SENTENZA N. 451
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, lett.b), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale) e 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, promosso con ordinanza emessa il 24 febbraio 1993 dal Tribunale amministrativo per il Veneto sui ricorsi riuniti proposti da Turinese Andrea contro la U.L.S.S. n.20 di Camposampiero, iscritta al n. 226 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.21, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 17 novembre 1993 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.
Ritenuto in fatto
l. Nel corso di un giudizio cautelare su più ricorsi riuniti proposti da Turinese Andrea contro l'Unità locale socio sanitaria n. 20 di Camposampiero per la sospensione di provvedimenti con cui l'Amministrazione respingeva la domanda del ricorrente, tendente ad ottenere il riconoscimento della facoltà di permanere in servizio oltre il limite di età per un biennio ai sensi dell'art. 3, lett. b), della legge 23 ottobre 1992, n.421 e dell'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.503, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, prima sezione, con ordinanza emessa il 24 febbraio 1993 ha sollevato questione di legittimità costituzionale delle disposizioni sopra indicate, in relazione agli artt. 3, 76 e 97 della Costituzione.
In ordine alla rilevanza della questione, il Tribunale rimettente osserva come i provvedimenti contro cui il ricorrente ha presentato istanza di sospensione precludono all'interessato in modo definitivo di avvalersi del beneficio previsto dalle disposizioni oggetto del presente giudizio, mentre all'epoca di entrata in vigore della legge n. 421 del 1992 sussistevano in punto di fatto gli estremi perchè il Turinese potesse avvalersi della facoltà introdotta dalla normativa in questione, onde per cui le domande del ricorrente dovrebbero, allo stato, essere accolte.
Circa la non manifesta infondatezza, osserva il Tribunale come le disposizioni impugnate si rivelino, nella loro enunciazione testuale, schematiche ed ellittiche, in quanto rivolte a disciplinare unitariamente una complessa ed articolata materia, regolata dall'ordinamento con modalità in parte generali ed in parte speciali, in relazione alle diverse tipologie di rapporti di diritto pubblico; ambito all'interno del quale taluni settori hanno sempre avuto una separata e distinta disciplina relativamente alla data di collocamento a riposo (magistrati, docenti universitari). Di fronte a tale complessa realtà normativa, la dizione di "dipendenti civili dello Stato e di enti pubblici non economici", era stata impiegata dalla normativa pregressa per individuare i destinatari del diritto al trattamento di quiescenza, ma mai per disciplinare il limite massimo d'età per la cessazione del servizio. Relativamente a quest'ultimo aspetto, risulterebbe inoltre irragionevole privilegiare, sulle oggettive esigenze organizzative della pubblica amministrazione, le opzioni dei singoli dipendenti in funzione di propri ed esclusivi interessi personali.
Rileva inoltre il giudice a quo che la proposizione di cui all'art. 3, lett.b) della legge n. 421 del 1992 costituisce una disposizione puntuale e specifica, suscettibile quindi di immediata efficacia normativa, incompatibile con il carattere programmatorio dell'articolato nel quale è inserita.
Si osserva infine che la soluzione adottata dalla legge di delega di protrarre per un biennio il collocamento a riposo, mentre si rivela sostanzialmente ininfluente e poco incisiva ai fini del contenimento della spesa previdenziale, appare altresì discriminatoria nei confronti degli altri dipendenti pubblici e privati, ai quali non viene riconosciuta analoga facoltà, in contrasto con la conclamata volontà del legislatore, desumibile dagli artt. 2 e 3 della medesima legge di delega, di rendere omogenei sia i rapporti di lavoro pubblici e privati, sia i relativi trattamenti pensionistici. Osserva altresì che vi sarebbe contraddizione con le politiche occupazionali volte ad assicurare ai giovani l'accesso al mondo del lavoro (come di mostrerebbero i decreti legge 5 gennaio 1993, n.1; 1° febbraio 1993, n. 26; 12 febbraio 1993, n. 31), in quanto il congelamento per un biennio della provvista di nuovo personale precluderebbe ad un gran numero di giovani l'accesso ad una delle fonti più rilevanti, specie in alcune zone del Paese in una fase di acuta recessione economica, di occupazione e lavoro; mentre il prolungamento del limite massimo di età pensionabile impedirebbe il fisiologico ricambio nella pubblica amministrazione, in contrasto con i più elementari principi delle scienze dell'organizzazione aziendale ed amministrativa.
