Sentenza n. 421 del 1993

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SENTENZA N. 421

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810 (Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma, fra la Santa Sede e l'Italia, l'11 febbraio 1929), promosso con ordinanza emessa il 13 marzo 1992 dalla Corte d'appello di Torino nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Giuseppe Quercia ed Olimpia Barberio, iscritta al n. 700 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 2 novembre 1993 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

 

udito l'Avvocato dello Stato Plinio Sacchetto per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

l. - Nel corso di un giudizio avente ad oggetto l'impugnazione in sede civile del matrimonio contratto da Giuseppe Quercia ed Olimpia Barberio secondo le norme del diritto canonico e trascritto nei registri dello stato civile, la Corte d'appello di Torino, con ordinanza emessa il 13 marzo 1992, ha sollevato, in riferimento all'art. 7, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della riserva di giurisdizione a favore dei tribunali ecclesiastici in materia di nullità del matrimonio concordatario, stabilita dall'art. 1 della legge 27 maggio 1929, n.810, nella parte in cui dà esecuzione all'art. 34, quarto comma, del Concordato dell'11 febbraio 1929 fra la Santa Sede e lo Stato italiano.

 

La Corte di Torino premette che l'azione di nullità, in ordine alla quale il Tribunale con la sentenza appellata aveva affermato il proprio difetto di giurisdizione, era stata proposta dal marito ai sensi dell'art. 122, secondo comma, del codice civile, sull'assunto di avere contratto il matrimonio in stato di errore essenziale su qualità personali dell'altro coniuge;

 

precisa inoltre che il giudizio era stato riunito a quello di delibazione della sentenza, pronunciata tra le stesse parti dal Tribunale ecclesiastico regionale piemontese, di nullità del matrimonio per errore dell'uomo circa una qualità essenziale della donna.

 

Il giudice a quo, nel valutare se la riserva di giurisdizione a favore dei tribunali ecclesiastici per le cause concernenti la nullità del matrimonio concordatario trovi applicazione anche senza la esplicita previsione di tale principio nell'art. 8 dell'Accordo che apporta modificazioni al Concordato (firmato il 18 febbraio 1984 e ratificato in forza della legge 25 marzo 1985, n. 121), ritiene di non condividere le motivazioni con le quali il giudice di primo grado aveva affermato la conservazione della riserva, desumendola dai dati testuali offerti dall'art.8, nono stante l'abrogazione delle disposizioni del Concordato non riprodotte nell'Accordo (art. 13).

 

La Corte d'appello osserva tuttavia che la conservazione, ritenuta plausibile, della regola contenuta nel Concordato deriverebbe dall'essere il principio della riserva di giurisdizione effetto di una scelta dello Stato costituzionalmente garantita.

 

Il giudice rimettente prospetta il contrasto della norma denunciata con l'art. 7, primo comma, della Costituzione, in quanto consentire che il matrimonio concordatario sia dichiarato nullo soltanto dai tribunali ecclesiastici vulnerebbe la sovranità dello Stato. Motiva inoltre la rilevanza della questione affermando che il riconoscimento della legittimità costituzionale della riserva di giurisdizione matrimoniale a favore dei tribunali ecclesiastici, con esclusione di quella concorrente dei giudici della Repubblica, porterebbe a confermare la sentenza impugnata.

 

2. - É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o infondata.

 

L'Avvocatura rileva anzitutto che, come aveva ritenuto il giudice di primo grado, l'art. 8 del nuovo Accordo determina gli effetti nell'ordinamento italiano delle sentenze del tribunale ecclesiastico, considerato come "il giudice competente", ed i limiti in cui il giudice dello Stato è chiamato a verificare le condizioni, tassativa mente indicate, alle quali l'efficacia di quelle pronunce è subordinata; e ciò secondo una delimitazione delle rispettive sfere di giurisdizione nell'ambito di un sistema non di concorrenza, ma di alternatività e di complementarietà.

