Sentenza n. 464 del 1993

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SENTENZA N. 464

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta notificato l'8 giugno 1993, depositato in Cancelleria il 28 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della restituzione all'autorità giudiziaria, per inosservanza dell'art. 344 del codice di procedura penale, degli atti relativi alla domanda di autorizzazione a procedere nei confronti del deputato Occhipinti Gianfranco ed iscritto al n. 21 del registro conflitti 1993.

 

Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;

 

udito nell'udienza pubblica del 14 dicembre 1993 il Giudice relatore Enzo Cheli;

 

uditi gli avvocati Giovanni Maria Flick e Federico Sorrentino per la Camera dei deputati.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso del 28 aprile 1993, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta ha sollevato conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in ordine alla deliberazione dell'assemblea del 1° aprile 1993 che ha disposto la restituzione, per mancata osservanza del termine di cui all'art. 344 del codice di procedura penale, degli atti relativi alla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del deputato Gianfranco Occhipinti avanzata dalla stessa Procura in data 27 gennaio 1993.

 

L'autorità ricorrente - lamentando la violazione degli artt.68, secondo comma, 107, quarto comma, 108, secondo comma, e 112 della Costituzione - richiede che questa Corte dichiari che non spetta alla Camera dei deputati restituire per mancato rispetto del termine di cui all'art.344, primo comma, del codice di procedura penale gli atti relativi alla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del deputato predetto, e, di conseguenza, annulli la relativa deliberazione della Camera che ha disposto tale restituzione, riconoscendo la legittimazione del pubblico ministero ad ottenere un provvedimento di merito (di accoglimento o di rigetto della richiesta).

 

In subordine, la ricorrente chiede a questa Corte di sollevare dinanzi a se stessa la questione di legittimità costituzionale dell'art. 344, primo comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, 68, secondo comma, 112 e 109 della Costituzione "nella parte in cui si prevede che il termine entro cui il pubblico ministero deve richiedere l'autorizzazione a procedere contro un parlamentare indagato sia stabilito a pena di decadenza dell'esercizio dell'azione penale".

 

2. - Nel ricorso si espone che la Procura della Repubblica di Caltanissetta, in data 27 gennaio 1993, aveva avanzato alla Camera dei deputati richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell'on. Gianfranco Occhipinti per concorso nel reato di cui agli artt. 353, secondo comma, del codice penale e 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 (turbata libertà degli incanti, pluriaggravata), nonchè per concorso nel reato di cui agli artt.319 e 321 del codice penale e 7 del citato decreto-legge n. 152 del 1991 (corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, aggravata). Tale richiesta era stata trasmessa alla Camera dei deputati dal Ministro della giustizia che, peraltro, ne segnalava la tardività con riferimento al termine previsto dall'art. 344 del codice di procedura penale. La Giunta per le autorizzazioni a procedere, cui erano pervenuti gli atti, dopo avere investito della questione il Presidente della Camera, proponeva alla stessa Camera la "restituzione degli atti alla autorità giudiziaria per violazione del termine previsto dal primo comma, ultimo periodo, dell'art.344 del codice di procedura penale". Tale proposta veniva approvata dalla Assemblea nella seduta del 1° aprile 1993. La Procura di Caltanissetta, insieme con la richiesta di autorizzazione a procedere, aveva avanzato anche la richiesta di autorizzazione all'arresto dell'on. Occhipinti, ma su questa seconda la Camera non ha adottato alcuna determinazione espressa nè il ricorso ha formulato alcuna censura.

 

3. - La Procura ricorrente, affrontando il profilo della ammissibilità del conflitto, sostiene di essere l'organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene. A suo avviso, infatti, il pubblico ministero territorialmente competente per le indagini - pur essendo inserito in una struttura gerarchicamente ordinata - è titolare esclusivo dell'esercizio dell'azione penale, dal momento che tale potere non può essere riferito ad altri organi e, in particolare, nè al Procuratore generale presso la Corte di appello, nè al Ministro di grazia e giustizia, nè al Procuratore nazionale antimafia, nè al Consiglio superiore della magistratura.

