Sentenza n.44 del 1990

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SENTENZA N.44

ANNO 1990

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 44, ultimo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), promosso con ordinanza emessa il 28 aprile 1989 dalla Corte d'appello di Venezia, sezione per i minorenni, sul ricorso proposto da Dal Colle Franco, iscritta al n. 330 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visto l'atto di costituzione di Dal Colle Franco nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 dicembre 1989 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola;

uditi l'Avv. Ezio Adagi per Dal Colle Franco e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- La Corte d'appello di Venezia, sezione per i minorenni, con ordinanza emessa il 28 aprile 1989, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 30, primo, secondo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 44, ultimo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184, nella parte in cui subordina la possibilità di adottare un minore alla condizione che l'adottante abbia unità di almeno diciotto anni maggiore anzichè di sedici, "come é stabilito invece per il riconoscimento di paternità e maternità ex art. 250 cr- e per la legittimazione ex art. 284 cc.".

Il giudice a quo ravvisa nella predetta limitazione una discriminazione in danno del minore adottando rispetto al minore che debba essere riconosciuto o legittimato dal genitore che abbia compiuto sedici anni. E ritiene che la differenza di sedici anni anche per i "casi particolari", contemplati dalla norma denunziata, non solo risponderebbe ad un criterio biologico, ma varrebbe anche a garantire un'applicazione più estesa della norma in linea con l'evoluzione del costume, segnatamente nel caso in cui il minore adottando sia figlio dell'altro coniuge, come nella specie.

A ciò si aggiunga, osserva il giudice a quo, che nel sottosistema costituito dai capi I e II del titolo IV (artt. 44-57) della legge n. 183 dei 1984 l'adottante non deve esprimere un convincimento che richieda quella maturità che deve avere chi scelga d'accordo col coniuge di voler intraprendere l'adozione legittimante di un minore ai sensi dell'art. 22 della legge n. 183 del 1984.

Il giudice a quo ricorda infine come questa Corte, nella sentenza n. 183 del 10 febbraio 1988, abbia sostenuto che il motivo che condizionò il legislatore del 1983 a fissare il divario di età fra adottanti e adottando nel minimo di diciotto anni e nel massimo di quaranta fu dettato dalla necessità di adeguare la legislazione in materia di adozione agli artt. 7, numero 1, e 8, numero 3, della Convenzione di Strasburgo.

2.- Si é costituita la parte privata aderendo alle argomentazioni del giudice rimettente e depositando altresì, nell'imminenza dell'udienza, una memoria in cui si osserva come il legislatore da un lato, consentendo ai genitori sedicenni di riconoscere e legittimare il figlio naturale, abbia riconosciuto la loro idoneità fisiologica alla procreazione, dall'altro contraddittoriamente non abbia ritenuto tale scarto di anni sufficiente a consentire al minore l'attribuzione di uno status familiare. Secondo la difesa, i principi dei favor minoris e della parificazione della filiazione adottiva a quella naturale consentono di verificare l'irrazionalità della norma impugnata, che violerebbe l'art. 3 della Costituzione "per manifesta diversità di regolamenta2ione di ipotesi analoghe".

3.- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato dall'Avvocatura dello Stato la quale ha concluso per la declaratoria d'inammissibilità ovvero d'infondatezza, osservando come il giudice a quo abbia posto a raffronto situazioni non omogenee ed abbia altresì confuso la differenza minima di età tra adottante ed adottando con l'età minima necessaria per avere la capacità di riconoscere il proprio figlio o di richiedere la legittimazione.

Considerato in diritto

1. - La Sezione per i minorenni della Corte d'appello di Venezia dubita della legittimità costituzionale dell'art. 44, ultimo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), in relazione agli artt. 3 e 30, primo, secondo e terzo comma, della Costituzione <nella parte in cui prevede per colui che voglia adottare un minore la differenza minima di età di diciotto anni anzichè sedici, come è stabilito invece per il riconoscimento di paternità e maternità ex art. 250 c.c. e per la legittimazione ex art. 284 c.c.>.

2.-Non sono invocabili i tertia comparationis di cui agli artt. 250 e 284 del codice civile, in quanto regolano situazioni non omogenee, con la conseguenza che su di essi non può argomentarsi violazione del principio di eguaglianza contenuto nel precetto dell'art. 3 della Costituzione.

