Sentenza n. 169 del 1971
 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 169

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, recante "Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio", promosso con ordinanza emessa il 20 aprile 1971 dal tribunale di Siena nel procedimento per scioglimento di matrimonio vertente tra Pagliantini Oville e Inglesi Gino, iscritta al n. 173 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 112 del 5 maggio 1971.

Visti gli atti di costituzione di Pagliantini Oville e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 giugno 1971 il Giudice relatore Giuseppe Verzì;

uditi gli avvocati Rosario Nicolò, Paolo Barile ed Enzo Cheli, per la Pagliantini, e il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

Nel corso del procedimento per scioglimento di matrimonio vertente tra Pagliantini Oville e Inglesi Gino, il tribunale di Siena, con ordinanza 20 aprile 1971, ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, in relazione all'art. 34, primo e quarto comma, del Concordato 11 febbraio 1929 tra lo Stato italiano e la Santa Sede ed in riferimento agli artt. 7, primo e secondo comma, 10 e 138 della Costituzione.

Secondo l'ordinanza di rimessione, giusta l'opinione della Corte di cassazione a sezioni unite (sent. 12 marzo 1970, n. 635), l'art. 34 del Concordato tra l'Italia e la Santa Sede ha inteso riconoscere all'interno dello Stato il matrimonio celebrato con il rito religioso, quale istituto disciplinato dal diritto canonico, cioè con il suo carattere sacramentale indissolubile. Il che si evince dalla diversa formulazione e previsione dell'art. 2 della legge n. 898 del 1970, rispetto a quella del precedente articolo concernente il matrimonio civile. Onde il contrasto del ripetuto art. 2 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, con l'art. 7 della Carta, atteso che, secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 30 del 1971, detto art. 7 "non sancisce solo un generico principio pattizio da valere nella disciplina dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, ma contiene altresì un preciso riferimento al Concordato in vigore e, in relazione al contenuto di questo, ha prodotto diritto".

L'ordinanza di rimessione osserva, inoltre, quanto segue.

a) L'art. 2 della legge n. 898 del 1970 é in contrasto con l'art. 7 della Costituzione, in relazione ai commi primo e quarto dell'art. 34 del Concordato anche sotto il profilo della violazione dell'obbligo, da parte dello Stato italiano, di garantire irrevocabilmente la permanenza degli effetti civili del matrimonio celebrato con il rito religioso e regolarmente trascritto. Al riguardo a nulla rileva la differenza di dizione usata negli artt. 1 e 2 della legge (scioglimento, per i matrimoni civili; cessazione degli effetti civili, per i matrimoni concordatari), in quanto si tratta di formule che producono identici effetti per i coniugi, per la prole e per i relativi rapporti patrimoniali.

b) I sopra enunciati motivi di sospetta incostituzionalità, convergono nel corollario della violazione dell'art. 7, comma secondo, e altresì dell'art. 138 della Costituzione da parte della norma impugnata, in quanto essa, implicando una modificazione dell'art. 34 del Concordato, non accettata dalle due parti contraenti, avrebbe richiesto l'adozione del procedimento di revisione costituzionale, previsto, in linea generale, dall'art. 138 per ogni norma della Carta e, in linea particolare, dall'art. 7, secondo comma, per qualsiasi modificazione dei Patti Lateranensi.

c) Se anche non si volesse considerare l'art. 34 del Concordato, assieme alle altre clausole di questo, come formante il contenuto dell'art. 7 della Costituzione - opinione, però, che contrasterebbe con la sentenza n. 30 del 1971 della Corte costituzionale - esso resterebbe pur sempre norma internazionale, non derogabile con legge ordinaria, senza che intervenisse anteriormente la denuncia del Concordato medesimo.

d) Con la sentenza n. 30 del 1971 la Corte costituzionale ha equiparato la giurisdizione dei tribunali ecclesiastici a quella della Corte di giustizia della Comunità economica europea, definendola, come aveva fatto per questa nella sentenza n. 98 del 1965, del tutto estranea all'ordinamento giuridico interno. Ora, se é vero che il cittadino italiano, quale soggetto di diritto internazionale, ha diritto di adire la Corte di giustizia della Comunità europea e, quindi, sarebbe costituzionalmente illegittima una legge ordinaria che lo privasse di tale diritto, sembra fondato il dubbio di violazione, da parte della norma impugnata (art. 2 della legge n. 898 del 1970), di un diritto personale del cittadino alla giurisdizione ecclesiastica, costituzionalmente garantito (art. 34 del Concordato).

Nel giudizio avanti questa Corte si é costituita la Pagliantini ed é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato.

Per l'Avvocatura dello Stato é da escludere che con l'articolo 34 del Concordato, lo Stato italiano abbia inteso recepire nel proprio ordinamento il matrimonio canonico, comprensivo di tutte le sue componenti essenziali, fra cui l'indissolubilità. Vero é, invece, che lo Stato italiano ha inteso attribuire al matrimonio canonico, una volta che questo sia stato effettuato con il rito concordatario e regolarmente trascritto, i medesimi effetti civili attribuiti dalla legge ai matrimoni civili.

