Sentenza n. 144 del 1983

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SENTENZA N. 144

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 156, comma sesto, cod. civ. (Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi) promosso con ordinanza emessa il 31 maggio 1976 dal Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra Zoppellaro Giustina e Spinello Quintino, iscritta al n. 711 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10 del 12 gennaio 1977.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei

ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 marzo 1983 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

udito l'avvocato dello Stato Franco Chiarotti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ricorso 30 marzo 1976 Zoppellaro Giustina, consensualmente separata da Spinello Quintino ed affidataria delle figlie minori Adriana e Valentina, premesso che il coniuge era inadempiente all'obbligo di corrisponderle il contributo al mantenimento delle figlie, chiedeva al Tribunale di Torino che venisse ordinato al datore di lavoro dello Spinello di versarle direttamente quanto dovuto detraendone l'importo dalle competenze del predetto. E ciò in applicazione dell'art. 156, sesto comma, cod. civ., secondo il quale il giudice, in caso di inadempienza, può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato al mantenimento e ordinare ai terzi tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all'obbligato che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto.

Il Tribunale riteneva inapplicabile al caso di specie la invocata disposizione, in quanto dettata esclusivamente per la separazione giudiziale, e considerava che il diverso trattamento così riservato dalla legge alla separazione consensuale potrebbe contrastare con il principio di eguaglianza in quanto, senza ragionevole motivo, gli interessi dei figli minori troverebbero, con l'esclusione di tale mezzo di esecuzione, una minore tutela nella separazione consensuale rispetto a quella giudiziale. Ciò posto, con ordinanza del 31 maggio 1976, il Tribunale ha sollevato questione di legittimità costituzionale del citato art. 156, sesto comma, codice civile, in riferimento all'art. 3 Costituzione.

L'ordinanza, regolarmente comunicata e notificata, é stata pubblicata sulla G.U. n. 10 del 12 gennaio 1977.

Si é costituito ritualmente il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, che ha depositato nei termini le proprie deduzioni.

L'Avvocatura ricorda anzitutto che a norma dei precedenti commi dell'art 156 c.c., il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto é necessario al suo mantenimento, ed aggiunge che, certamente, dei particolari poteri del giudice in discussione possono beneficiare anche i figli. Per quanto riguarda il diritto del coniuge a fare ricorso a tali poteri, precisa l'Avvocatura, é ragionevole che esso spetti al solo coniuge cui in sede di separazione giudiziale é stata riconosciuta non addebitabile la separazione medesima, essendo opportuno che i poteri stessi non vadano a vantaggio del coniuge, magari colpevole, cui però, come può in pratica accadere, l'altro coniuge, in sede di separazione consensuale, benevolmente riconosca il diritto al mantenimento.

Ciò premesso l'Avvocatura osserva tuttavia che, nel caso di specie, trattandosi di diritto del coniuge al contributo per il mantenimento dei figli minori, dovrebbe farsi ricorso ad una interpretazione dell'art. 156, sesto comma, che ne estenda l'applicabilità anche alla ipotesi della separazione consensuale, dato che la situazione dei figli, in entrambi i casi di separazione, parteciperebbe delle stesse esigenze.

Ritenendosi applicabile la norma ordinaria anche nel caso oggetto del giudizio principale, sulla base della eguaglianza delle due fattispecie di mantenimento dei figli a seguito di separazione di coniugi, sia essa giudiziale o consensuale, la lamentata discriminazione non sussisterebbe e la questione sarebbe da dichiarare non fondata.

Considerato in diritto

1. - In base all'ordinanza di rimessione, la Corte é chiamata a stabilire se contrasti o meno con il principio di eguaglianza l'art. 156, comma sesto c.c., come modificato dalla legge 19 maggio 1975 n. 151, nella parte in cui non estende la disposizione ivi contenuta a favore dei figli di coniugi consensualmente separati.