 

Sarebbe perciò il pubblico ministero l'organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene, nè a questa conclusione potrebbe opporsi il fatto che il pubblico ministero non è organo della giurisdizione. Da un lato, infatti, un elemento decisivo sarebbe rappresentato dal carattere diffuso della titolarità dell'esercizio dell'azione penale, mentre, dall'altro, la natura giurisdizionale dell'organo non sarebbe elemento essenziale per la proposizione del conflitto.

 

Passando, poi, ad esaminare il profilo oggettivo del conflitto, l'ufficio ricorrente afferma che la Camera dei deputati nel restituire gli atti senza una deliberazione di merito, ancorchè negativa, avrebbe indebitamente superato i confini delle sue attribuzioni ed avrebbe, di contro, paralizzato l'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero. E poichè la delimitazione delle sfere di attribuzione del pubblico ministero e della Camera dei deputati discende da norme costituzionali (da un lato, l'art.68, secondo comma, della Costituzione e dall'altro, gli artt.107, quarto comma, 108, secondo comma, e 112 della stessa Costituzione) il conflitto sarebbe da considerare ammissibile anche sotto l'aspetto oggettivo.

 

4. - Nel merito la Procura insiste sul carattere non perentorio del termine di cui all'art. 344 del codice di procedura penale.

 

Dopo aver affermato che è perentorio il termine decorso il quale decade il potere di compiere il relativo atto, la ricorrente ricorda che, ai sensi dell'art. 173, primo comma, del codice di procedura penale, i termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge. Ma il termine di trenta giorni dalla iscrizione nel registro delle notizie di reato entro cui deve esercitarsi l'azione penale nei confronti del parlamentare non è espressamente stabilito a pena di decadenza, mentre la decadenza, come sanzione dell'inosservanza del termine stesso, non sarebbe, d'altro canto, indirettamente ricavabile dal sistema.

 

Al riguardo la ricorrente - dopo aver sottolineato che la perentorietà implicita del termine è desumibile dalla inammissibilità dell'atto compiuto dopo la scadenza del termine stesso - afferma che l'inammissibilità degli atti compiuti dopo la scadenza del termine di cui all'art. 344 del codice di procedura penale è smentita tanto dal carattere irretrattabile ed obbligatorio dell'azione penale quanto dalla comparazione tra le diverse discipline dettate dagli artt. 343 e 344 del codice di procedura e, in particolare, dall'assenza, in quest'ultima norma, di una previsione di inutilizzabilità di atti analoga a quella contenuta nell'art.343.

 

Da ciò conseguirebbe l'erroneità della soluzione adottata dalla Camera dei deputati che avrebbe dovuto valutare il merito della domanda di autorizzazione, ritenendo il termine meramente ordinatorio.

 

5. - In linea subordinata la ricorrente invita questa Corte a sollevare d'ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 344, primo comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, 68, secondo comma, 112 e 109 della Costituzione, nella parte in cui prevede che il termine entro cui il pubblico ministero deve richiedere l'autorizzazione a procedere contro un parlamentare indagato sia stabilito a pena di decadenza dell'esercizio dell'azione penale.

 

Ad avviso della Procura tale questione sarebbe rilevante e non manifestamente infondata, dal momento che la norma sospettata di illegittimità costituzionale determinerebbe una disparità di trattamento tra cittadini indagati, la sottrazione del parlamentare al suo giudice naturale, una lesione dei principi costituzionali in tema di autorizzazione a procedere, nonchè una lesione dell'obbligatorietà dell'azione penale.

 

6. - Il ricorso in esame, in via di prima delibazione, è stato dichiarato ammissibile da questa Corte con l'ordinanza n. 263 del 1993 ed è stato poi notificato, nel termine assegnato, alla Camera dei deputati.

 

7. - Con memoria del 25 giugno 1993 si è costituita in giudizio la Camera dei deputati per chiedere che il ricorso venga dichiarato inammissibile o in subordine rigettato e che le prospettate questioni di costituzionalità siano dichiarate manifestamente infondate.