L'unificazione del rito celebrativo non impedisce che nell'unica celebrazione si possano distinguere due atti, ognuno dei quali assume rilevanza nel rispettivo ordine giuridico ed esclusivamente in esso. Il matrimonio che così si istituisce nei due ordinamenti, quello canonico e quello dello Stato, sussiste e vive in ciascuno di essi una propria vita autonoma ed indipendente di rapporto giuridico. E poiché lo Stato, nella sua sovranità ed autonomia - ribadita proprio nel primo comma dell'art. 7 della Costituzione - ben può variare, con legge ordinaria, gli effetti del matrimonio civile, fissandone i casi di scioglimento anche oltre quello previsto dall'art. 149 del codice civile, gli stessi effetti saranno applicabili anche al matrimonio concordatario, senza che l'art. 34 del Concordato ne risulti violato.

Ciò posto, é estraneo ogni ulteriore riferimento all'art. 7 della Costituzione, dato che questo, risolvendosi in una norma di riproduzione, non avrebbe potuto rendere più onerosi gli obblighi pattizi dello Stato verso la Santa Sede rispetto alla loro formulazione testuale bilaterale.

Le suesposte argomentazioni valgono anche per l'altro profilo di illegittimità costituzionale prospettato dall'ordinanza di rimessione: l'aver negato ai coniugi la garanzia della permanenza degli effetti civili del matrimonio. Le cause di scioglimento del matrimonio civile - e di quello concordatario a questo equiparato quoad effectum - operano all'interno dell'ordinamento statuale e non all'interno di quello canonico. Fa eccezione a questa separazione - in quanto previsto dai Patti - lo scioglimento del matrimonio per la dispensa pro rato, la cui pronuncia viene recepita anche dall'ordinamento interno.

La Pagliantini, sostanzialmente, confuta l'ordinanza di rimessione con le stesse argomentazioni addotte dall'Avvocatura dello Stato. Precisa ulteriormente soltanto che il fatto che l'art. 34 prevede un caso di scioglimento del matrimonio e, cioè, la dispensa dal matrimonio rato e non consumato, sta, semmai, a confermare l'ipotesi opposta a quella accolta dal tribunale di Siena: ubi lex voluit dixit; e qui la legge ha voluto prevedere un solo caso di scioglimento di matrimonio, affidandolo ai dicasteri ecclesiastici. Il che vuol dire che per tutti i casi futuri di scioglimento, non era affatto limitata la sovranità italiana, né sotto il profilo della sostanza, né sotto quello giurisdizionale.

Sia l'Avvocatura dello Stato, sia la Pagliantini hanno presentato memorie. In queste, specie la Pagliantini, con dovizia di citazioni dottrinali, si diffonde ad illustrare la infondatezza di ogni profilo di illegittimità costituzionale prospettato dall'ordinanza di rimessione. In particolare, contesta l'interpretazione data all'art. 34 del Concordato da detta ordinanza; si sofferma sulla differenza di dizione tra tale articolo e l'articolo 5 della legge 27 maggio 1929, n. 847; accoglie la distinzione tra matrimonio come atto e matrimonio come vincolo, distinzione riconfermata dall'istituto della trascrizione e nella quale trova giustificazione la discriminazione di giurisdizione; ribadisce il criterio interpretativo restrittivo degli impegni che comportino l'accettazione di limiti alla sovranità di una delle parti contraenti e accenna al rifiuto dell'Assemblea costituente di inserire il principio della indissolubilità del matrimonio nell'art. 29 della Costituzione.

Considerato in diritto 

1. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, viene proposta dalla ordinanza del tribunale di Siena sotto il profilo della violazione dell'art. 7 della Costituzione in relazione all'art. 34 del Concordato: la norma denunciata, ammettendo la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, avrebbe spezzato il nesso inscindibile tra tali effetti e la natura indissolubile del matrimonio canonico, violando così l'obbligo assunto dallo Stato di mantenere permanenti gli effetti medesimi. Tale innovazione, essendo contenuta in una legge ordinaria, non preceduta da accordi con la Santa Sede, avrebbe prodotto una modificazione dei Patti Lateranensi senza il procedimento di revisione costituzionale richiesto dal ripetuto art. 7 e dall'art. 138 della Costituzione.

La questione é infondata.

La Corte osserva preliminarmente che sulla decisione dell'attuale questione non incide alcun problema inerente alla sovranità dello Stato, ma che si tratta solo di accertare attraverso quali forme (legge ordinaria o legge di revisione costituzionale) tale sovranità si poteva esercitare nella specie.

