SENTENZA N. 89
ANNO 1993
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 291 del codice civile promosso con ordinanza emessa il 10 dicembre 1991 dalla Corte di appello di Roma sul reclamo proposto da Carlo Lolli avverso il provvedimento negativo di adozione del Tribunale, ordinanza iscritta al n. 173 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 19 novembre 1992 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.
Ritenuto in fatto
l. - La Corte d'appello di Roma - investita del reclamo proposto dal signor Carlo Lolli avverso il decreto del Tribunale che aveva rigettato, mancando la differenza di età di almeno diciotto anni tra adottante ed adottato, la domanda che egli aveva proposto per l'adozione ordinaria della figlia maggiorenne che la moglie aveva avuto dal primo matrimonio, da tempo sciolto - ha sollevato, con ordinanza emessa il 10 dicembre 1991, questione di legittimità costituzionale dell'art. 291 del codice civile, nella parte in cui, limitatamente al caso del coniuge che chiede di adottare il figlio, anche adottivo, dell'altro coniuge, non consente al giudice di ridurre, quando l'adottando sia di fatto stabilmente inserito nel contesto familiare e sussistano validi motivi per la realizzazione dell'unità familiare, l'intervallo di età di diciotto anni che la stessa disposizione prevede debba intercorrere tra adottante e adottando.
Il giudice rimettente premette che è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 44, quinto comma, della legge 4 maggio 1983, n.184, che disciplina l'adozione di minori in casi particolari, nella parte in cui questa disposizione non consente al giudice di derogare, nell'ipotesi del minore figlio anche adottivo dell'altro coniuge, alla prescrizione relativa al divario di età di diciotto anni tra adottante e adottando, quando sussistano validi motivi per la realizzazione dell'unità familiare (sentenza n. 44 del 1990). La Corte d'appello considera irragionevole la disciplina dettata per l'adozione ordinaria dall'art. 291 del codice civile, che prevede come inderogabile il limite del divario di età anche quando l'adottando sia di fatto stabilmente inserito nel nucleo familiare dell'adottante.
L'adozione di persone maggiori di età ha la finalità di trasmettere il nome di chi non ha discendenti legittimi o legittimati e di dare all'adottante un erede; ma lo scopo dell'istituto, ad avviso del giudice rimettente, non è necessariamente limitato ai risvolti patrimoniali, ben potendo comprendere anche quello di inserire a pieno titolo l'adottando nella famiglia alla quale di fatto partecipa.
2. - É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
L'Avvocatura sostiene che non è pertinente il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 44 del 1990, essendo diversi i presupposti e le finalità dell'adozione di minori in casi particolari, presi in esame da quella sentenza, rispetto ai presupposti ed alle finalità dell'adozione di persone maggiori di età, tanto più che nei due istituti assume differente rilievo l'interesse dei soggetti del rapporto.
Inoltre, secondo l'Avvocatura, l'unità familiare costituisce un presupposto fondamentale per l'armonico sviluppo della personalità dei minori ed è pertanto rilevante ai fini della loro adozione, mentre nell'adozione del maggiore di età è prevalente l'interesse dell'adottante, in ragione dello scopo di tramandare nel tempo il nome di chi non ha discendenti e dell'interesse ad avere un erede.
Infine, ad avviso della Avvocatura, sarebbe del tutto inconferente il richiamo al parametro dell'art.30, primo e secondo comma, della Costituzione.
Considerato in diritto
l. - La Corte d'appello di Roma dubita della legittimità costituzionale dell'art. 291 del codice civile, nella parte in cui, disciplinando le condizioni dell'adozione di persone maggiori di età, stabilisce che l'adottante deve superare di almeno diciotto anni l'età dell'adottando, senza prevedere che il giudice possa ridurre la differenza di età richiesta da questa disposizione, nel caso di adozione del figlio maggiorenne, anche adottivo, dell'altro coniuge.
La Corte d'appello indica quali parametri di valutazione per il giudizio di legittimità costituzionale gli artt. 2, 3 e 30, primo e secondo comma, della Costituzione. Esisterebbe una irragionevole disparità di trattamento tra maggiorenni e minorenni, giacchè solo per questi ultimi l'adozione sarebbe possibile anche quando manchi la differenza di età tra adottante ed adottato ordinariamente richiesta, mentre tra i due istituti (adozione ordinaria e adozione in casi particolari) non si darebbero differenze. Ad avviso del giudice rimettente anche l'adozione di persone maggiori di età potrebbe avere per scopo non tanto l'attribuzione del nome e la prefigurazione di un erede, quanto l'inserimento a pieno titolo dell'adottando nella famiglia della quale, di fatto, costituisca uno dei membri.
La Corte d'appello sollecita, in definitiva, l'applicazione anche all'adozione ordinaria delle ragioni in base alle quali è stata ritenuta costituzionalmente illegittima, per l'adozione di minori in casi particolari, la mancata previsione del potere del giudice di accordare una ragionevole riduzione della differenza di età di diciotto anni tra il coniuge adottante ed il minore adottando, quando quest'ultimo sia figlio, anche adottivo, dell'altro coniuge (art. 44, primo comma, lettera b), della legge n. 184 del 1983).
2. - Il giudice rimettente muove dalla premessa della ritenuta identità di situazioni nelle quali verserebbero gli adottandi - nel caso di adozione del figlio del coniuge dell'adottante - tanto che si tratti di adozione ordinaria quanto che si tratti di adozione di minori.
