Sentenza n. 416 del 1992

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SENTENZA N. 416

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Francesco GUIZZI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 710 del codice di procedura civile, anche nel testo novellato dalla legge 29 luglio 1988, n.331, richiamato dall'articolo 711, ultimo comma, dello stesso codice promosso con ordinanza emessa il 29 novembre 1991 dalla Corte di Appello di Bologna nel procedimento civile vertente tra Rubin Marck Stephen e Ferrari Tiziana iscritta al n. 205 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1992;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 ottobre 1992 il Giudice relatore Renato Granata;

Ritenuto in fatto

1. Nel giudizio di impugnazione della sentenza del Tribunale di Modena, che, adito ai sensi degli artt. 710 e 711 cod.proc.civ (con citazione notificata il 25 maggio 1987), aveva pronunciato in ordine alla revisione delle condizioni della separazione (consensuale) tra i coniugi Mark Stephen Rubin e Ferrari Tiziana, la Corte d'appello di Bologna - procedendo al preliminare esame dell'eccezione di nullità della sentenza sotto il profilo che, riguardando la controversia (anche) l'affidamento ed il mantenimento del figlio minore, alla stessa avrebbe dovuto necessariamente partecipare il pubblico ministero che invece non era stato posto in condizione di intervenire essendo mancata la trasmissione degli atti al suo ufficio - ha sollevato (con ordinanza del 23 dicembre 1991) questione incidentale di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 Cost., dell'art. 710 cod.proc.civ (anche nel testo novellato dalla legge 29 luglio 1988 n.331), richiamato dall'art. 711, ultimo comma, cod.proc.civ., nella parte in cui non prevede l'intervento obbligatorio del pubblico ministero nei procedimenti di modificazione dei provvedimenti riguardanti i figli minori di coniugi separati.

La Corte rimettente - rilevato che, secondo l'orientamento della Corte di cassazione, l'intervento del pubblico ministero nei giudizi di modificazione delle condizioni della separazione personale dei coniugi non è obbligatorio anche se la controversia abbia ad oggetto l'affidamento di minori attesa la tassatività dell'elencazione contenuta nell'art.70 cod.proc.civ - osserva che viceversa l'obbligatorietà dell'intervento del pubblico ministero nei procedimenti di revisione dei provvedimenti sull'affidamento dei minori in caso di divorzio risulta prevista dall'art.13 della legge 6 marzo 1987 n.74, che ha così sostituito l'art. 9 della legge 1 dicembre 1970 n.898, come modificato dall'art. 2 della legge 1 agosto 1978 n.436. Tale modifica - entrata in vigore il 12 marzo 1987 e pertanto prima dell'inizio del giudizio de quo - evidenzia il ruolo attivo a garanzia degli interessi dei minori svolto dal pubblico ministero nelle cause in cui è previsto il suo intervento obbligatorio.

Quindi - secondo la Corte rimettente - risulta illogico ed irrazionale (ex art. 3 Cost.) che la presenza del pubblico ministero non sia invece necessaria nei procedimenti di modificazione delle disposizioni concernenti i minori in caso di separazione personale dei coniugi, quando spesso la conflittualità in relazione ai figli è maggiore.

Tale disparità di trattamento nella tutela dei minori risulta ancor più marcata - ritiene la Corte rimettente - se si tiene conto che il legislatore, negli ultimi interventi (v. art. 23 legge n.74 del 1987 e legge n.331 del 1988), ha mostrato una decisa propensione a parificare la disciplina processuale dei procedimenti in materia di separazione e di divorzio.

2. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile (per il carattere manipolativo della pronuncia additiva invocata dalla Corte rimettente) od infondata. Osserva in particolare l'Avvocatura che l'intervento del Pubblico Ministero non costituisce un'inderogabile esigenza la cui mancata soddisfazione risulti lesiva di alcun canone costituzionale.

D'altra parte la struttura del procedimento è rimessa alle opzioni di merito del legislatore, che nella fattispecie non sono censurabili per irragionevolezza in considerazione dell'ampiezza dei mezzi istruttori di cui può disporre il giudice adito ex art. 710 cod.proc.civ (anche) al fine di individuare la soluzione di maggior tutela per i minori.

