Sentenza n. 167 del 1993

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SENTENZA N. 167

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge della Regione Sicilia 1° febbraio 1991, n. 8 (Interventi per l'Ente minerario siciliano per la ripresa produttiva del settore dei sali alcalini), promosso con ordinanza emessa il 14 marzo 1992 dal Pretore di Enna nel procedimento penale a carico di Tamburrini Domenico ed altri, iscritta al n. 490 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visti gli atti di costituzione di Tamburrini Domenico ed altro e di Sorci Carlo, nonchè l'atto di intervento della Regione Sicilia;

 

udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1993 il Giudice relatore Francesco Greco;

 

uditi l'avv. Michele Giorgianni per Tamburrini Domenico ed altro e l'avv. Francesco Castaldi per la Regione Sicilia.

 

Ritenuto in fatto

 

l. - Il Pretore di Enna, nel corso del procedimento penale a carico di Tamburrini Domenico ed altri, imputati dei reati di cui all'art. 21 della legge n. 319 del 1976, per avere riversato nel fiume Morello solidi sedimentabili, cloruri e solfati, senza autorizzazione ed in misura macroscopicamente superiore ai valori massimi stabiliti dalla tabella A all. alla citata legge n. 319 del 1976, con ordinanza del 14 marzo 1992 (R.O.

 

n. 490 del 1992) ha sollevato, in riferimento agli artt. 117 e 25 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge regionale della Sicilia del 1 febbraio 1991, n. 8.

 

Ha osservato che detta legge, dopo avere, all'art. 2, primo comma, autorizzato l'Assessorato Regionale per l'Industria a realizzare, tramite gli uffici del genio civile competenti per territorio, ovvero i consorzi per le aree di sviluppo industriale, le infrastrutture occorrenti al funziona mento del settore dei sali alcalini relative agli impianti idrici fognari e di smaltimento dei rifiuti, all'art. 3 sancisce, che per gli insediamenti produttivi di cui al citato art. 2, primo comma, in atto esistenti, nonchè per gli impianti di potabilizzazione realizzati con finanziamento regionale, il termine di adeguamento previsto dall'art. 33 della legge regionale n. 27 del 1986 si intende prorogato sino all'attivazione delle opere di cui allo stesso articolo e comunque sino al 31 dicembre 1992.

 

Il giudice remittente ritiene che tale disposizione non rientri nelle competenze legislative riservate alle Regioni dall'art. 117 della Costituzione perchè contrasta con l'art.2 della legge n. 650 del 1979, che detta una disciplina uniforme per tutto il territorio nazionale per l'adeguamento degli scarichi ai limiti tabellari fissati dalla legge dello Stato, e fissa per l'attuazione dei prescritti programmi il termine massimo del 1° settembre 198l. Esso, peraltro, è stato già prorogato una prima volta dall'art. 33 della legge regionale n. 27 del 1986. Inoltre, la legge regionale interferirebbe in materia sanzionata penalmente e, quindi, riservata allo Stato.

 

2. - Nel giudizio è intervenuto il Presidente della Giunta regionale della Sicilia, che ha concluso per la inammissibilità o la infondatezza della questione.

 

Sotto il primo profilo, ha eccepito la manifesta irrilevanza della questione perchè nel giudizio a quo andrebbe comunque applicata la disposizione impugnata, siccome più favorevole all'imputato.

 

Nel merito, ha rilevato che il legislatore regionale ha prorogato il termine di adeguamento degli scarichi alla disciplina prevista dalla legge n. 319 del 1976 in via eccezionale solo per il settore dei sali alcalini, nell'intento di agevolare la soluzione della grave crisi della loro produzione localizzata esclusivamente nel territorio siciliano.

 

Non sussisterebbe violazione nè dell'art. 117 della Costituzione, poichè i limiti alla competenza legislativa della Regione Sicilia non sono fissati da tale disposizione costituzionale, ma dal proprio statuto (artt. 14 e 17), nè dell'art. 25 della Costituzione, perchè le leggi regionali possono concorrere a precisare i presupposti di applicazione di norme penali statali e ad attuare le stesse norme (sent. n.487 del 1989).