 

Preliminarmente, nella memoria, si dubita della legittimazione al conflitto della Procura ricorrente, sia perchè il singolo ufficio del pubblico ministero non sarebbe organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere, sia perchè il ricorso, non essendo sottoscritto dal titolare dell'ufficio, non sarebbe riferibile alla Procura della Repubblica di Caltanissetta.

 

Sotto entrambi i profili si rileva che, sebbene il codice vigente abbia eliminato gran parte dei poteri gerarchici nell'organizzazione del pubblico ministero, permane in vigore una disciplina del rapporto tra capo dell'ufficio e sostituti procura tori che vede nel primo il titolare dell'azione penale e nei secondi i suoi delegati.

 

Ad avviso della parte resistente l'autonomia assicurata al singolo sostituto non sarebbe tale da abilitarlo a dichiarare la volontà dell'ufficio "dal momento che quest'autonomia - diversa dall'indipendenza che caratterizza il singolo giudice - si colloca all'interno dell'ufficio e nell'ambito del rapporto di sostituzione tra il titolare e i suoi collaboratori".

 

Nella memoria si ritiene poi non estensibile all'ufficio del pubblico ministero la giurisprudenza della Corte che ha ammesso la legittimazione al conflitto dei singoli uffici giudiziari, dal momento che questa giurisprudenza si fonda sul carattere "diffuso" del potere giudiziario - che contrasta con ogni principio di gerarchia - e sull'idoneità astratta del singolo giudice di emettere sentenze suscettibili di divenire cosa giudicata. La proposizione del ricorso sarebbe spettata, quindi, all'"organo di vertice" del potere nel cui ambito gli uffici del pubblico ministero sono inquadrati.

 

Passando all'esame dell'oggetto del conflitto si afferma che se - come sostenuto dalla Procura ricorrente - esso concerne la lesione delle attribuzioni costituzionali spettanti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 112 della Costituzione, la pronuncia adottata dalla Camera nel caso di specie non sarebbe tale da integrare alcuna invasione di tali attribuzioni. A questo proposito, nella memoria si argomenta che o il termine dell'art. 344 ha carattere perentorio ed inibisce il prosieguo delle indagini dopo la sua scadenza, ovvero il termine medesimo ha natura ordinatoria ed il suo spirare non impedisce la prosecuzione delle indagini.

 

In entrambe le ipotesi non vi sarebbe una lesione di attribuzioni causate dalla decisione adottata dalla Camera, dal momento che seguendo la prima ipotesi interpretativa l'impedimento all'esercizio dell'azione penale conseguirebbe direttamente dall'infruttuoso spirare del termine e non dalla pronuncia della Camera, mentre nella seconda non si verificherebbe alcun ostacolo all'esercizio dell'azione penale, potendosi reiterare la richiesta di autorizzazione a procedere.

 

In questi termini, ad avviso della resistente, il ricorso sarebbe inammissibile, appuntandosi in realtà non tanto sulla restituzione degli atti da parte della Camera quanto sulle conseguenze dell'infruttuosa scadenza del termine previsto dall'art. 344 c.p.p..

 

Il ricorso, ad avviso della Camera dei deputati, sarebbe altresì inammissibile nella parte in cui implicitamente denunzia la mancata pronuncia della stessa Camera in ordine all'autorizzazione all'arresto dell'on. Occhipinti, dal momento che non spetta al pubblico ministero ma alla magistratura giudicante la titolarità dei poteri restrittivi della libertà personale.

 

Con riferimento poi al carattere perentorio o meno del termine previsto dall'art. 344 c.p.p., la memoria osserva che tale disposizione va interpretata non solo in connessione all'art. 173 c.p.p., ma anche, e principalmente, in relazione alla legge di delegazione del codice di procedura penale (legge n. 81 del 1987) ed all'art. 68 della Costituzione.

 

Ad avviso della resistente la natura perentoria del termine si ricaverebbe inequivocabilmente dai lavori preparatori della suddetta legge di delegazione, dal momento che il testo dell'art. 2, n. 47, di tale legge (riprodotto nell'art. 344 c.p.p.) fu approvato dopo che la discussione al Senato - dove il termine in questione fu modificato e ridotto da 60 a 30 giorni - aveva chiarito proprio il carattere perentorio del termine in questione.