Il giudice a quo, sul presupposto che il particolare mezzo di tutela previsto dalla norma innanzi indicata - applicabile anche all'assegno di mantenimento dovuto per i figli - sia espressamente stabilito per la separazione giudiziale dei coniugi e non sia perciò applicabile a quella consensuale, dubita della legittimità costituzionale della norma stessa, per la disparità di trattamento operata, in identità di situazioni, tra i figli di coniugi separati giudizialmente e quelli di coniugi separati con atto negoziale omologato, non apparendo "per quale motivo gli interessi dei figli debbano avere una tutela minore quando i genitori, per loro autonoma decisione, ritennero di separarsi consensualmente".

2. - La questione é fondata. L'art. 156, sesto comma c.c. - analogamente a quanto dispongono gli artt. 8 della legge 1 dicembre 1970 n. 898 e 148, comma secondo c.c. per le ipotesi rispettivamente previste - stabilisce un particolare mezzo di tutela per assicurare al coniuge separato ed ai figli minori il pagamento di quanto dovuto dall'altro coniuge per il loro mantenimento, consentendo al giudice di disporre il sequestro di parte dei beni dell'obbligato e di ordinare a terzi, tenuti a corrispondere al predetto, anche periodicamente, somme di danaro, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto.

Tale previsione riguarda unicamente gli effetti della separazione giudiziale e, come ha ritenuto anche la Corte di Cassazione in relazione alla norma analoga contenuta nel secondo comma dell'art. 148 c.c., trattasi di procedimento singolare rispetto ai normali istituti processuali e, come tale, inapplicabile a casi diversi da quelli per i quali é stato previsto. Ciò comporta la impossibilità di pervenire per via interpretativa alla estensione del mezzo di tutela alla separazione consensuale.

3. - Poste tali premesse, occorre verificare se sussista la dedotta disparità di trattamento. Va, innanzi tutto, precisato che l'ordinanza di rimessione, come é stato innanzi già chiarito, limita il dubbio di costituzionalità al diverso trattamento riservato ai figli nelle ipotesi di separazione giudiziale e consensuale, sicché é fuori della materia del contendere la situazione del coniuge, pur se creditore di un assegno di mantenimento. Del resto solo nei limiti anzidetti la questione appariva rilevante per la decisione nel giudizio principale, avente ad oggetto soltanto il pagamento dell'assegno di mantenimento dovuto per i figli dal coniuge obbligato.

Così precisati i termini e l'oggetto di questo giudizio, non sembra dubbia la disparità di trattamento riservata ai figli, ai quali sia dovuto un assegno di mantenimento, nelle due ipotesi di separazione dei coniugi: quelli i cui genitori si siano giudizialmente separati possono avvalersi del particolare mezzo di tutela previsto dall'art. 156, comma sesto c.c., mentre i figli dei coniugi che hanno preferito la separazione consensuale non possono invocarlo.

Ma la funzione di garanzia insita nel disposto del citato art. 156, sesto comma c.c., non può ragionevolmente essere limitata agli effetti della separazione giudiziale e non estesa anche al caso di separazione consensuale giacché essa risponde all'esigenza di tutelare l'interesse dei figli per quanto concerne la concreta operatività del loro diritto al mantenimento in caso di separazione dei genitori; tale esigenza resta valida indipendentemente dalla specie della separazione che, giudiziale o consensuale, produce in materia riflessi sostanzialmente analoghi nei confronti dei figli. La natura contenziosa o negoziale della separazione stessa non può spiegare alcuna incidenza nei confronti della garanzia del diritto al mantenimento dei figli, al quale deve essere riconosciuta piena autonomia rispetto al tipo di separazione dei genitori.

L'omogeneità evidente di dette situazioni postula un eguale trattamento, in assenza di qualsiasi valida ragione che giustifichi una diversità di disciplina; e la minore tutela accordata ai figli di genitori separati consensualmente concreta una palese discriminazione in loro danno, che si rende evidente anche in relazione al trattamento riservato dall'art. 148 c.c. ai figli in costanza di convivenza matrimoniale, prevedendo appunto tale norma pure in quell'ipotesi misure analoghe a quella in discussione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 156, sesto comma del Codice Civile, nella parte in cui non prevede che le disposizioni ivi contenute si applichino a favore dei figli di coniugi consensualmente separati.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1983.

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO – Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 31 maggio 1983.