 

3. - Si sono costituiti Tamburrini Domenico, Gambazza Renato e Sorci Carlo, imputati nel giudizio a quo.

 

A loro parere, la questione sollevata sarebbe irrilevante perchè il Pretore, avendo enunciato un giudizio di merito relativo alla non applicabilità alla fattispecie sottoposta al suo esame dell'art. 4, lett. e), della legge n. 319 del 1976, che escludeva la loro responsabilità penale, avrebbe dovuto procedere alla fase di decisione del processo. Ed, inoltre, perchè gli imputati avrebbero osservato un dettato normativo solo successivamente sospettato di incostituzionalità.

 

Nel merito la questione sarebbe infondata in quanto la Regione avrebbe legiferato nell'ambito della normativa di attuazione e non avrebbe inciso sul precetto penale, muovendosi esclusivamente nel quadro dei presupposti della fattispecie di reato, senza toccare l'elemento materiale o quello psicologico del reato, nè l'antigiuridicità della con dotta.

 

Considerato in diritto

 

La Corte è chiamata a verificare se l'art. 3 della legge della Regione Sicilia 1° febbraio 1991, n. 8, il quale proroga il termine già fissato dall'art. 2 della legge n. 650 del 1979 al 1° settembre 1981 e dall'art.33 della legge regionale n. 27 del 1986 al 17 maggio 1988, sino all'attuazione delle opere ivi previste e comunque fino al 31 dicembre 1992, violi gli artt. 117 e 25 della Costituzione, perchè la disciplina apprestata riguarda materia che non rientra nella competenza regionale ma è riservata alla competenza statale, siccome penalmente sanzionata.

 

2. - Si esamina per prima l'eccezione di inammissibilità, sollevata dalle difese delle parti private e della Regione.

 

Esse hanno osservato che la questione sollevata non è rilevante perchè il giudice remittente dovrebbe applicare la norma impugnata in quanto più favorevole all'imputato, anche nel caso di declaratoria di illegittimità costituzionale.

 

L'eccezione non è fondata.

 

Come più volte affermato da questa Corte (sentt. nn. 148 del 1983; 826 del 1988; 124 del 1990), le pronunce concernenti la legittimità delle norme penali di favore o comunque più favorevoli all'imputato possono influire sul conseguente esercizio della funzione giurisdizionale. Invero, l'eventuale accoglimento dell'impugnativa viene ad incidere sulle formule di proscioglimento o quanto meno sul dispositivo della sentenza penale.

 

La pronuncia della Corte potrebbe riflettersi sullo schema argomentativo della sentenza penale assolutoria modificandone la ratio decidendi. In tal caso ne risulterebbe alterato il fondamento normativo. L'eventuale sentenza interpretativa di rigetto che la Corte può emettere oltre le sentenze di accoglimento o di rigetto, influirebbe certamente sugli esiti del giudizio penale. Il che può avvenire nella specie in quanto la norma impugnata non è stata finora oggetto di interpretazione da parte del giudice ordinario.

 

3. - Nel merito la questione non è fondata per quanto si dirà.

 

L'art. 13 della legge n. 319 del 1976, per gli scarichi da insediamenti produttivi che recapitano in corsi di acqua o in pubbliche fognature, ha prescritto opere dirette ad evitare inquinamenti, da effettuarsi entro tre anni dalla sua entrata in vigore ( 15 giugno 1976), sia a carico dei titolari degli insediamenti che della Regione, dei Comuni o dei consorzi tra enti pubblici o tra privati ed enti pubblici.

 

Sono stati fissati anche dei termini particolari: 31 dicembre 1981 per quelli che recapitano in corso di acqua e 31 dicembre 1980 per quelli che recapitano in pubbliche fognature.