 

Per l'Avvocatura nessun argomento in senso contrario potrebbe trarsi dall'art. 13 dell'Accordo, per il quale "le disposizioni del Concordato non riprodotte nel presente testo sono abrogate", sia perchè per "disposizioni" non si possono intendere singole proposizioni letterali, ma i diversi istituti costituenti materie del Concordato, che in ipotesi siano stati esclusi dal nuovo Accordo, sia perchè nella sentenza di questa Corte n. 18 del 1982 la riserva di giurisdizione era stata fondata non su meri argomenti letterali, ma sul sistema dei rapporti tra i due ordinamenti, precisandosi che la riserva di giurisdizione ecclesiastica nelle cause di nullità dei matrimoni canonici trascritti agli effetti civili è funzionalmente connessa e logico corollario della disciplina del negozio matrimoniale canonico.

 

L'Avvocatura ritiene peraltro che la questione, sollevata nei confronti della legge n. 810 del 1929, sia irrilevante per aberratio, in quanto il riparto di giurisdizione in materia matrimoniale è in realtà regolato dalla legge n.121 del 1985. La questione sarebbe inoltre inammissibile sotto altro profilo, perchè formulata in modo perplesso. Nel merito la riserva di giurisdizione sarebbe, comunque, coerente con l'art. 7 della Costituzione, rappresentandone un'articolata e logica applicazione.

 

3. - Nell'imminenza dell'udienza del 2 novembre 1993 l'Avvocatura ha depositato una memoria, ribadendo che l'Accordo del 1984 ha disciplinato in modo organico il matrimonio concordatario ed ha stabilito gli effetti nell'ordinamento italiano delle sentenze di nullità matrimoniale emesse dal tribunale ecclesiastico, che viene considerato "il giudice competente", fissando i poteri del giudice italiano in sede di delibazione. É stata così operata una precisa delimitazione delle rispettive sfere di giurisdizione, ciascuna delle quali è individuata in modo rigoroso ed inequivocabile nell'ambito di un sistema non di concorrenza ma di complementarietà.

 

Nella memoria si ricorda una recente sentenza della Corte di cassazione (n.1824 del 1993) orientata in senso contrario al mantenimento della riserva di giurisdizione matrimoniale ecclesiastica, sul rilievo che nella nuova disciplina concordataria non si rinviene più una disposizione che ne sancisca espressamente il carattere esclusivo. Si tratta, ad avviso dell'Avvocatura, di una lettura riduttiva, frutto di una tecnica di esegesi del testo tutta giocata sulla extrapolazione più che di una coerente interpretazione logica e sistematica. Indicati gli argomenti testuali che orientano in senso contrario, l'Avvocatura ribadisce che nella sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 1982 è contenuta, in tema di riserva di giurisdizione, una affermazione generale legata al riconoscimento, da parte dello Stato, di effetti al matrimonio come disciplinato, anche nella sua sostanza, dal diritto canonico. Osserva inoltre che lasciare il giudizio sulla nullità dei matrimoni canonici trascritti nell'ambito della sola giurisdizione ecclesiastica appare conforme allo spirito del nuovo Accordo che, nel rendere effettiva la collaborazione tra Stato e Chiesa in relazione al matrimonio che gli sposi hanno inteso contrarre secondo le norme del diritto canonico con effetti civili, esige il rispetto della reciproca indipendenza dei due ordinamenti.

 

Dai lavori preparatori e dalle discussioni parlamentari l'Avvocatura trae ulteriore argomento interpretativo, per affermare che la concorrenza di giurisdizioni opera su un piano di integrazione a livelli diversi: da una parte la giurisdizione ecclesiastica, coerente alla disciplina del negozio;

 

dall'altra la delibazione statale, a garanzia dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale. Il testo del nuovo Accordo non suffraga, ad avviso dell'Avvocatura, l'ipotesi che sull'accertamento della nullità del matrimonio concordatario ci sia concorrenza alternativa della giurisdizione ecclesiastica e della giurisdizione dello Stato; ma riconosce la giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale, ispirata a principi già verificati dalla Corte costituzionale, ed attribuisce maggiori poteri al giudice civile nell'ambito del procedimento di delibazione della sentenza ecclesiastica.

 

L'Avvocatura rileva infine che la questione prospettata dal giudice a quo è stata già da tempo risolta negativamente dalla Corte costituzionale; nè vi sarebbe ragione di riproporla, perchè la premessa su cui si fonda è contraddetta dalla reale portata dell'Accordo del 1984, che conferma la giurisdizione ecclesiastica, nei limiti e con il più garantistico meccanismo di raccordo ivi previsto con l'ordinamento processuale italiano. Questo significato dell'Accordo, aggiunge conclusivamente l'Avvocatura, è coerente con i principi generali della Costituzione ed in particolare con l'art. 7.

