Sentenza n. 113 del 1994

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SENTENZA N. 113

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Dott. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato il 16 gennaio 1993, depositato in Cancelleria il successivo 25 gennaio, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Ministro dell'ambiente emesso (di concerto con i Ministri per le aree urbane, della difesa, dei lavori pubblici, dei trasporti, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e della sanità) il 12 novembre 1992, che enuncia "Criteri generali per la prevenzione dell'inquinamento atmosferico nelle grandi zone urbane e disposizioni per il miglioramento della qualità dell'aria", iscritto al n. 4 del registro conflitti 1993.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'11 gennaio 1994 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

uditi l'avvocato Giuseppe F. Ferrari per la Regione Lombardia e l'avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso notificato il 16 gennaio e depositato in Cancelleria il successivo 25 gennaio 1993 la Regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, con riferimento al decreto del Ministro dell'ambiente emesso (di concerto con i Ministri per le aree urbane, della difesa, dei lavori pubblici, dei trasporti, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e della sanità) il 12 novembre 1992, che enuncia "Criteri generali per la prevenzione dell'inquinamento atmosferico nelle grandi zone urbane e disposizioni per il miglioramento della qualità dell'aria". La Regione ritiene che il decreto violi gli artt. 117 e 118 della Costituzione, nell'attuazione ad essi data dall'art. 4 del d.P.R.24 maggio 1988, n. 203, che ha attribuito alle regioni la tutela dell'ambiente dall'inquinamento atmosferico, e contrasti inoltre con l'art. 97 della Costituzione.

2. - La Regione Lombardia ritiene che il decreto impugnato abbia natura di atto di indirizzo e coordinamento, nonostante formalmente manchi questa denominazione. Esso tende espressa mente a "definire un quadro di riferimento unitario per l'adozione da parte delle autorità competenti delle misure volte a prevenire episodi acuti di inquinamento ed a contenere le concentrazioni di inquinanti ed i periodi di esposizione entro i limiti massimi di accettabilità, attraverso l'individuazione di livelli di attenzione e di allarme, e di tipologie graduabili di interventi". Lo stesso decreto precisa inoltre che intende "fornire, a fronte di episodi acuti di inquinamento atmosferico, alle autorità competenti criteri generali e omogenei ed elementi di orientamento al fine di assicurare la tutela sanitaria della popolazione ed il miglioramento della qualità dell'aria" (art. 1, primo comma).

Ad avviso della Regione Lombardia il decreto nel suo complesso sarebbe lesivo dei principi propri della funzione governativa di indirizzo e coordinamento. Mancherebbero anzitutto i requisiti di forma, perchè l'atto di indirizzo e coordinamento deve essere approvato con delibera del Consiglio dei ministri. Non vi sarebbero inoltre i requisiti di sostanza, in mancanza di un'idonea base legislativa che contenga principi e criteri idonei a vincolare ed a dirigere la scelta del Governo.

Il d.P.R. n. 203 del 1988, che attua direttive comunitarie in materia di inquinamento e disegna un sistema organico delle competenze di settore, riserva allo Stato la definizione (con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri) dei "valori limite" e dei "valori guida" di qualità dell'aria per tutto il territorio nazionale (art. 3, primo comma); la predisposizione (con decreto del Ministro dell'ambiente) delle "linee guida per il contenimento delle emissioni", dei "metodi di campionamento, analisi e valutazione degli inquinanti e dei combustibili", dei "criteri per l'utilizzazione delle migliori tecnologie disponibili", dei "criteri temporali per l'adeguamento progressivo degli impianti esistenti" (art. 3, secondo comma). La stessa disposizione riserva ancora allo Stato la fissazione, con decreto del Ministro dell'ambiente, dei "criteri per l'elaborazione dei piani regionali per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria, tenuto conto delle esperienze regionali già acquisite"; la redazione del "piano nazionale di tutela della qualità dell'aria sulla base dei piani regionali, previa verifica della loro compatibilità";la predisposizione dei criteri "per la raccolta dei dati inerenti la qualità dell'aria" e "per l'inventario nazionale delle fonti di emissione"; l'individuazione, infine, sentite le regioni interessate, delle zone a carattere interregionale a particolare rischio di inquinamento atmosferico (art. 3, quarto comma).