Non è sufficiente infatti che la norma impugnata e quelle richiamate a confronto abbiano a denominatore comune l'acquisto di uno status familiare di filiazione riconosciuta, legittimata, adottiva. Le tre norme sono ispirate ciascuna da una peculiare ratio, e le due, artt. 250 e 284 del codice civile, che richiedono il compimento del sedicesimo anno d'età per i genitori che intendono procedere al riconoscimento o alla legittimazione della prole naturale, stabiliscono un dato temporale iniziale concettualmente non assimilabile al dato temporale di distanza quale quello di diciotto anni richiesto dalla norma impugnata come differenza d'età tra adottante e adottando.

L'impostazione erronea del rapporto tra soglia minima d'età per il riconoscimento o per la legittimazione della prole generata e distanza d'età tra adottante e adottando deriva da una non corretta quanto tradizionale interpretazione del criterio <adoptio imitatur naturam>. Tale criterio, innanzi tutto, non assume la consistenza di un principio giuridico, per cui l'istituto dell'adozione debba essere regolato come species artificiale della filiazione e modellarsi, al pari di questa, sugli stessi presupposti di natura, tra i quali la maturità fisiologica alla generazione.

La formula riflette piuttosto una esigenza etico-sociale avvertita già prima del diritto giustinianeo, che l'adottivo non fosse più anziano dell'adottante, così come il figlio generato non può esserlo per natura rispetto al proprio padre. E tuttavia, che non si trattasse di una regola di diritto, lo prova il dibattito interno al diritto romano classico se l'adottante potesse essere più giovane dell'adottando, come è attestato essere alcune volte realmente accaduto. É Giustiniano ad imporre la regola che l'età dell'adottante preceda di almeno diciotto anni quella dell'adottando. E siffatta regola, attraverso il diritto comune, ha raggiunto le legislazioni moderne.

L'indicazione giustinianea dei diciotto anni come plena pubertas non ha alcun riferimento biologico, intesa com'è ad utilizzare una mera analogia nominis per definire un intervallo temporale più esteso dei quattordici anni richiesti per la pubertà.

La fissazione della distanza d'età in diciotto anni deve intendersi storicamente dettata da ragioni di opportunità sociale ponderate dal legislatore senza giustificazioni naturalistiche esterne alla sua volontà.

3. - Il legislatore italiano ha recepito dal Codice sardo del 1838, art. 188, l'intervallo dei diciotto anni nel codice civile del 1865, art. 202, e in quello del 1942, art. 291. In quest'ultimo, la possibilità di deroga (<Quando eccezionali circostanze lo consigliano, la Corte d'appello può autorizzare la adozione se l'adottante ha raggiunto almeno l'età di anni quaranta e se la differenza di età tra l'adottante e l'adottando è di almeno sedici anni>) non era prevista dal Progetto e nella Relazione del Guardasigilli Grandi fu giustificata sia perchè rimesso alla Corte d'appello <il valutare le circostanze del caso> sia perchè <la differenza minima di sedici anni salva sempre il tradizionale principio: adoptio imitatur naturam>.

La legge n. 431 del 1967, art. 1, sull'adozione speciale, ripristinava la differenza d'età di diciotto anni (<Quando eccezionali circostanze lo consigliano, il tribunale può autorizzare la adozione se l'adottante ha raggiunto almeno l'età di trenta anni, ferma restando la differenza di età di cui al comma precedente [scil. diciotto anni]>).

La legge n. 184 del 1983, nel riordinare e innovare organicamente la disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, stabilisce all'art. 6, secondo comma: <L'età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quaranta anni l'età dell'adottando>.

