ORDINANZA N. 207
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 507, 140, primo comma, 567, terzo comma, del codice di procedura penale, e 2, primo comma, numero 8, della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), pro mosso con ordinanza emessa il 26 febbraio 1992 dal Pretore di Bergamo nel procedimento penale a carico di Magnaghi Bruno, iscritta al n. 538 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 marzo 1993 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.
Ritenuto che nel corso di un procedimento penale, in cui il difensore dell'imputato, all'esito del dibattimento, si era opposto (in modo ritenuto irrituale dall'organo giudicante) alla decisione del giudice del dibattimento sia di integrare la verbalizzazione di un teste della difesa su di una circostanza rilevante ai fini del decidere sia di rinnovare parzialmente l'audizione del teste medesimo sulla stessa circostanza in quanto emersa solo in seguito all'arringa difensiva, il Pretore di Bergamo, con ordinanza del 26 febbraio 1992, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 (relativamente alle direttive 1, 2, 8, 66, 73 e 103 della legge 16 febbraio 1987 n. 81) e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 507, 140, primo comma, e 567, terzo comma, del codice di procedura penale e 2, primo comma, punto 8, della legge delega n. 81 del 1987 cit., "nella parte in cui tali norme consentono che la verbalizzazione delle attività dibattimentali avvenga in forma solo riassuntiva, in generale, quando si tratti di atti semplici o di limitata rilevanza; in particolare, nel processo pretorile, in ogni caso in cui vi sia l'accordo delle parti alla verbalizzazione solo riassuntiva; e comunque con sentono che la verbalizzazione integrale possa avvenire in forma manuale anzichè fonografica o analoga; e comunque non impongono che la verbalizzazione sia integrale per tutti i dibattimenti, avanti qualunque giudice o corte, per qualunque imputazione ed imputato; e precludono al giudicante di integrare le deposizioni già assunte e delle quali si rilevi, in esito al dibattimento e alla discussione finale l'imperfetta documentazione manuale";
che ad avviso del giudice a quo, poichè gli artt. 140, primo comma, e 567, terzo comma, del codice di procedura penale consentono ed anzi, sull'accordo delle parti, impongono al pretore (e solo a tale giudice) di procedere a verbalizzazione in forma soltanto riassuntiva del dibattimento, potrebbe verificarsi il caso che il teste chiarisca una circostanza che al momento non appare rilevante per il processo e di cui non si ritiene quindi necessaria la verbalizzazione, ma che in seguito diviene rilevante dopo che, per la prima volta durante l'arringa, il difensore prospetti la medesima circostanza "pretermettendo le considerazioni... svolte oralmente dal teste";
che lo stesso organo giudicante considera che le norme impugnate gli impediscono, in caso di verbalizzazione riassuntiva concordata, "di integrare ex post il contenuto del riassunto" ovvero la deposizione del teste, laddove la necessità di integrazione deriverebbe proprio dalla mancata verbalizzazione integrale; e ciò porrebbe "alternativamente dubbi di legittimità costituzionale";
che difatti, da un canto, l'art. 507 del codice di procedura penale, limitando i poteri istruttori del giudice e non consentendogli di disporre l'assunzione di mezzi di prova "anche prima che sia terminata l'acquisizione delle prove e comunque indipendentemente dai casi di assoluta necessità", si porrebbe in contrasto con l'art. 76 della Costituzione, perchè non rispetterebbe la direttiva 73 della legge di delega (legge n. 81 del 1987, art. 2) che prevede "semplicemente e senza restrizioni che il giudice possa disporre (evidentemente d'ufficio) l'assunzione di mezzi di prova", e la direttiva 1 che impone la semplificazione nello svolgimento del processo e che sarebbe contraddetta se la verbalizzazione riassuntiva "deve riprodurre integralmente tutto il contenuto delle deposizioni";
che qualora invece "si ritenesse che il limite all'integrazione...discenda non dall'art. 507 del codice di procedura penale, bensì dalla mancata verbalizzazione integrale (che avrebbe... prevenuto l'insorgere della questione processuale)", il giudice a quo denuncia che gli artt.140, primo comma - consentendo la verbalizzazione riassuntiva in taluni casi - e 567, terzo comma - imponendola nel processo pretorile col solo presupposto dell'accordo delle parti - violerebbero:
a) l'art. 3 della Costituzione: per ingiustificata disparità tra imputati di reati di competenza pretorile e imputati di reati di competenza del tribunale, essendo solo per i primi e non anche per i secondi prevista la verbalizzazione sintetica in base al mero accordo delle parti; (il solo art. 567, terzo comma) essendo solo gli imputati con difese più agguerrite in grado di esigere la verbalizzazione integrale manuale, mentre altri imputati, non muniti delle stesse difese, sarebbero "giudicati con materiale probatorio dibattimentale solo sommariamente descritto nei verbali"; (il solo art. 140, primo comma) sembrando irragionevole l'attribuzione al giudice di decidere "insindacabilmente" se gli atti da verbalizzare abbiano o meno contenuto semplice o limitata rilevanza e di dichiarare la contingente indisponibilità degli strumenti di riproduzione e di personale specializzato per il loro uso, così determinando disparità di trattamento per imputati degli stessi reati, "a seconda che il loro processo si svolga in sedi ove tali strumenti e personale specializzato esistano, ovvero in altre sedi giudiziarie";
