento, come si è detto, del coordinamento su base paritaria delle funzioni amministrative statali con quelle regionali - non ha poteri sostitutivi nei confronti delle attività amministrative di competenza regionale. Siffatti poteri possono essere attribuiti soltanto a organi di Governo, e tali non sono i Commissari (sentt. nn. 43 del 1992, 386 del 1991, 117 del 1988).
2. Sulla base di queste indicazioni generali, occorre procedere all'esame delle singole censure.
La Regione Lombardia impugna, innanzitutto, il paragrafo 1.1, dolendosi del fatto che essa parli indiscriminatamente di < unità d'indirizzo> - da assicurare a livello regionale ad opera del Commissario del Governo - fra l'attività dello Stato e quella della Regione. L'unità di indirizzo - sotto linea la ricorrente - vale per l'attività amministrativa degli apparati dello Stato, e ad essa si riferisce la potestà di direzione del Presidente del Consiglio dei ministri (art. 95, primo comma, della Costituzione), mentre la Regione ha autonomia politica e persegue propri indirizzi: si pone, dunque, un'istanza di coordinamento fra lo Stato e la Regione nell'ambito del principio di leale collaborazione, e non l'obbligo di uniformità agli indirizzi dello Stato.
Censurato è, in questo paragrafo, anche il riferimento all'adeguatezza dell'azione amministrativa, che porterebbe a valutazioni discrezionali non limitate al canone costituzionale del buon andamento, e perciò potenzialmente invasive della sfera di autonomia regionale.
L'attuazione coordinata dei programmi statali e regionali è, poi, assunta come uno dei fini dell'attività di coordinamento del Commissario, e in tal modo si prefigura l'interferenza del Commissario nell'attività amministrativa regionale attuativa dei programmi.
Non si può non convenire con i principi ricordati dalla ricorrente; ma da un più attento esame della direttiva ci si avvede che i timori non sono fondati: l'inciso che qui si è richiamato va letto alla luce della normativa introdotta dall'art. 124 della Costituzione (e dalla legislazione ordinaria attuativa, in particolare l'art. 13 della legge n. 400 del 1988) che prefigura il coordinamento commissariale come uno strumento < a senso unico> - è la definizione di un'autorevole dottrina - al fine di adeguare, fin dove è possibile, l'amministrazione periferica statale agli obiettivi e ai criteri della corrispondente azione regionale. Senza con ciò determinare, tuttavia, vincoli giuridici a carico della regione (v. le sentenze, già citate, nn. 359 del 1993, 218 del 1993, 497 del 1992, 43 del 1992, 386 del 1991, 242 del 1989 e, con grande chiarezza, la sentenza n. 177 del 1988, ove si afferma che il Commissario sovrintende soltanto alle funzioni amministrative statali), dal che consegue che l'inciso sull'< unità di indirizzo> va circoscritto alle amministrazioni periferiche dello Stato.
Quanto all'< adeguatezza dell'azione amministrativa>, queste parole duplicano, nella sostanza, quelle che seguono sul buon andamento della pubblica amministrazione e non recano lesione alla sfera di autonomia regionale. Nè è fondata la censura relativa all'< attuazione coordinata dei programmi statali e regionali>, poichè la direttiva non prevede che il coordinamento e l'eventuale intervento sostitutivo siano devoluti al Commissario, che svolgerà invece un'attività di rilevazione e di stimolo, informando poi il Presidente del Consiglio sullo stato dei lavori. Anche qui si deve escludere che la direttiva, correttamente interpretata, possa vulnerare l'autonomia regionale.
3. In ordine al paragrafo 1.2, la Regione ritiene che l'invio al Commissario dei progetti legislativi e di altri atti deliberativi della Regione prefiguri una sorta di controllo preventivo su tali deliberazioni, in contrasto con gli artt. 127 e 125 della Costituzione. Ma, a ben vedere, si tratta solo di assicurare al Commissario un'adeguata in formazione, e non s'introduce alcun controllo formale sugli atti.
4. Sono altresì infondate le censure mosse con riguardo ai paragrafi 1.3 e 2.4.
In base al paragrafo 1.3, il Commissario cura l'esecuzione delle delibere del Consiglio dei ministri e degli atti ministeriali in sostituzione degli organi regionali inattivi: se dovesse intendersi nel senso di fondare un potere sostitutivo degli organi regionali in casi e con modalità non stabiliti dalla legge, tale previsione, nella sua genericità, sarebbe illegittima, ad avviso della ricorrente, per violazione del principio di legalità sostanziale nonchè delle regole di competenza - procedurali e sostanziali - che questa Corte ha affermato in tema di esercizio dei poteri sostitutivi. Ma già la lettera della direttiva consente di escludere tale timore, poichè la stessa parola < esecuzione> indica una serie di attività meramente conseguenziali alle delibere del Consiglio dei ministri e agli atti ministeriali, senza che al Commissario possa riconoscersi un ruolo autonomo nell'ipotesi di inadempienza regionale.