 

Considerato in diritto

 

l. - La Corte d'appello di Torino, dubitando della legittimità costituzionale della riserva di giurisdizione ai tribunali ecclesiastici in ordine alla nullità del matrimonio concordatario, la cui fonte normativa il giudice rimettente individua nell'art. 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810, nella parte in cui dà esecuzione all'art. 34, quarto comma, del Concordato tra l'Italia e la Santa Sede dell'11 febbraio 1929, ha sollevato questione di legittimità costituzionale di questa disposizione in riferimento all'art. 7, primo comma, della Costituzione.

 

2. - L'Avvocatura generale dello Stato, per il Presidente del Consiglio dei ministri intervenuto nel giudizio dinanzi a questa Corte, dopo avere affermato che la riserva di giurisdizione ecclesiastica permane in base all'interpretazione sistematica dell'art. 8 dell'Accordo di revisione del Concordato e concluso nel merito per la infondatezza della questione, ha proposto due eccezioni di inammissibilità in quanto:

 

a) la questione di legittimità costituzionale sarebbe formulata in modo perplesso ed ondivago, sì da non consentirne la identificazione;

 

b) il giudice rimettente avrebbe denunciato la legge n. 810 del 1929 in relazione all'art. 34 del Concordato, anzichè la legge n.121 del 1985 in relazione all'art.8 dell'Accordo del 1984 che apporta modificazioni al Concordato, disposizioni queste ultime che disciplinano ora la materia ed in base alle quali la riserva, ad avviso dell'Avvocatura, permane.

 

3. - Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità, seguendo l'ordine logico loro proprio.

 

La prima eccezione, pregiudiziale rispetto ad ogni altra perchè attinente alla stessa individuabilità dell'oggetto del giudizio, non è fondata.

 

La Corte d'appello di Torino, esaminando la disciplina concordataria della giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale, espone l'interpretazione dell'art. 8 dell'Accordo in forza della quale il giudice di primo grado aveva escluso la propria giurisdizione e, mostrando di non condividerla, si fa carico di una diversa lettura ermeneutica che trae argomento da altri indirizzi giurisprudenziali e dottrinali, sulla cui base ritiene plausibile che la esclusività della giurisdizione ecclesiastica discenda ancora dall'art. 34, quarto comma, del Concordato lateranense, attesa la speciale garanzia costituzionale assicurata alle norme concordatarie.

 

In questa sede non sono censurabili l'itinerario logico seguito dal giudice rimettente, nè lo sviluppo argomentativo con il quale lo stesso è pervenuto a sollevare la questione di legittimità costituzionale, quando sia possibile individuare la questione stessa (sentenze n. 55 del 1993 e n.147 del 1985). Nella specie il tema di decisione che il giudice rimettente sottopone all'esame della Corte risulta nell'ordinanza di rinvio conclusivamente determinato con la richiesta che si verifichi se la riserva di giurisdizione in materia matrimoniale, espressa dall'art. 1 della legge n. 810 del 1929 in relazione all'art. 34 del Concordato, permanendo ad avviso del giudice rimettente quelle disposizioni, sia in contrasto con l'art. 7, primo comma, della Costituzione.

 

4. - L'altra eccezione di inammissibilità riguarda l'indicazione della norma sottoposta a scrutinio di legittimità costituzionale e prospetta l'irrilevanza della questione in quanto, ad avviso dell'Avvocatura, la Corte d'appello di Torino avrebbe dovuto fare applicazione, per escludere la propria giurisdizione, della legge n. 121 del 1985 che ora regola la materia, mentre la questione è stata sollevata nei confronti della legge n.810 del 1929.

 

La valutazione della eccezione proposta dall'Avvocatura implica e presuppone, perchè ne sia accertata la fondatezza, di esaminare a questo fine la disciplina dettata in materia dall'Accordo che apporta modificazioni al Concordato lateranense. Difatti l'art. 13, primo comma, dell'Accordo, secondo una lettura non frammentata di esso, nel collocare la nuova disciplina in raccordo alla precedente e nel contesto dei Patti richiamati dall'art. 7, secondo comma, della Costituzione, fa in primo luogo riferimento alle disposizioni di modificazione, che sono idonee a disciplinare ciascun istituto concordatario regolando interamente la relativa materia. Residualmente la seconda parte dello stesso art. 13, primo comma, abroga le altre disposizioni non riprodotte.