 

La norma costituzionale, richiedendo l'autorizzazione del Parlamento per sottoporre a procedimento penale un suo componente, non potrebbe infatti consentire che le indagini preliminari, che già rappresentano nel sistema processuale attuale un inizio di procedimento, si prolunghino indefinita mente. Tale assetto normativo non sarebbe quindi preordinato a salvaguardare esigenze di speditezza processuale, ma ad evitare che l'approfondimento delle indagini preliminari al di là di una certa soglia finisca col violare il principio di cui all'art. 68 della Costituzione.

 

8. - Anche la Procura della Repubblica di Caltanissetta ha presentato, dopo il ricorso, memoria per sviluppare ulteriori deduzioni.

 

Nella memoria si richiama la giurisprudenza di questa Corte e l'orientamento della dottrina favorevole a riconoscere la legittimazione a sollevare conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato a quegli organi che, insieme ad altri, concorrono a comporre un potere, in quanto dotati di indipendenza costituzionalmente garantita.

 

Tra questi organi va annoverato - secondo la Procura ricorrente - anche il pubblico ministero territorialmente competente, che è organo del potere giudiziario, è indipendente "sia nella struttura organica sia nel momento funzionale" e risulta "inserito nella carta costituzionale come assegnatario del potere-dovere di esercizio dell'azione penale".

 

In riferimento ai requisiti oggettivi del conflitto, la ricorrente ribadisce che la deliberazione della Camera dei deputati di restituire gli atti relativi alla richiesta di autorizzazione a procedere per violazione del termine di cui all'art. 344 del codice di procedura penale equivarrebbe ad un rifiuto di decisione non consentito da alcuna norma costituzionale o ordinaria e introdurrebbe una sorta di "sanzione" atipica nei confronti del comportamento dell'ufficio del pubblico ministero: e ciò in presenza di un termine sicuramente non previsto a pena di decadenza, per effetto del principio di tassatività dei termini di decadenza contemplato nell'art. 173 del codice di procedura penale.

 

9. - All'udienza pubblica del 5 ottobre 1993 sono comparsi, per l'ufficio ricorrente, il Procuratore della Repubblica Giovanni Tinebra ed il Procuratore aggiunto Francesco Paolo Giordano e, per la Camera dei deputati, gli avvocati Giovanni Maria Flick e Federico Sorrentino, che hanno sviluppato le proprie deduzioni e insistito nelle rispettive conclusioni.

 

10. - Nelle more del giudizio è entrata in vigore la legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, che, modificando l'art. 68, secondo comma, della Costituzione, ha eliminato l'autorizzazione della Camera di appartenenza come condizione per poter sottoporre un membro del Parlamento a procedimento penale.

 

In conseguenza di tale modifica questa Corte, con ordinanza n. 387 del 1993, disponeva il rinvio della causa a nuovo ruolo, al fine di poter sentire nuovamente le parti in ordine alla rilevanza nel giudizio della nuova disciplina.

 

Con successivo decreto presidenziale la nuova udienza di trattazione veniva fissata per il 14 dicembre 1993.

 

A tale udienza nessuno compariva per la Procura della Repubblica di Caltanissetta, mentre i difensori della Camera dei deputati concludevano chiedendo a questa Corte una pronuncia di inammissibilità o improcedibilità del giudizio per sopravvenuta carenza di interesse delle parti alla decisione di merito.

 

Considerato in diritto

 

1. - Forma oggetto del presente giudizio la richiesta avanzata a questa Corte dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta, in sede di conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato, al fine di sentir dichiarare che "non spetta alla Camera dei deputati restituire, per mancato rispetto del termine di cui all'art. 344, primo comma, del codice di procedura penale, gli atti relativi alla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del deputato Occhipinti Gianfranco", con il conseguente annullamento della deliberazione adottata dalla stessa Camera nella seduta del 1° aprile 1993 ed il riconoscimento della legittimazione del pubblico ministero ad ottenere una pronuncia di merito in ordine alla propria richiesta.