 

Successivamente si è disposto (art. 2 della legge n. 650 del 1979) che i titolari di insediamenti produttivi esistenti alla data di entrata in vigore della precedente legge n. 319 del 1976, che non avessero provveduto ad adeguare gli scarichi ai limiti prescritti, entro due mesi dall'entrata in vigore della citata norma, dovevano presentare, un programma dettagliato di cui le Regioni erano obbligate ad autorizzare l'attuazione entro tre mesi dalla presentazione, dettando particolari prescrizioni in ordine all'inizio dei lavori e del funzionamento dell'impianto di depurazione, nonchè allo smaltimento dei fanghi e al risparmio energetico.

 

L'attuazione dei detti programmi doveva avvenire entro il 1° settembre 198l. Ma, siccome la loro esecuzione era collegata ad opere che dovevano effettuare le Regioni, i Comuni o i consorzi, a seconda delle situazioni locali (art. 4 e 13 della legge n. 319 del 1976), detto termine non poteva che avere natura ordinatoria e, quindi, poteva subire proroghe, come è avvenuto.

 

4. - La Regione Sicilia, la quale ha competenza esclusiva in materia di lavori pubblici di interesse regionale e di acque pubbliche nonchè di igiene e sanità entro i limiti dei principi e degli interessi generali cui si informa la legislazione statale (art. 14, lett. g ed i, e art. 17, lett.b ed i, dello Statuto), ha emanato varie leggi. Per quello che interessa, ha previsto un piano generale per la tutela dell'ambiente e una disciplina particolare degli scarichi anche da insediamenti produttivi (artt. 5, 13, 14 e 15 della legge regionale n. 39 del 1977 e relative modificazioni approvate con la legge n. 78 del 1980).

 

E specificamente, con la legge n. 181 del 29 dicembre 1981, ha disposto la proroga dei termini di cui agli artt. 2, 15 e 16 della legge n. 650 del 1979, al 31 dicembre 1983, in attesa di provvedere con una apposita legge regionale.

 

Detta legge non risulta essere stata impugnata.

 

5. - La stessa Regione ha apprestato una disciplina particolare per alcune industrie di carattere esclusivamente locale, tra cui quella dei sali di potassio.

 

Con l'art. 33 della legge n. 27 del 1986, gli scarichi delle acque di eduzione delle dette industrie che non recapitano in pubbliche fognature sono stati assoggettati alla stessa disciplina degli scarichi provenienti da insediamenti produttivi e si è fissato, come termine per il loro adeguamento, quello di due anni dall'entrata in vigore della legge (17 maggio 1986).

 

Detto termine, con la successiva legge regionale n. 8 del 1991 (artt. 3), è stato prorogato fino all'attuazione delle opere che si sono rese necessarie o, comunque, fino al 31 dicembre 1992.

 

É dovuta intervenire la Regione, tramite l'Ente minerario per la ricerca, la coltivazione dei sali alcalini semplici, complessi ed associati, ed in particolare si è demandato all'Assessore regionale per l'industria, tramite gli uffici del genio civile competente per territorio ovvero tramite i consorzi per le aree di sviluppo industriale, la realizzazione delle infrastrutture relative agli impianti idrici, fognari e di smaltimento dei rifiuti.

 

I suddetti interventi sono diretti ad incentivare la produzione e a far superare la crisi in cui versano le dette industrie, prettamente locali, ma di importanza nazionale.

 

6. - Va, infine, rilevato che erroneamente il giudice remittente ha posto come parametro di riferimento l'art. 117 della Costituzione, in quanto, trattandosi di Regione a statuto speciale, dovevano essere indicate le norme dello Statuto speciale che si assumevano violate.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge della Regione Sicilia 1° febbraio 1991, n. 8 (Interventi per l'Ente minerario siciliano per la ripresa produttiva del settore dei sali alcalini), in riferimento agli artt. 117 e 25 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Enna con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/04/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Francesco GRECO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 15/04/93.