b) l'art. 24 della Costituzione: per l'inidoneità della verbalizzazione sommaria a garantire il diritto di difesa in giudizio di imputati giudicati sulla scorta di "particolari di dichiarazioni (solo sinteticamente verbalizzate) che, prima facie marginali, ... potrebbero assumere rilevanza e significatività, ma solo dopo l'esame di altri testi, e dei quali non rimarrebbe traccia nel verbale"; perchè inoltre, le norme denunciate permetterebbero che il giudice, dovendo badare alla genuinità delle verbalizzazioni, possa senza colpa "perdersi qualche battuta del teste e che il teste, nelle pause tra la verbalizzazione manuale di una domanda e della successiva risposta, prenda tempo e mediti sulla versione da fornire";
c) l'art. 76 della Costituzione: (in relazione alla direttiva 1 della legge di delega) non corrispondendo al principio di massima semplificazione degli atti processuali l'obbligatorio ricorso, nel processo pretorile, alla forma manuale di verbalizzazione "integrale" in caso di indisponibilità contingente di mezzi meccanici, potendo così il dibattimento avere una durata anormale; (in relazione alle direttive 73 e 66), non essendo assicurate nè la lealtà e la genuità dell'esame, ove si consenta al teste di "prendere tempo" durante l'integrale verbalizzazione manuale, nè l'immediatezza e la concentrazione del dibattimento in cui operi tale forma di varbalizzazione; (il solo art.567, terzo comma, in relazione alle direttive 8 e 103) prevedendosi la possibilità che alla verbalizzazione riassuntiva si pervenga con il solo accordo delle parti;
d) l'art. 97 della Costituzione, perchè "l'obbligatorio ricorso alla manualità della verbalizzazione integrale" imporrebbe di "impiegare per molto più tempo del necessario le (già esigue) risorse umane disponibili nelle cancellerie", distogliendole da altre rilevanti incombenze.
che nell'ordinanza di rimessione si sostiene, altresì, che "preliminare alla prospettata illegittimità dell'art. 140/1 c.p.p. risulta l'illegittimità dell'art.2, punto 8, della legge delega per gli stessi argomenti sopra enucleati" ed infine che "ove si optasse per la verbalizzazione integrale manuale, oltre a presentarsi i pericoli di progressiva perdita di genuinità delle deposizioni ..., ci si scontrerebbe con una durata del dibattimento difficilmente compatibile con la prescrizione dell'art. 6, comma 1, parte prima, della convenzione ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848";
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o l'infondatezza delle questioni, richiamando i precedenti giurisprudenziali della Corte ( tra i quali da ultimo, l'ordinanza n. 23 del 1993).
Considerato che le questioni, rispettivamente, dell'art.507 e, congiuntamente, degli artt. 140, primo comma, 567, terzo comma, del codice di procedura penale e 2, primo comma, n. 8 della legge 16 febbraio 1987 n. 81, sono sollevate in via alternativa e con motivazione equivoca, non avendo il giudice rimettente individuato la norma (o il complesso delle norme) dalla quale deriverebbe l'inconveniente lamentato, indicativo del denunciato contrasto con i parametri costituzionali invocati e, cioè, il limite per il giudice del dibattimento (nella specie, il Pretore) circa la possibilità di integrare la prova pur ritenuta necessaria;
che in tal modo la questione si risolve in realtà in un quesito interpretativo rivolto alla Corte circa la norma (o le norme) applicabile alla fattispecie, mentre, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, è compito del giudice rimettente di individuare con esattezza l'oggetto della questione, effettuare la scelta interpretativa e quindi proporre il quesito di costituzionalità in modo non alternativo (v.sentt. nn.187 del 1992
, 473 e 472 del 1989, 1146, 1091 e 638 del 1988);
che, invece, nella specie il giudice a quo dapprima ha sollevato dubbio di costituzionalità dell'art. 507 c.p.p., sostenendo che da esso deriverebbero le lamentate limitazioni al potere d'ufficio d'integrazione della prova, e, in via alternativa, qualora, nell'ipotesi di una diversa interpretazione, si dovesse escludere che la limitazione derivi da tale norma, ha denunciato gli artt. 140, primo comma, e 567, terzo comma, del codice di procedura penale e 2, primo comma, numero 8, della legge 16 febbraio 1987, n. 81, che considerano soddisfacente la verbalizzazione riassuntiva, mentre quella integrale eviterebbe le lacune probatorie riscontrate;
che, di fronte a tale alternativa, rimane affidato a questa Corte di individuare fra due questioni proposte contemporaneamente quale sia la norma applicabile nel giudizio a quo, senza che risulti preventivamente risolto il problema della rilevanza dell'una o dell'altra questione, di cui l'ordinanza di rimessione non si fa carico;
che, pertanto, le questioni così proposte sono manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 507, 140, primo comma, 567, terzo comma, del codice di procedura penale, e 2, primo comma, numero 8, della legge 16 febbraio 1987 n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 97 della Costituzione, ed in relazione alle direttive nn. 1,2,8,66,73 e 103 della predetta legge di delega, dal Pretore di Bergamo con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/04/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Vincenzo CAIANIELLO, Redattore
Depositata in cancelleria il 29/04/93.