Fatte salve le competenze dello Stato, la tutela dell'ambiente dall'inquinamento atmosferico spetta alle regioni (art. 4), che la esercitano attraverso una serie di poteri, che vanno dalla "formulazione dei piani di rilevamento, prevenzione, conservazione e risanamento del (...) territorio, nel rispetto dei valori limite di qualità dell'aria", alla "fissazione di valori limite di qualità dell'aria, compresi tra i valori limite e i valori guida ove determinati dallo Stato, nell'ambito dei piani di conservazione per zone specifiche nelle quali ritengono necessario limitare o prevenire un aumento dell'inquinamento dell'aria derivante da sviluppi urbani o industriali".

Ad avviso della Regione Lombardia il decreto impugnato eccede anche nei suoi contenuti sostanziali le competenze dello Stato, fissate dall'art. 3 del d.P.R.n. 203 del 1988.

Se si ritenesse, in alternativa, che il decreto non costituisca atto di indirizzo e coordinamento, ma abbia natura di regolamento, esso mancherebbe egualmente, ad avviso della Regione ricorrente, di fondamento legislativo. L'art. 17, primo comma, lettera b), e terzo comma, della legge 23 agosto 1988, n.400, circoscrive la potestà regolamentare ministeriale alle sole materie di competenza del Ministro o di autorità a lui sottordinate. Comunque un regolamento ministeriale non potrebbe limitare la sfera delle competenze delle regioni in materie loro attribuite.

La Regione formula inoltre specifiche censure, per singoli aspetti del decreto impugnato che ritiene invasivi delle attribuzioni regionali.

3. - Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato, affermando che le premesse del decreto impugnato danno conto delle basi legislative e degli altri provvedimenti sui quali si fonda.

4. - La Regione Lombardia ha depositato una memoria illustrativa ricordando che con la sentenza n. 45 del 1993 questa Corte ha ribadito il principio che l'esercizio della funzione di indi rizzo e coordinamento dell'attività amministrativa delle regioni è soggetto all'osservanza di necessari requisiti di forma, in quanto l'atto di indirizzo e coordinamento deve essere approvato con delibera dal Consiglio dei ministri, e di sostanza, perchè occorre una idonea base legislativa per salvaguardare il principio di legalità sostanziale.

La difesa della Regione richiama anche la sentenza di questa Corte n. 72 del 1993, con la quale è stata negata ai regolamenti ministeriali la forza di modificare il quadro delle competenze regionali che risultano da fonti primarie.

5. - Anche l'Avvocatura ha depositato una memoria in prossimità dell'udienza, osservando anzitutto che la frequenza e la diffusione sull'intero territorio nazionale di fenomeni acuti di inquinamento atmosferico nelle grandi aree urbane hanno messo in rilievo una ricorrente situazione di rischio per la salute dei cittadini e, quindi, l'esigenza di misure appropriate per salvaguardare un interesse fondamentale della collettività. Con riferimento a questo obiettivo il decreto impugnato si richiama, fra l'altro, al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 marzo 1983 che, in attuazione dell'art. 4 della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (n. 833 del 1978), ha fissato i limiti massimi inderogabili di accettabilità delle concentrazioni e di esposizione relativi ad inquinanti dell'aria nell'ambiente esterno. L'Avvocatura ricorda che la Corte, con la sentenza n. 305 del 1988, ha sottolineato come l'art. 4 della legge n. 833 del 1978 ed i relativi provvedimenti di attuazione realizzano un principio fondamentale dell'ordinamento sull'uniformità di condizioni e garanzie di salute nell'intero territorio della Repubblica.

L'Avvocatura ritiene che la presenza di un interesse nazionale si connette non soltanto agli obiettivi da raggiungere a garanzia della salute umana, ma anche ai mezzi che possono o debbono essere impiegati per prevenire o rimuovere i livelli di inquinamento dell'aria che rendono l'ambiente insalubre. In particolare, per eliminare i fenomeni acuti di inquinamento nelle grandi aree urbane, non si potrebbe prescindere dall'impiego di misure che incidono sulle sorgenti mobili e quindi sul traffico veicolare. L'inquinamento atmosferico da fonti veicolari non rientra, ai sensi dell'art. 102 del d.P.R. n. 616 del 1977, tra le competenze regionali in materia di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti.