 

In subordine, la Procura ricorrente chiede a questa Corte di voler sollevare dinanzi a sè la questione di legittimità costituzionale dell'art. 344, primo comma, del codice di procedura penale in riferimento agli artt. 3, primo comma, 25, 68, secondo comma, 112 e 109 della Costituzione "nella parte in cui si prevede che il termine entro cui il pubblico ministero deve richiedere l'autorizzazione a procedere contro un parlamentare indagato sia stabilito a pena di decadenza dall'esercizio dell'azione penale".

 

Resiste a tali domande la Camera dei deputati, denunciando l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso nonchè la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità prospettata come ipotesi subordinata.

 

2. - Nonostante che nel corso del presente giudizio sia intervenuta la legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3 - che, modificando l'art. 68, secondo comma, della Costituzione, ha soppresso l'istituto della autorizzazione a procedere per i procedimenti penali nei confronti dei membri del Parlamento - occorre pur sempre, in linea preliminare, procedere all'accertamento dell'ammissibilità del conflitto ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ammissibilità che ha formato oggetto di una prima delibazione nell'ordinanza n. 263 del 1993.

 

Su questo piano - con richiamo anche alle motivazioni espresse nella sent. n. 462 del 1993 - va affermata, rispetto alla fattispecie in esame, la sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi suscettibili di legittimare la proposizione di un conflitto tra i poteri dello Stato.

 

3. - Per quanto concerne i presupposti soggettivi, la qualità di organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere di appartenenza, impegnando l'intero potere, va, infatti, riconosciuta, sia alla Camera dei deputati (con riferimento all'esercizio del potere di autorizzazione a procedere in precedenza previsto dall'art.68, secondo comma, Cost.), sia all'ufficio del pubblico ministero territorialmente competente ad agire in sede penale (con riferimento allo svolgimento delle attività di indagine finalizzate all'esercizio della competenza di cui all'art. 112 Cost.).

 

Rispetto al caso in esame, tale ufficio si identifica nella Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta, dal momento che questa, ai sensi della disciplina vigente in tema di ordinamento giudiziario (artt.69 ss. R.D. 30 gennaio 1941, n. 12) e di procedura penale (artt. 50 ss. cod. proc. pen.), è il solo organo che - nel quadro della "posizione di istituzionale indipendenza rispetto ad ogni altro potere" riconosciuta al pubblico ministero (v. sentt. nn. 190 del 1970, 96 del 1975 e 88 del 1991) - può ritenersi "abilitato a decidere con pienezza di poteri e senza interferenze di sorta da parte di altre istanze della pubblica accusa in ordine allo svolgimento delle indagini finalizzate all'esercizio dell'azione penale" per i fatti per i quali la Camera non ha ritenuto di dover concedere nei confronti dell'on. Occhipinti l'autorizzazione a procedere (v. sent. 462 del 1993).

 

Ai fini dell'ammissibilità del ricorso sotto il profilo soggettivo non può, quindi, valere l'eccezione espressa dalla difesa della Camera secondo cui, mancando negli uffici del pubblico ministero la connotazione di "potere diffuso" propria degli organi giurisdizionali, la legittimazione alla pro posizione del conflitto andrebbe riconosciuta, come per il Governo, soltanto all'"organo di vertice" del potere nel cui ambito gli uffici del pubblico ministero sono inquadrati: e questo in relazione al fatto che, quanto meno ai fini dell'esercizio dell'azione penale, un organo di questa natura non si rinviene nell'attuale ordinamento giudiziario, mentre, di contro, l'esercizio della stessa azione si trova affidato agli uffici del pubblico ministero territorialmente e funzionalmente competenti ai sensi dell'art.51, primo comma, del codice di procedura penale.