2. - L'infondatezza della questione deriva dal rilievo che con i Patti Lateranensi lo Stato non ha assunto l'obbligo di non introdurre nel suo ordinamento l'istituto del divorzio. All'inizio delle trattative tra la Santa Sede e l'Italia fu proposto di impegnare lo Stato "a mantenere illeso in qualsiasi disposizione concernente il matrimonio il principio della indissolubilità e dell'impedimento dell'ordine sacro", ma nel corso delle ulteriori discussioni non si fece più alcun cenno di tale principio e si addivenne all'accordo, consacrato nel testo dell'art. 34 del Concordato, per cui lo Stato ha riconosciuto al matrimonio concordatario "gli effetti civili". Con ciò l'ordinamento italiano non ha operato una recezione della disciplina canonistica del matrimonio, limitandosi ad assumere il matrimonio, validamente celebrato secondo il rito cattolico e regolarmente trascritto nei registri dello stato civile, quale presupposto cui vengono ricollegati gli identici effetti del matrimonio celebrato davanti agli ufficiali di stato civile.

Non può argomentarsi in contrario dal riferimento dell'art. 34 al "sacramento del matrimonio", giacché l'espressione usata ben si spiega in un atto bilaterale, alla formazione del quale concorreva la Santa Sede, dal momento che, per la Chiesa, il matrimonio costituisce anzitutto ed essenzialmente un sacramento; ma non implica affatto che, in questa sua figura e con le connesse caratteristiche di indissolubilità, esso sia stato altresì riconosciuto come produttivo di effetti civili dallo Stato. Ed infatti l'espressione più non ricorre nell'art. 5 della legge 27 maggio 1929, n. 847, contenente disposizioni per l'attuazione del Concordato nella parte relativa al matrimonio, la quale più semplicemente stabilisce che "il matrimonio celebrato davanti un ministro del culto cattolico, secondo le norme del diritto canonico, produce, dal giorno della celebrazione, gli stessi effetti del matrimonio civile, quando sia trascritto nei registri dello stato civile secondo le disposizioni degli articoli 9 e seguenti". É da tener presente al riguardo che della conformità dell'art. 5 (come del resto anche degli artt. 12 e 16 della citata legge n. 847 del 1929) con l'art. 34 del Concordato non si può dubitare, perché, com'é noto, il testo della legge fu compilato in base ad intese fra la Santa Sede e lo Stato. E la relazione alla detta legge spiega l'abbandono della formula concordataria con la considerazione che l'accenno al carattere sacramentale del matrimonio canonico non era conveniente in una norma dell'ordinamento statale e che era necessario evitare l'introduzione in esso di concetti teologici. Dal che si deduce ancor più chiaramente l'intendimento dello Stato di non tener conto nella disciplina degli effetti civili del matrimonio concordatario di principi propri del matrimonio canonico.

3. - Accertato che gli effetti del matrimonio concordatario sono, e devono essere, gli stessi effetti che la legge attribuisce al matrimonio civile, dalla separazione dei due ordinamenti deriva che nell'ordinamento statale il vincolo matrimoniale, con le sue caratteristiche di dissolubilità od indissolubilità, nasce dalla legge civile ed é da questa regolato. Del resto, poiché l'art. 7 della Costituzione afferma tanto per lo Stato quanto per la Chiesa i principi di indipendenza e di sovranità di ciascuno nel proprio ordine, una limitazione della competenza statale su questo punto doveva risultare da norma espressa, e, in mancanza di questa, non é desumibile da incerti argomenti interpretativi: tanto più che, in materia di accordi internazionali, vale il criterio della interpretazione restrittiva degli impegni che comportino per uno dei contraenti l'accettazione di limiti alla propria sovranità.

4. - Il matrimonio concordatario trova una garanzia costituzionale nell'art. 7 della Costituzione, ma la trova nei limiti in cui il regime statuito nel Concordato corrisponda alla volontà delle parti, quale si é oggettivata nei testi normativi. Pertanto - non essendosi apportata alcuna modificazione ai Patti Lateranensi neppure nella parte relativa all'art. 34, quarto comma, giacché la legge impugnata non sottrae ai tribunali ecclesiastici la giurisdizione sulla nullità dell'atto matrimoniale - l'estensione al matrimonio concordatario del nuovo regime di dissolubilità adottato per quello civile, non richiedeva l'apposita procedura della revisione costituzionale.

5. - Dimostrato che la legge impugnata non contraddice all'art. 34 del Concordato, nemmeno l'art. 10 della Costituzione risulta violato; e ciò a prescindere dal fatto che i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono specificamente regolati dall'art. 7 della Costituzione.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), sollevata, dall'ordinanza del tribunale di Siena del 20 aprile 1971, in relazione all'art. 34, commi primo e quarto, del Concordato 11 febbraio 1929 fra lo Stato Italiano e la Santa Sede ed in riferimento agli artt. 7, primo e secondo comma, 10 e 138 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria l'8 luglio 1971.