SENTENZA N. 205
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 426, lett. c), del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 13 giugno 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia nel procedimento penale a carico di Colli Antonio, iscritta al n. 536 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1991.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 marzo 1993 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto in fatto
l. - Con ordinanza del 13 giugno 1991, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia, all'esito della udienza preliminare celebrata a carico di persona imputata di parricidio, riconosciuta totalmente incapace di in tendere e di volere e giudicata socialmente pericolosa, ha sollevato questione di legittimità, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 426, lett.c) del codice di procedura penale, nella parte in cui tale norma - in caso di sentenza di non luogo a procedere per infermità psichica - preclude al giudice per le indagini preliminari di tener conto delle circostanze attenuanti e di effettuare il giudizio di comparazione di cui all'art.69 del codice penale tra queste e le circostanze aggravanti, ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o della determinazione della sua durata minima ai sensi dell'art.222 del codice penale.
L'ordinanza di rimessione si fonda sulla sentenza di questa Corte n. 233 del 1984, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art.384, n. 2, del codice abrogato - che si assume essere corrispondente alla norma del nuovo codice impugnata dal rimettente - negli stessi termini che costituiscono oggetto della questione ora sottoposta all'esame della Corte. Rileva in proposito il rimettente che il giudice della udienza preliminare non ha il potere di interloquire sulle circostanze, come è dimostrato da quelle disposizioni che eccezionalmente conferiscono un simile potere a fini particolari (cfr. art. 4 d.P.R. 12 aprile 1990 n. 75 in tema di amnistia). Da qui l'integrale rinvio alle considerazioni svolte dalla Corte nella richiamata sentenza n. 233 del 1984, del cui dispositivo, dunque, si domanda la estensione alla pertinente norma del nuovo codice di rito.
2. - Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Ha osservato in proposito l'Avvocatura che la sentenza di questa Corte n. 233 del 1984 fu determinata dalla giurisprudenza dell'epoca, secondo la quale era inibita la valutazione delle circostanze attenuanti e il relativo giudizio di bilanciamento con le circostanze aggravanti. Tuttavia, afferma la difesa dello Stato, anche se il nuovo codice non ha risolto espressamente tale aspetto, è da ritenere che la norma impugnata non precluda al Giudice per le indagini preliminari di tener conto delle circostanze attenuanti ai fini dell'applicazione della misura di sicurezza, tanto più che la norma non potrebbe essere diversamente interpretata alla luce della citata sentenza della Corte.
3. - Con ordinanza n. 378 emessa il 9 luglio 1992 e depositata il 27 luglio 1992, la Corte, nel disporre la sospensione del giudizio introdotto con l'ordinanza pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Reggio Emilia, ha sollevato davanti a sè, in riferimento agli artt.3, 24 e 76 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 425, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere quando risulta evidente che l'imputato è persona non imputabile.
Definendo il giudizio sulla questione pregiudiziale, questa Corte, con sentenza n. 41 del 1993, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.425, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui stabilisce che il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere quando risulta evidente che l'imputato è persona non imputabile.
Considerato in diritto
l. Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia impugna, per "contrasto con i principii costituzionali del diritto di difesa e dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge", la disposizione dettata dall'art. 426, lett. c), del codice di procedura penale, nella parte in cui preclude al giudice, nell'ipotesi di sentenza di non luogo a procedere "per infermità psichica", di valutare le circostanze attenuanti e di effettuare il giudizio di comparazione con le eventuali circostanze aggravanti, ai fini della applicazione o della determinazione della durata minima della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario a norma dell'art. 222 del codice penale. L'assunto del rimettente si ispira ai principii ed alle considerazioni, cui integralmente rinvia, posti a fondamento della sentenza n. 233 del 1984, con la quale questa Corte ebbe a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 384, n. 2, del codice abrogato, proprio nella parte in cui tale norma, secondo l'orientamento giurisprudenziale dell'epoca, precludeva al giudice istruttore di tener conto, in caso di sentenza di proscioglimento per infermità psichica, delle circostanze attenuanti e di effettuare il giudizio di "bilanciamento" ai fini di quanto previsto dall'art. 222 del codice penale.
Postulando, dunque, l'equivalenza tra la norma del codice abrogato già dichiarata costituzionalmente illegittima e quella del nuovo codice di rito oggetto di impugnativa, e sul rilievo che identica preclusione sussisterebbe per il giudice chiamato a pronunciare sentenza di non luogo a procedere per evidente difetto di imputabilità, il rimettente non vede quindi altra via che quella di sollecitare una pronuncia additiva che nella sostanza riproduca il dispositivo della declaratoria di illegittimità adottato, con riferimento al previgente codice, nella richiamata sentenza n. 233 del 1984.
2. La questione non è fondata. Come innanzi ricordato, infatti, nel delibare l'oggetto del presente giudizio, questa Corte ha ritenuto di dover pregiudizialmente sottoporre a verifica di costituzionalità l'art. 425 del codice di procedura penale, in quanto, essendo ivi stabilito il potere del giudice di definire l'udienza preliminare con sentenza di non luogo a procedere nell'ipotesi in cui l'imputato fosse risultato in modo evidente persona non imputabile, rappresentava la previsione che fungeva da necessario presupposto della norma impugnata dal giudice a quo, avuto riguardo al petitum che questi mostrava di perseguire. La questione sollevata da questa Corte ha così condotto alla pronuncia della sentenza n.41 del 1993, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 425, primo comma, del codice di procedura penale, proprio nella parte in cui tale norma consentiva la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere per evidente difetto di imputabilità, essendosi ritenuto che la relativa disciplina fosse in contrasto con gli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, quest'ultimo in riferimento all'art.2, numero 52), sesto periodo, della legge-delega 16 febbraio 1987, n.8l.
Caducata, dunque, la possibilità per il giudice a quo di adottare la sentenza di non luogo a procedere "per infermità psichica", e venuto quindi meno il corrispondente potere di applicare in via definitiva la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, i dedotti profili di violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa si rivelano privi di fondamento, in quanto carenti del presupposto normativo sul quale le censure stesse si sono alimentate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.426, lettera c), del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Emilia con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 aprile 1993.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Giuliano VASSALLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 29 aprile 1993.