Sulla base di tali motivi, il Tribunale rimettente ritiene che le disposizioni oggetto del presente giudizio si pongano in contrasto con i principi di ragionevolezza, di eguaglianza e di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui agli artt.3 e 97 della Costituzione, nonchè con l'art. 76 per il profilo sopra indicato.
2. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l'inammissibilità o, in subordine, l'infondatezza della questione di costituzionalità.
L'inammissibilità è motivata sulla base dell'insufficiente motivazione dell'ordinanza di rimessione in punto di rilevanza, non precisando, il giudice rimettente, i motivi sulla cui base fu rigettata la domanda del Turinese a veder protratto il proprio servizio per altri due anni.
Qualora si ritenesse superato tale profilo, la questione di costituzionalità, a parere della difesa erariale, dovrebbe essere dichiarata infondata.
La presunta violazione dell'art. 76 della Costituzione non sussisterebbe, per il motivo che le deleghe c.d. vincolanti non potrebbero comunque dar luogo ad un problema di legittimità costituzionale, in quanto la disposizione costituzionale prevede i limiti minimi della delegazione legislativa ma non i limiti massimi. Si fa presente inoltre che la disposizione impugnata è inserita in una ampia delega: ciò che in ogni caso giustificherebbe anche l'esistenza, tra gli altri, di "principi e criteri" vincolanti per garantire l'obiettivo che il legislatore ha ritenuto di porsi.
Quanto al profilo di incostituzionalità sollevato nei confronti dell'art. 3 della Costituzione, esso va escluso, a giudizio della difesa erariale, in quanto vengono poste a raffronto situazioni non comparabili (dipendenti pubblici e privati), "non omologabili al fine di censurare scelte discrezionali del legislatore".
Quanto infine alla censura rivolta alle disposizioni impugnate in riferimento all'art. 97 della Costituzione, la lesione del principio del buon andamento non risulterebbe sorretta da argomenti che possano determinare una censura del potere discrezionale del legislatore, tenendo presenti le due essenziali finalità che la normativa impugnata tende a realizzare, e cioé il contenimento, per un dato periodo, della spesa previdenziale, e l'impedire di sguarnire i ruoli di una fascia di personale già esperto: finalità che sembrano omaggio, e non offesa, all'art. 97 della Costituzione.
Considerato in diritto
l. É stata sollevata questione di legittimità costituzionale -in riferimento agli artt. 3, 76 e 97 della Costituzione- dell'art. 3, lett. b), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), e dell'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n.421) nella parte in cui riconoscono ai dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici la facoltà di permanere in servizio per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti.
Si sospetta la violazione:
- dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della disparità di trattamento nei confronti degli altri dipendenti pubblici e privati e per irragionevolezza;
- dell'art. 97 della Costituzione, relativamente al principio di buon andamento della pubblica amministrazione;
- dell'art. 76 della Costituzione, per violazione del carattere necessariamente programmatorio che deve essere proprio della legge di delega.
2. La questione è inammissibile.
Ed invero, se il giudice amministrativo solleva la questione di legittimità costituzionale della norma relativa al merito del ricorso, contestualmente alla decisione, senza alcuna riserva, di accoglimento o di rigetto sulla domanda di sospensione del provvedimento impugnato, la questione risulta, per un verso, non rilevante nell'autonomo contenzioso sulla misura cautelare - esauritosi con la relativa pronuncia-, e per altro verso intempestiva in rapporto alla seconda ed eventuale sede contenziosa, posto che, prima del perfezionamento dei requisiti processuali prescritti (domanda di parte, assegnazione della causa per la sua trattazione), l'organo giurisdizionale è sprovvisto di potestà decisoria sul merito e sulle questioni di costituzionalità ad esso relative, ancorchè questa delibazione sia limitata alla non manifesta infondatezza delle eccezioni e solo strumentale alla predetta seconda fase del giudizio.
Questi principi sono conformi alla costante giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 367 del 1991; n. 444 e 498 del 1990; n.579 del 1989; n. 186 del 1976) e vanno applicati nella presente fattispecie, in cui il T.A.R. del Veneto, contestualmente alla concessione senza riserve della misura della sospensiva del provvedimento impugnato, ha sollevato la questione di costituzionalità dell'art. 3, lett. b), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 e dell'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.503, concernente la legittimità della proroga della durata del servizio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.3, lett. b), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), e dell'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n.421), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 76 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/12/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Depositata in cancelleria il 20/12/93.