 

Nè può valere l'ulteriore eccezione di inammissibilità che è stata prospettata in relazione al fatto che il ricorso in esame non sarebbe riferibile alla Procura della Repubblica di Caltanissetta in quanto non sottoscritto dal titolare dell'ufficio. Se è vero, infatti, che il ricorso porta in calce la sottoscrizione del Procuratore della Re pubblica aggiunto e non quella del Procuratore titolare, è anche vero che lo stesso ricorso risulta intestato alla Procura della Repubblica come ufficio unitario del pubblico ministero legittimato al conflitto: il che induce a ritenere che il ricorso sia stato formulato dal Procuratore aggiunto nell'esercizio del potere di supplenza del titolare di cui all'art. 109 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 e d'intesa con lo stesso titolare. Dato questo che è stato confermato dalle stesse dichiarazioni rese in udienza dal Procuratore titolare, comparso insieme con il Procuratore aggiunto.

 

4. - Sussistono anche i requisiti oggettivi idonei a legittimare la proposizione del conflitto.

 

La competenza di cui si assume la lesione trova, infatti, la sua copertura costituzionale, da un lato, nell'art. 68, secondo comma, Cost., per quanto concerne i poteri della Camera, e, dall'altro, nell'art. 112 Cost., per quanto concerne i poteri della Procura ricorrente. La delibera di restituzione degli atti adottata dalla Camera nella seduta del 1° aprile 1993 si prospetta, pertanto, potenzialmente lesiva della sfera di attribuzioni della ricorrente con riferimento sia dell'una che dell'altra norma costituzionale, dal momento che l'eventuale accoglimento della domanda avanzata nel ricorso condurrebbe ad affermare che non spetta alla Camera adottare, in tema di autorizzazioni a procedere, pronunce diverse dall'accoglimento e dal rigetto e che il rinvio degli atti al pubblico ministero in concreto disposto ha comportato un ostacolo allo svolgimento delle indagini e, conseguentemente, un ritardo nell'esercizio dell'azione penale.

 

Ricorrono, di conseguenza, le condizioni di potenziale interferenza che sono suscettibili di dar luogo ad un conflitto in ordine alla "delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali" (art. 37 legge n. 87 del 1953).

 

5. - Il ricorso, ancorchè ammissibile, va, peraltro, dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

 

A seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale 25 ottobre 1993, n. 3 - che, nel modificare l'art. 68, secondo comma, Cost., ha soppresso l'autorizzazione della Camera di appartenenza nei confronti del parlamentare da sottoporre a procedimento penale, conservando l'istituto soltanto in relazione all'arresto, alla perquisizione personale o domiciliare ed a qualsiasi altra forma di privazione della libertà personale - è venuto a cadere ogni ostacolo all'attivazione da parte della Procura di Caltanissetta del procedimento penale conseguente ai fatti per i quali è stato indiziato l'on. Gianfranco Occhipinti e che hanno formato oggetto di esame da parte della Camera dei deputati nella seduta del 1° aprile 1993. Conseguentemente non è più invocabile, nella fattispecie, il termine sanzionato dall'art.344, primo comma, cod. proc. pen., sul cui mancato rispetto la Camera ha fondato la decisione di restituzione degli atti al pubblico ministero, impugnata con il ricorso in esame come lesiva delle attribuzioni costituzionali della Pro cura di Caltanissetta.

 

Sussistono, pertanto, le condizioni per dichiarare l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse delle parti ad ottenere una pronuncia di merito.

 

6. - Resta, di conseguenza, assorbita la questione di costituzionalità prospettata, in via subordinata, dalla Procura ricorrente nei confronti dell'art. 344, primo comma, cod. proc. penale per violazione degli artt. 3, 25, 68, secondo comma, 112 e 109 della Costituzione.

 

Nessuna pronuncia va, infine, adottata con riferimento alla richiesta di autorizzazione all'arresto avanzata, sempre da parte della Procura di Caltanissetta, nei confronti dell'on. Occhipinti per gli stessi fatti di cui è causa, dal momento che tale richiesta non ha formato oggetto di uno specifico motivo di impugnativa da parte della ricorrente.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara improcedibile il conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato sollevato, con il ricorso di cui in epigrafe, dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla delibera adottata dalla stessa Camera il 1° aprile 1993 e concernente la domanda di autorizzazione a procedere nei confronti dell'on. Gianfranco Occhipinti.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16/12/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Enzo CHELI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 24/12/93.