ORDINANZA N. 504
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 257, primo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 16 aprile 1993 dal Pretore di Napoli nel procedimento civile vertente tra Scognamiglio Salvatore e Parisi Lucio ed altro, iscritta al n. 283 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 17 novembre 1993 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.
Ritenuto che il Pretore di Napoli, con ordinanza del 16 aprile 1993, ha sollevato, in riferimento agli art. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 257, primo comma, c.p.c., "nella parte in cui non prevede la possibilità della parte di indicare altri testi da escutere dopo essere stata accertata la morte di quello precedentemente indicato";
che nell'ordinanza si sostiene che, essendo le nullità e le decadenze in tema di prova testimoniale "stabilite non per ordine pubblico, ma a tutela esclusiva degli interessi delle parti" ed essendo stata nel giudizio a quo eccepita la decadenza da una prova, spetta al giudice accertare i motivi che possono determinare il mancato espletamento del mezzo istruttorio;
che in proposito si osserva che, se gli artt. 208 c.p.c. e 104 delle disposizione di attuazione del c.p.c. - entrambi di carattere sanzionatorio per le parti che abbiano manifestato "sintomi di negligenza" processuale - consentono tuttavia di rimediare alle omissioni delle parti stesse determinate da gravi o giustificati motivi di carattere soggettivo, neutralizzando la dichiarazione di decadenza, a maggior ragione dovrebbe essere consentito alle parti di indicare nuovi testi "quando l'assenza dei medesimi, di cui sia stata ritualmente richiesta la intimazione, risulti giustificata da fatti assolutamente indipendenti dalla volontà della parte", come il sopravvenuto decesso del teste precedentemente indicato;
che, quindi, l'omessa previsione nei sensi anzidetti si porrebbe in contrasto: a) con l'art. 3 della Costituzione, poichè le parti del rapporto processuale avrebbero un diverso trattamento solo perchè, nell'adempimento di un onere legale (intimazione di un teste a mezzo di ufficiale giudiziario) da entrambe eseguito, sarebbe consentito di provare le ragioni della domanda alla sola parte che "avesse rinvenuto il teste in vita", mentre ciò sarebbe impedito alla parte che "si fosse imbattuta" in un teste che risulti deceduto dopo l'ordinanza di ammissione della prova e prima del momento dell'assunzione; b) con l'art. 24 della Costituzione, perchè verrebbe vanificata la difesa ove l'impedimento del teste a comparire dipenda da sua impossibilità fisica e non anche da negligenza della parte;
che, quanto alla rilevanza della questione, nell'ordinanza si sostiene che, poichè "le ragioni della parte attrice si fondano sulla facoltà di escutere i testi indicati ... una volta accertati la concreta impossibilità di reperire uno dei testi sloggiati" ed il decesso dell'altro, la mancata possibilità di indicare un nuovo teste inciderebbe sull'esito del giudizio;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, per eccepire in primo luogo la inammissibilità della questione, per assoluta carenza della motivazione circa l'oggetto e gli esatti termini del giudizio principale, e per contestarne nel merito la fondatezza, sia perchè si sarebbero in concreto denunciati meri inconvenienti pratici non conferenti con un giudizio di costituzionalità, e sia perchè i principi del processo (contraddittorio e diritto alla prova) impongono un ordinato susseguirsi delle attività processuali, tra cui quella di articolare i mezzi di prova, in particolare indicando i testi, nella fase iniziale del processo in modo che il giudice possa dirigerne lo svolgimento assicurando la parità delle parti stesse.
Considerato che deve essere accolta l'eccezione, formulata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, intervenuta nel presente giudizio, poichè nell'ordinanza di rimessione è del tutto omessa qualsiasi esposizione del fatto e ogni riferimento all'oggetto ed ai termini del giudizio principale, in modo da non consentire alla Corte il controllo sul carattere pregiudiziale della questione di legittimità costituzionale della norma impugnata e quindi sulla sua rilevanza;
che, pertanto, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale (v., ex plurimis, sentenza n. 306 del 1993, punto 2 della motivazione, e ordinanze nn. 366 e 21 del 1993), la questione sollevata è manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 257, primo comma, c.p.c., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Napoli con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29/12/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Vincenzo CAIANIELLO, Redattore
Depositata in cancelleria il 31/12/93.