Considerato in diritto

1. É stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 710 cod.proc.civ (anche nel testo novellato dalla legge 29 luglio 1988 n.331), in quanto richiamato dall'art. 711 , ultimo comma, cod.proc.civ nella parte in cui non prevede l'intervento obbligatorio del Pubblico Ministero nei procedimenti di modificazione dei provvedimenti riguardanti i figli minori in caso di separazione personale tra coniugi per sospetta violazione del principio di ragionevolezza e di disparità di trattamento (art. 3 Cost.), essendo invece tale intervento prescritto nei procedimenti di modificazione dei provvedimenti riguardanti i figli minori in caso di divorzio.

2. Va premesso che l'art. 710 cod.proc.civ, nel testo originario, prevedeva al primo comma la possibilità per le parti di chiedere, con le forme del processo ordinario, la modificazione dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole contenuti nella sentenza di separazione.

Tale disposizione è stata riformulata dall'art. 1 della legge 29 luglio 1988 n.331 che ha introdotto il procedimento in camera di consiglio in luogo del giudizio ordinario.

Nè nel testo originario, nè in quello novellato è prescritto l'intervento del pubblico ministero; e in mancanza di tale testuale indicazione la giurisprudenza conforme della Corte di cassazione - che sul punto costituisce diritto vivente - ha ritenuto che per l'adozione dei provvedimenti modificativi suddetti, ancorchè riguardanti la prole, non sia necessario l'intervento del pubblico ministero.

Questo principio è condiviso anche dal giudice rimettente e quindi costituisce la premessa interpretativa dell'esame della censura di costituzionalità.

3. Diversa disposizione processuale vige invece per la modifica dei provvedimenti riguardanti la prole nel caso di divorzio.

Infatti l'art. 9 legge 1 dicembre 1970 n.898 - nel prevedere la possibilità di revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli per giustificati motivi sopravvenuti alla sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio - prescrive, oltre al procedimento in camera di consiglio, che debba essere sentito il pubblico ministero; prescrizione, questa, eliminata dalla successiva novella del 1978 (art. 2 legge 1 agosto 1978 n.436) ma poi, in parte, ripristinata dalla riforma del 1987 (art. 13 legge 6 marzo 1987 n.74). Tale norma infatti, nel confermare il rito camerale, ha specificamente prescritto la partecipazione del pubblico ministero per i provvedimenti modificativi della sentenza di divorzio riguardanti i figli, sicchè risultano in tal modo valorizzate le speciali esigenze di tutela della prole.

4. Questa separatezza di discipline (rispettivamente del procedimento di modificazione delle condizioni di separazione e di quello di revisione delle condizioni di divorzio) trova un significativo arresto nell'art. 23 che estende ai (nuovi) giudizi di separazione personale dei coniugi le prescrizioni (di natura processuale) del (solo) art. 4 legge n.898 del 1970 (come modificato dall'art. 8 legge n. 74 del 1987).

Un'ulteriore assimilazione di disciplina si ha con la successiva cit. legge n.331 del 1988 che ha introdotto il rito camerale anche per il procedimento di modificazione delle condizioni di separazione.

Dagli atti parlamentari emerge chiaramente l'intento del legislatore di < < parificare, nel nuovo spirito della riforma del diritto di famiglia, le norme procedurali di modifica sia delle condizioni della separazione che di quelle del divorzio>> (Relazione al disegno di legge n.378, comunicato alla Presidenza del Senato il 5 agosto 1987).

5. Pur dopo tali innovazioni, è rimasta ancora la disciplina differenziata dell'intervento del pubblico ministero; differenziazione questa che però - se pur ascrivibile alla discrezionalità del legislatore fin quando innestata nel contesto di due procedimenti (di separazione e di divorzio) ancora sotto vari aspetti disomogenei - si appalesa invece ingiustificata allorchè lo stesso legislatore, nel por mano nel 1987 alla riforma della normativa sul divorzio, ha optato per l'assimilazione delle discipline (v. art. 23 cit.). In questo sopravvenuto quadro normativo la pur ampia discrezionalità del legislatore in materia processuale non impedisce di verificare se il permanere di un residuale trattamento differenziato nell'art. 710 cod.proc.civ trovi, o meno, giustificazione. La quale nella specie è carente atteso che, se l'intervento del pubblico ministero nel caso di modifica dei provvedimenti relativi ai figli minori di genitori divorziati risponde alla particolare esigenza di tutela di questi ultimi (come già rimarcato da questa Corte nella sentenza n. 185 del 1986 con riguardo più in generale ai giudizi per lo scioglimento del matrimonio e per la separazione fra coniugi), analogo (se non ancor più pressante) interesse sussiste nel caso dei provvedimenti modificativi delle condizioni della separazione riguardanti la prole, come rende evidente l'art. 155 cod.civ., che nel prevedere (all'ultimo comma) la facoltà dei coniugi di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, prescrive in via generale (al primo comma) che i provvedimenti relativi alla prole siano adottati con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa.