 

Occorre quindi anzitutto considerare l'art. 8 dell'Accordo ed il punto 4 del contestuale e complementare Protocollo addizionale, che regolano la materia matrimoniale nei connessi aspetti sostanziale e processuale.

 

Le nuove disposizioni rispecchiano il permanere di un sistema nel quale gli effetti civili sono riconosciuti, mediante la trascrizione, ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico e da quell'ordinamento disciplinati nel loro momento genetico. Si è dunque in presenza di un matrimonio religioso, cui i cittadini possono accedere con una piena libertà di scelta e con le conseguenze che ne derivano (sentenza n. 175 del 1973); rimane quindi ferma la base del sistema matrimoniale concordatario.

 

Questa Corte, sul fondamento di considerazioni di principio non ancorate a meri riferimenti testuali, ha individuato gli elementi essenziali del sistema concordatario basato sul riconoscimento del matrimonio canonico, ed ha fissato nella sua giurisprudenza principi ai quali si è conformata la disciplina dell'Accordo.

 

La Corte stessa ha, difatti, già ritenuto che il matrimonio religioso, validamente celebrato secondo la disciplina canonica, è assunto quale presupposto cui vengono collegati, con la trascrizione, gli effetti civili (sentenze n. 169 del 1971 e n. 176 del 1973). L'atto rimane regolato dal diritto canonico, senza che sia operata dall'ordinamento italiano una recezione di quella disciplina (sentenza n. 169 del 1971), con quanto ne segue in ordine alla giurisdizione. La Corte ha inoltre affermato che "se il negozio cui si attribuiscono effetti civili, nasce nell'ordinamento canonico e da questo è regolato nei suoi requisiti di validità, è logico corollario che le controversie sulla sua validità siano riservate alla cognizione degli organi giurisdizionali dello stesso ordinamento, conseguendo poi le relative pronunce dichiarative della nullità la efficacia civile attraverso lo speciale procedimento di delibazione" (sentenza n. 18 del 1982, nonchè n. 176 del 1973).

 

Nell'Accordo del 1984 permane il riconoscimento degli effetti civili, mediante la trascrizione, ai matrimoni che, per libera scelta delle parti, sono stati contratti secondo le norme del diritto canonico e che rimangono regolati, quanto al momento genetico, da tale diritto. Ne deriva che su quell'atto, posto in essere nell'ordinamento canonico e costituente presupposto degli effetti civili, è riconosciuta la competenza del giudice ecclesiastico.

 

Coerentemente con il principio di laicità dello Stato (sentenza n. 203 del 1989), in presenza di un matrimonio che ha avuto origine nell'ordinamento canonico e che resta disciplinato da quel diritto il giudice civile non esprime la propria giurisdizione sull'atto di matrimonio, caratterizzato da una disciplina conformata nella sua sostanza all'elemento religioso, in ordine al quale opera la competenza del giudice ecclesiastico. Il giudice dello Stato esprime la propria giurisdizione sull'efficacia civile delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio, attraverso lo speciale procedimento di delibazione regolato dalle stesse norme dell'Accordo in modo ben più penetrante che nella disciplina originaria del Concordato. Permane inoltre pienamente, secondo i principi già fissati dalla Corte, la giurisdizione dello Stato sugli effetti civili.

 

La ricognizione della nuova fonte consente di affermare che le modificazioni del Concordato espresse dall'Accordo del 1984 disciplinano l'intera materia e impediscono, quindi, di fare ricorso a testi normativi precedenti.

 

L'eccezione di inammissibilità proposta dall'Avvocatura dello Stato è pertanto fondata e la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d'appello di Torino deve essere dichiarata, come si è precisato, inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810, nella parte in cui dà esecuzione all'art. 34, quarto comma, del Concordato fra la Santa Sede e lo Stato italiano dell'11 febbraio 1929, sollevata, in riferimento all'art. 7, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di Torino con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 novembre 1993

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Cesare MIRABELLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 01/12/1993