L'Avvocatura osserva che il decreto impugnato persegue le finalità che si propone non nella forma dell'atto di indirizzo e coordinamento e neppure in quella regolamentare. Difatti il decreto del Ministro dell'ambiente, al di là di alcune inappropriate formule imperative, non presenterebbe quel carattere vincolante o quei contenuti normativi che sono propri della funzione di indirizzo e coordinamento e dell'esercizio della potestà regolamentare. Esso avrebbe, piuttosto, una portata limitata all'individuazione di misure di intervento e di modelli operativi appropriati e proporzionati ai possibili livelli di emergenza da fronteggiare. L'utilità di un quadro di riferimento unitario andrebbe considerata alla luce dell'opportunità di promuovere un soddisfacente grado di omogeneità, su tutto il territorio nazionale, sia nella valutazione delle manifestazioni di pericolosità ambientale, sia nella graduazione e nella selezione delle misure di intervento.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, chiedendo l'annullamento del decreto emesso dal Ministro dell'ambiente il 12 novembre 1992, con il quale sono stati dettati "Criteri generali per la prevenzione dell'inquinamento atmosferico nelle grandi zone urbane e disposizioni per il miglioramento della qualità dell'aria".

La Regione sostiene che il decreto ministeriale sia invasivo delle competenze regionali delineate, in attuazione degli artt.117 e 118 della Costituzione, dall'art. 4 del d.P.R.24 maggio 1988, n. 203.

La ricorrente anzitutto denuncia l'illegittimità del decreto nella sua totalità. Esso avrebbe natura di atto di indirizzo e coordinamento, anche se manca questa formale qualificazione. Essendo stato emanato senza previa deliberazione del Consiglio dei ministri, difetterebbe dei requisiti di procedura e di forma necessari per l'adozione di questo tipo di atto.

La censura coinvolge il decreto nel suo complesso e l'esame di essa è pregiudiziale rispetto alla valutazione di ogni altro motivo di ricorso.

2. - La censura è fondata.

Il decreto ministeriale in esame è diretto, secondo quanto chiarisce espressamente l'art. 1, a determinare criteri generali ed omogenei ed a fornire elementi di orientamento alle autorità competenti per l'adozione delle misure volte a prevenire episodi acuti di inquinamento atmosferico nelle grandi zone urbane, a contenere le concentrazioni di inquinanti, ad individuare i livelli di attenzione e di allarme e le tipologie di interventi.

In particolare il decreto disciplina aspetti sia organizzativi che tecnici. Indica componenti e funzioni dell'"organo tecnico" del quale "l'autorità competente" si deve avvalere per i compiti previsti dal decreto stesso (art. 5, commi 1 e 2), precisando le linee di azioni di tale ufficio (allegato 2). Definisce i criteri generali per i piani di intervento operativo (art. 5, comma terzo), delineando le finalità, i contenuti ed i tempi degli interventi che i piani debbono indicare e prevedere (allegato 3).

Si è dunque in presenza di un atto che risponde, secondo le premesse enunciate dallo stesso, alla "necessità di definire un quadro di riferimento unitario per l'adozione da parte delle autorità competenti delle misure volte a prevenire episodi acuti di inquinamento". In ordine all'adozione di tali misure le diverse autorità destinatarie dell'atto sono titolari di competenze proprie ed hanno autonoma potestà di decisione.

Il decreto del Ministro dell'ambiente vuole essere, nella sua sostanza, espressione della funzione governativa di indirizzo e coordinamento. Tende a soddisfare esigenze unitarie, condiziona e pone limiti all'esplicazione delle competenze proprie di soggetti dotati di autonomia. Avendo tale caratterizzazione, l'atto deve essere adottato - secondo i principi più volte enunciati da questa Corte (da ultimo sentenza n. 45 del 1993), che trovano anche espressione nell'art.

2, terzo comma, lettera d), della legge n. 400 del 1988 - con deliberazione del Consiglio dei ministri.

Mancano quindi per il decreto denunciato i requisiti di procedura e di forma necessari per l'adozione degli atti di indirizzo e coordinamento. Tale vizio, che coinvolge il decreto nel suo complesso ed assorbe l'esame analitico dei suoi contenuti normativi e della loro base legislativa, manifesta un uso non legittimo delle funzioni, che assume connotati invasivi di competenze regionali.

Il ricorso della Regione Lombardia deve essere pertanto accolto e di conseguenza va annullato il decreto del Ministro dell'ambiente 12 novembre 1992.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara che non spetta allo Stato adottare con decreto del Ministro dell'ambiente "criteri generali per la prevenzione dell'inquinamento atmosferico nelle grandi aree urbane e disposizioni per il miglioramento della qualità dell'aria"; e, conseguentemente, annulla il decreto del Ministro dell'ambiente 12 novembre 1992, emanato di concerto con i Ministri per le aree urbane, della difesa, dei lavori pubblici, dei trasporti, dell'industria, del commercio e dell'artigianato e della sanità.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 31/03/1994.