Sentenza n. 97 del 1994

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SENTENZA N. 97

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 47 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), in relazione agli artt. 9, ultimo (recte: penultimo) comma, e 12, quarto comma, dello stesso decreto , promosso con ordinanza emessa il 24 febbraio 1987 dalla Corte di appello di Ancona nel procedimento civile vertente tra Cercamondi Gino ed il Ministero delle Finanze, iscritta al n. 565 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 1994 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza del 24 febbraio 1987 (pervenuta alla Corte il 31 agosto 1993) la Corte di appello di Ancona, nel corso di un giudizio di opposizione avverso la sanzione amministrativa irrogata per omessa presentazione della dichiarazione di un sostituto d'imposta, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 (in relazione all'art. 12, quarto comma, e 9, ultimo - recte: penultimo - comma) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 nella parte in cui riserva lo stesso trattamento sanzionatorio a chi ometta di presentare la dichiarazione dei redditi (o la presenti con ritardo superiore ad un mese) e a chi presenti la dichiarazione nel termine di legge ad ufficio incompetente e da questo sia trasmessa a quello competente oltre un mese dalla scadenza del termine di presentazione, ipotesi considerata dal legislatore equivalente all'omissione della presentazione.

Ad avviso del giudice a quo la norma contrasterebbe con gli artt. 3 e 76 della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 10, n. 11, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, che reca, tra i principi e criteri direttivi della delega, quello della commisurazione della sanzione all'"effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni".

È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per il rigetto della questione secondo i precedenti giurisprudenziali di questa Corte.

Considerato in diritto

 

l.- La Corte di appello di Ancona dubita della legittimità costituzionale dell'art. 47 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 che, in relazione agli art. 9, ultimo comma (recte: penultimo, nel testo ora vigente per effetto dell'art. 14 della legge 29 dicembre 1990, n. 408), e 12, quarto comma, dello stesso decreto legislativo, prevede, per il sostituto di imposta, la medesima sanzione sia nel caso di omessa dichiarazione (o di dichiarazione ultratardiva, presentata cioé oltre il mese dalla scadenza ed equiparata dal legislatore all'omissione), sia nel caso che la dichiarazione sia presentata tempestivamente ad ufficio incompetente e da questo sia trasmessa a quello competente con ritardo superiore ad un mese.

La denunciata previsione violerebbe: a) l'art. 3 della Costituzione, apparendo irrazionale ed ingiusta l'equiparazione quoad poenam di due ipotesi di cui, la prima, imputabile a responsabilità del contribuente per dolo o colpa grave, e la seconda riferibile solo a "insufficiente attenzione o soltanto per obbiettiva difficoltà di individuare l'ufficio competente"; b) l'art. 76 della Costituzione, in relazione all'art. 10, n. 11, della legge n. 825 del 1971, che indica, tra i principi della delega, quello della "migliore commisurazione delle sanzioni... all'effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni".

2.- Devesi preliminarmente ricordare che identica questione era già stata sottoposta al sindacato di questa Corte, che la definì con una pronuncia di inammissibilità (sent. n. 82 del 1989

). Pur ravvisando difatti l'incongruità dell'assoggettamento alla medesima sanzione di ipotesi tra loro così diverse, la Corte osservò che fosse più appropriato, in un'opera di revisione del regime sanzionatorio nella sua globalità, l'intervento correttivo del legislatore diretto a separare nettamente la disciplina del termine di presentazione della dichiarazione da quella dell'ufficio competente a riceverla e quindi a graduare le sanzioni in relazione alla gravità delle violazioni.

Inoltre, nella coeva sentenza n. 83 del 1989, altra analoga questione, relativa a diversa fattispecie normativa, veniva dichiarata inammissibile per le stesse ragioni, formulandosi però in modo espresso l'auspicio (ribadito nell'ordinanza n. 212 del 1989, avente ad oggetto questione identica a quella oggetto del presente giudizio) di quell'opera di revisione del sistema sanzionatorio tributario da parte del legislatore, sì da realizzare tale graduazione in conformità al principio enunciato dall'art. 10, n. 11, della legge di delega 9 ottobre 1971 n. 825, che prevedeva appunto la commisurazione delle sanzioni "all'effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni". Nel formulare tale auspicio la Corte sottolineava come il perfezionamento della disciplina sanzionatoria, nei sensi anzidetti, costituisse necessario presupposto per un corretto rapporto tra cittadino e fisco.

Il legislatore però non ha - nonostante il notevole tempo trascorso e fatti salvi taluni episodici interventi di sanatoria, comunque non automatica, bensì a domanda ed onerosa (per i sostituti d'imposta, art. 21, comma 3, del decreto-legge 2 marzo 1989 n. 69, convertito nella legge 27 aprile 1989 n. 154, e art. 63 della legge 30 dicembre 1991 n.413) - adottato le auspicate misure correttive, dirette ad eliminare quelle disarmonie ed incongruenze nel quadro del complessivo sistema sanzionatorio che hanno dato luogo a ripetuti incidenti di costituzionalità conclusisi con varie pronunce di questa Corte.

In tutte queste pronunce, anche quando si é dichiarata la non fondatezza delle questioni, come nel caso della più recente sentenza n. 103 del 1990, traspare tuttavia l'opportunità di adeguati interventi legislativi che conferiscano al sistema quella complessiva razionalità che elimini lo stato di disagio da più parti segnalato.

Per quel che riguarda la questione ora all'esame della Corte va rilevato che l'ordinanza di rimessione fa riferimento non solo all'art. 3 della Costituzione ma anche all'art. 76, per la ravvisata disarmonia della normativa denunciata con i principi dettati dalla legge di delega in base alla quale la prima é stata emanata. Tuttavia si deve considerare che l'ordinanza suddetta, pur essendo pervenuta a questa Corte soltanto il 31 agosto 1993, é del 24 febbraio 1987, anteriore cioé alle richiamate sentenze di questa Corte nel frattempo intervenute e quindi ha affrontato la questione senza ovviamente poter tener conto delle difficoltà che nelle sentenze stesse si sono prospettate relativamente alla possibilità di una pronunzia additiva, episodicamente legata alla fattispecie normativa denunciata e quindi non ancorata ad una complessiva revisione del sistema.

Anche la questione sollevata nel presente giudizio deve perciò, per tale ragione, essere dichiarata, allo stato, inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), in relazione agli artt. 9, ultimo (recte: penultimo) comma, e 12, quarto comma, dello stesso decreto, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione ed in relazione all'art.10, n. 11, della legge 9 ottobre 1971 n. 825, dalla Corte di appello di Ancona con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/03/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

Depositata in cancelleria il 24/03/94.