Quanto al paragrafo 2.4, deve escludersi che l'inciso riguardante la convocazione di conferenze alle quali partecipano i rappresentanti degli uffici decentrati dello Stato e di altre pubbliche amministrazioni possa riferirsi alle Regioni.
5. Sono invece fondate le censure che la Regione muove ai paragrafi nn.3.1. e 3.2. della direttiva.
Il paragrafo 3 disciplina la convocazione delle riunioni di coordinamento, conferendone il potere al Commissario. Siffatta previsione contrasta con l'art. 13, comma 1, lett. b), della legge n. 400 del 1988, secondo cui il Commissario può solo promuovere dette riunioni, mentre spetta al Presidente della Regione presiederle e, dunque, anche convocarle formalmente. La posizione del Presidente della Regione non è, in questa parte della direttiva, sufficientemente garantita, come risulta anche da quel passaggio che non prevede l'intesa per la convocazione, ma la mera audizione del Presidente.
Anche il paragrafo n. 3.2. viola la competenza del Presidente della Regione, costituzionalmente attribuitagli, perchè illegittimamente gli sottrae qualsiasi determinazione in ordine alla convocazione dei rappresentanti degli enti locali, che è subordinata all'intesa tra il Commissario e il prefetto della provincia interessata.
Le finalità dell'attività commissariale impongono un raccordo costante con il Presidente della Regione, il quale valuterà, al momento di convocare la riunione, se invitare detti rappresentanti, d'intesa ed eventualmente su proposta del Commissario del Governo.
Devono essere perciò censurati, alla luce di quanto si è sopra rilevato sulla posizione costituzionalmente garantita del Presidente della Regione, i paragrafi nn. 3.1. e 3. 2, nella parte in cui privano il Presidente della Regione del potere di convocare le riunioni di coordinamento, di stabilire l'ordine del giorno e i soggetti da invitare, fermi restando i poteri di impulso e di proposta del Commissario.
6. Sono infondate le censure mosse ai paragrafi nn. 3.4, 3.5. e 5.1.
Il paragrafo 3.4. contempla, come si è già detto, la stipula di accordi a conclusione delle riunioni di coordinamento, che si sarebbero trasformate in qualcosa di simile alle < conferenze di servizi>, ma senza alcuna disposizione legislativa a fondamento.
In realtà, non appare pertinente il richiamo al principio di legalità sostanziale che, nella specie, sarebbe stato violato: la direttiva non ha infatti introdotto - nè d'altronde lo poteva - una nuova classe di atti formali, identificati da precisi effetti giuridici, e tali da fondare successivi, autonomi poteri di accertamento e di eventuale intervento sostitutivo. Non a caso, essa parla di < accordo> sulle questioni esaminate, e, in coerenza con il canone generale di leale collaborazione, stabilisce un onere di reciproca informazione fra il Presidente della Regione e il Commissario del Governo sulle iniziative volte a dar seguito all'accordo.
La Regione si duole anche della convocazione della Conferenza Stato-Regioni nell'ipotesi di mancato accordo (n. 3.5.), che avrebbe titolo a intervenire solo su questioni che toccano tutte le Regioni. Ma, a questo proposito, si deve rilevare che il paragrafo in questione subordina la convocazione della Conferenza all'intesa con il Presidente della Giunta regionale; e non si vede, dunque, come la direttiva rechi lesione alla sfera di attribuzioni della ricorrente.
Infondata è, infine, anche la censura al paragrafo n. 5.1, alla luce di quanto si è detto all'inizio sul ruolo del Commissario per tutto ciò che attiene all'acquisizione e trasmissione di informazioni e dati.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara che non spetta allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio dei ministri, emanare direttive ai Commissari di Governo affinchè questi convochino, in luogo del Presidente della Regione, le riunioni di coordinamento previste dall'art. 13, comma 1, lett. b), della legge 23 agosto 1988, n. 400; che non spetta allo Stato prevedere, attraverso la direttiva anzidetta, modalità per l'integrazione delle riunioni di coordinamento prima specificate, pretermettendo il Presidente della Regione e richiedendo solo l'intesa tra il Commissario del Governo e il prefetto della provincia interessata; conseguentemente annulla, nelle parti indicate, i paragrafi nn. 3.1. e 3.2. della direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 11 ottobre 1993;
b) dichiara che spetta allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio dei ministri, emanare direttive ai Commissari di Governo nelle materie oggetto dei paragrafi 1.1., 1.2., 1.3., 2.4., 3.4., 3.5. e 5.1. della direttiva del Presidente del Consiglio 11 ottobre 1993, nei termini precisati in motivazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/07/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Francesco GUIZZI, Redattore
Depositata in cancelleria il 25 Luglio 1994.