Tale prevalente < < esigenza di tutelare l'interesse dei figli>> è già stata da questa Corte (sent. 144 del 1983) posta a fondamento della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 156, sesto comma, cod.civ. nella parte in cui la garanzia patrimoniale ivi prevista per l'ipotesi della separazione giudiziale non si estendeva anche all'ipotesi della separazione consensuale.

6. Questo processo di graduale assimilazione trova d'altra parte ulteriore riscontro nella giurisprudenza della Corte.

Ed infatti, proprio valutando comparativamente i giudizi di separazione e quelli di divorzio con riferimento allo specifico tema della assegnazione della casa coniugale al genitore affidatario dei figli minori, questa Corte nella sentenza n. 454 del 1989 ha riscontrato che in entrambe le ipotesi la ratio ispiratrice della assegnazione stessa è < < l'esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale della prole>> ed ha ritenuto < < del tutto priva di ragionevole giustificazione>>, e quindi costituzionalmente illegittima, la mancata estensione al caso della separazione della opponibilità ai terzi, prevista invece nel caso di divorzio, la stessa risolvendosi in una < < diversità di trattamento rispetto alla prole>>.

Più recentemente la Corte, nella sentenza n. 176 del 1992, con riguardo al più favorevole trattamento tributario delle ipoteche iscritte a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge divorziato, ha sottolineato < < il parallelismo, le profonde analogie e la complementarità funzionale>> dei procedimenti di separazione e di divorzio, pervenendo a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 19 della legge n. 74 del 1987 nella parte in cui non estende il beneficio fiscale suddetto anche alle iscrizioni di ipoteca in favore del coniuge separato.

7. Identiche ragioni di parallelismo, di omologia e di complementarità sussistono ora anche con riguardo ai procedimenti relativi alla modificazione e revisione delle condizioni di separazione e di divorzio concernenti l'affidamento della prole.

Una volta prevista la partecipazione del pubblico ministero nei giudizi di modificazione delle condizioni di divorzio, la mancata estensione anche ai giudizi di modificazione delle condizioni di separazione di siffatta prescrizione, volta alla salvaguardia dell'interesse dei minori, si rivela priva di razionale giustificazione di fronte alla esigenza di assicurare identità di tutela ad identici interessi.

Consegue che - con riferimento ai giudizi per la modifica delle condizioni di separazione instaurati dopo la data di entrata in vigore della citata legge n.74 del 1987 - va dichiarata l'illegittimità costituzionale, sopravvenuta dalla data suddetta (12 marzo 1987), dell'art.710 cod.proc.civ (testo originario) nella parte in cui, per i provvedimenti relativi ai figli minori, non prevede l'intervento del pubblico ministero.

Analogo vizio - ancor più evidente se si considera che l'art.38 disp. att. cod.civ., nel fissare la demarcazione tra competenza del tribunale per i minorenni e competenza del tribunale ordinario, prescrive che il tribunale provvede in camera di consiglio sentito il pubblico ministero - presenta la medesima norma nel testo novellato dall'art. 1 della citata legge n. 331 del 1988, che - modificando il rito ed introducendo il procedimento in camera di consiglio - si è limitata a prevedere, anche in riferimento ai provvedimenti riguardanti la prole che le parti (e quindi soltanto le parti) debbano essere sentite prima che il Tribunale provveda.

La medesima dichiarazione di incostituzionalità va pertanto estesa in via conseguenziale (ex art. 27 legge 11 marzo 1953 n. 87) all'art.710 cod.proc.civ nel testo sostituito dall'art. 1 della legge n. 331 del 1988 nella parte in cui non prevede la partecipazione del pubblico ministero per la modifica dei provvedimenti riguardanti la prole.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale, sopravvenuta dal 12 marzo 1987, dell'art. 710 codice procedura civile, nel testo precedente a quello sostituito dall'art. 1 legge 29 luglio 1988 n. 331, nella parte in cui non prevede l'intervento del pubblico ministero per la modifica dei provvedimenti riguardanti la prole;

2) dichiara, ai sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953 n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 710 codice procedura civile, nel testo sostituito dall'art. 1 legge 29 luglio 1988 n. 331, nella parte in cui non prevede la partecipazione del pubblico ministero per la modifica dei provvedimenti riguardanti la prole.

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/10/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 09/11/92.