ORDINANZA N. 275
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Gabriele PESCATORE
Giudici
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 425 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 2 dicembre 1993 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ivrea nel procedimento penale a carico di Racchio Giovanni Leonterio, iscritta al n. 65 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1994.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'8 giugno 1994 il Giudice relatore Mauro Ferri.
Ritenuto che il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ivrea ha sollevato, in riferimento agli artt. 97, primo e secondo comma, e 107, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 425 del codice di procedura penale, nel testo risultante a seguito della sentenza di questa Corte n. 41 del 1993 e dell'art. 1 della legge 8 aprile 1993, n. 105, "nella parte in cui non consente al giudice dell'udienza preliminare di pronunciare sentenza di non luogo a procedere per mancanza di imputabilità, pur avendo ora tale giudice la possibilità di una penetrante cognizione nel merito, svincolata dall'estremo dell'"evidenza" (quello cioè che aveva motivato la sentenza n. 41/93)";
che osserva il remittente che l'attuale sistema, creatosi in conseguenza della stratificazione di interventi modificativi dell'art. 425, "impedisce al giudice dell'udienza preliminare di svolgere la sua funzione di filtro per il dibattimento e gli toglie la possibilità di pronunciarsi nell'ambito dei suoi poteri su fatti per i quali è comunque competente, così obbligando il Tribunale... a celebrare il dibattimento per fatti non controversi e per i quali non si potrà mai pervenire ad una sentenza di condanna, con inutile dispendio di organizzazione, energie lavorative e spese";
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, eccependo in primo luogo l'inammissibilità della questione, in quanto non introduce elementi di rilievo rispetto a quanto già statuito dalla Corte con la sentenza n. 41 del 1993, e concludendo, comunque, per l'infondatezza della medesima.
Considerato che l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura dello Stato deve essere rigettata, in quanto essa attiene palesemente al merito della questione;
che, in ordine al riferimento all'art. 97, primo e secondo comma, della Costituzione (censura che deve essere esaminata unitariamente, dato lo stretto collegamento tra i due commi richiamati), deve ribadirsi che il principio del buon andamento e della imparzialità dell'amministrazione, alla cui realizzazione detto parametro vincola la disciplina dell'organizzazione dei pubblici uffici, pur potendo riferirsi anche agli organi dell'amministrazione della giustizia (sentt. nn. 18 del 1989 e 86 del 1982), attiene esclusivamente alle leggi concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari e il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, mentre è del tutto estraneo al tema dell'esercizio della funzione giurisdizionale, nel suo complesso e in relazione ai diversi provvedimenti che costituiscono espressione di tale esercizio (cfr. sent.n. 376 del 1993);
che del pari chiaramente infondato si rivela il richiamo all'art. 107, terzo comma, della Costituzione - secondo cui "i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni" -, in quanto tale precetto concerne essenzialmente lo status giuridico dei magistrati, nell'ambito del quale mira a precludere diversità per gradi gerarchici, ovvero arbitrarie categorizzazioni non sorrette da ragioni di ordine funzionale (cfr. sentt. nn. 50 e 123 del 1970, 86 del 1982): con la conseguenza che non può essere invocato - come nella fattispecie - per censurare l'ambito delle funzioni che la legge assegna ai vari organi giurisdizionali in ragione delle diverse fasi in cui il processo si articola (cfr. cit. sent. n. 50 del 1970);
che, in conclusione, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 425 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt.97, primo e secondo comma, e 107, terzo comma, della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ivrea con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 1994.
Gabriele PESCATORE, Presidente
Mauro FERRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 30/06/1994.