Si tratta qui dell'adozione cosiddetta <legittimante>, destinata a dare ai minori in stato di abbandono una famiglia degli affetti sostitutiva di quella del sangue. Come ha già rilevato questa Corte, <il legislatore italiano, che nel codice civile si era limitato alla regola romana, nella legge del 1983, stabilendo la distanza minima di età, che coincide oggi con gli anni della maggiore età, si adegua alla Convenzione europea: infatti ex art. 84 del codice civile, la capacità matrimoniale si acquista con la maggiore età, cioè a 18 anni. Se si calcolano i tre anni di matrimonio richiesti ex art. 6, primo comma, della legge n. 184 del 1983 perchè i coniugi possano adottare, si raggiunge il limite minimo dei 21 anni stabilito dall'art. 7, n. 1, della Convenzione di Strasburgo. <Il limite massimo stabilito in 40 anni 5 in più rispetto ai 35 della Convenzione europea è dovuto alla elevazione dell'età degli adottabili da 8 anni della legge del 1967 ai 18 della legge del 1983. <La diminuzione del minimo da 20 a 18 e del massimo da 45 a 40 ha la funzione di offrire al minore genitori adottivi giovani, in modo che il modello della famiglia degli affetti sia non dissimile nel divario generazionale da quello della famiglia del sangue> (sentenza n. 183 del 1988).

Il criterio <adoptio imitatur naturam> liberato da vincolanti riferimenti biologici e opportunamente collegato con usi sociali, trova la sua traduzione moderna nell'art. 8, numero 3, della Convenzione di Strasburgo: <En règle gènèrale, l'autoritè compètente ne considèrera pas comme remplies les conditions prècitèes si la diffèrence d'age entre l'adoptant et l'enfant est infèrieure à celle qui sèpare ordinairement les parents de leur enfants>.

Nel contesto della stessa legge n. 184 del 1983, per i casi particolari sussunti nel titolo IV è richiesta ancora una volta la distanza d'età di diciotto anni (art. 44, quinto comma: <In tutti i casi l'adottante deve superare di almeno diciotto anni l'età di coloro che intende adottare>).

Il ricorrere del dato temporale dei diciotto anni nella tradizione legislativa italiana, la lungamente meditata elaborazione della vigente legge n. 184 del 1983, nonchè la considerazione storicamente innanzi dimostrata che il termine diciottennale è frutto di ponderazione del legislatore senza immediato riferimento naturalistico che valga ricerca di giustificazione esterna alla voluntas legis, fanno sì che l'art. 3 della Costituzione, come non risulta valido ai fini della individuazione di lesione del principio di eguaglianza, non lo è del pari per fondare una valutazione di non ragionevolezza.

4.-La questione è, invece, fondata con riferimento all 'art . 30 , primo e terzo comma, della Costituzione, nel valore complessivo espresso, che è quello dell'unità della famiglia. La particolare specie di adozione prevista sub b), dal primo comma dell'art. 44 - il coniuge che adotta il minore figlio anche adottivo dell'altro coniuge - è ispirata al fine di consolidare l'unità familiare.

Senza lo strumento adozionale così impiegato, malgrado la coppia genitoriale sia legata nel matrimonio, la prole riconosciuta o adottata da uno dei coniugi resterebbe estranea all'altro coniuge, non porterebbe il cognome dei fratelli uterini generati in costanza di matrimonio, vivrebbe, anche in una forte coesione affettiva, il disagio sociale della manifesta diversità di origine con possibili disarmonie nella formazione psicologica e morale. II ricorso all'adozione ex art. 44, primo comma, lett. b), evitando le conseguenze dello scenario descritto, agevola una più compiuta unione della coppia e della prole.

Se però il non raggiunto divario d'età dei diciotto anni tra il coniuge adottante e il minore adottando fosse considerato in ogni caso inderogabile, la realizzazione del valore costituzionale dell'unità della famiglia potrebbe risultarne compromessa. Affinchè la norma impugnata non risulti in contrasto con l'art. 30, primo e terzo comma, della Costituzione, limitatamente all'ipotesi di cui alla lett. b), dell'art. 44, primo comma, della legge n. 184 del 1983, il giudice competente, previo attento e severo esame delle circostanze del caso, al fine di corrispondere all'indicato preminente valore etico-sociale inscritto in Costituzione, può accordare una ragionevole riduzione del termine diciottennale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 44, quinto comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), nella parte in cui, limitatamente al disposto della lett. b) del primo comma, non consente al giudice competente di ridurre, quando sussistano validi motivi per la realizzazione dell'unità familiare, l'intervallo di età di diciotto anni.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 31/01/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco PAOLO CASAVOLA, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 02 Febbraio 1990.