Ma proprio questa premessa non è esatta, in ragione della differente disciplina che caratterizza in modo diverso, per struttura, per funzione e per ampiezza dei poteri attribuiti al giudice, l'adozione di minori rispetto all'adozione di persone di maggiore età.
L'organica disciplina della adozione dei minori, dettata dalla legge n. 184 del 1983, ha come essenziale e dominante obiettivo - in conformità alle convenzioni internazionali volte a disciplinare e proteggere in modo specifico i minori (si veda in proposito la Convenzione di Strasburgo sulla loro adozione, ratificata in forza della legge 22 maggio 1974, n. 357) - l'interesse dei minori stessi ad un ambiente familiare stabile ed armonioso, nel quale si possa sviluppare la loro personalità, godendo di un equilibrato contesto affettivo ed educativo che ha come riferimento idonei genitori adottivi.
Coessenziali all'adozione dei minori sono l'inserimento nella famiglia di definitiva accoglienza ed il rapporto con i genitori adottivi, i quali assumono la responsabilità educativa dei minori adottati. Ne deriva l'attribuzione ad essi delle potestà e dei doveri che caratterizzano la posizione dei genitori nei confronti dei figli, anche quando, come nella adozione in casi particolari (art. 48 della legge n.184 del 1983), il minore non sempre versi in stato di abbandono e non cessino del tutto i rapporti con i genitori di origine.
In questo contesto, che implica di necessità il pieno inserimento del minore nella comunità familiare adottiva, si colloca l'obbligo dell'adottante di mantenere, istruire ed educare l'adottato, in conformità a quanto prescritto dall'art. 147 del codice civile per i figli nati nel matrimonio (art.48 della legge n. 184 del 1983).
La specialità di questa disciplina legislativa risponde alla specificità delle esigenze di protezione del minore. In funzione dell'interesse di quest'ultimo il provvedimento di adozione è circondato di particolari cautele ed è pronunciato all'esito di un procedimento che implica un incisivo controllo del Tribunale per i minorenni, volto a verificare, al di là della volontà delle parti interessate, se l'adozione realizza il preminente interesse del minore.
Lo stesso procedimento consente inoltre al giudice di indagare sull'attitudine dell'adottante ad educare il minore, sui motivi dell'adozione, sulla personalità del minore, sulla possibilità di idonea convivenza (art. 57 della legge n. 184 del 1983).
Tutte queste specifiche condizioni hanno consentito di valutare come l'adozione di un minore figlio del coniuge dell'adottante sia necessaria per assicurare all'adottando, con l'inserimento a pieno titolo nella famiglia e con l'attribuzione del cognome dei fratelli uterini generati in costanza di matrimonio, il superamento "del disagio sociale della manifesta diversità di origine con possibile disarmonia nella formazione psicologica e morale del minore stesso". Si è così ritenuto che questo interesse prevalga sul limite del divario di età tra adottante e adottato, limite che può essere eccezionalmente superato quando sia indispensabile, secondo il rigoroso apprezzamento del giudice, per salvaguardare i valori di protezione del minore, assicurando allo stesso una famiglia (sentenza n. 44 del 1990).
L'esigenza di evitare gravi danni allo sviluppo della personalità del minore, causati dal venir meno dell'unità di vita e di educazione tra fratelli minori, uno dei quali già adottato, ha consentito inoltre, in casi altrettanto rigorosamente circoscritti ed eccezionali, il superamento dello stesso limite del divario di età massimo tra adottante ed adottato (sentenza n.148 del 1992).
3. - L'adozione di persone maggiori di età si caratterizza in modo ben diverso da come in precedenza delineato. Essa non implica necessariamente l'instaurarsi o il permanere della convivenza familiare, non determina la soggezione alla potestà dei genitori adottivi, nè impone all'adottante l'obbligo di mantenere, istruire ed educare l'adottato. Inoltre l'adozione di persone maggiori di età è essenzialmente determinata dal consenso dell'adottante e dell'adottando, giacchè il controllo del Tribunale verte sui requisiti che legittimano l'adozione, essendo rimesso al giudice il ristretto potere di valutare se l'adozione "conviene" all'adottando (art. 312 del codice civile).
Nell'adozione di persone maggiori di età al giudice non è attribuito alcun discrezionale apprezzamento dell'interesse della persona dell'adottando; nè possono essere effettuati quegli incisivi controlli previsti per l'adozione di minori, che significativamente rispecchiano la diversità di presupposti e di finalità dei due istituti.
Risulta quindi razionalmente giustificata una diversità di disciplina anche nel superamento - consentito solo per l'adozione di minori, in casi eccezionali che esigono una specifica indagine e la rigorosa valutazione del giudice - del limite posto dal divario di età ordinariamente richiesto tra adottante ed adottando, superamento che si giustifica in ragione del raccordo tra l'unità familiare ed il momento ineliminabilmente formativo ed educativo, che caratterizza lo sviluppo del minore in una famiglia ed esige una particolare protezione che solo quella famiglia può assicurare.
La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d'appello di Roma non è dunque fondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 291 del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, e 30, primo e secondo comma, della Costituzione dalla Corte d'appello di Roma con ordinanza emessa il 10 dicembre 1991.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/03/93.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Cesare MIRABELLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 15/03/93.