Sentenza n. 372 del 1992

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SENTENZA N.372

 

ANNO 1992

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

 

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

-          Dott. Francesco GRECO

 

-          Prof. Gabriele PESCATORE

 

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

 

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

 

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

-          Avv. Mauro FERRI

 

-          Prof. Luigi MENGONI

 

-          Prof. Enzo CHELI

 

-          Prof. Giuliano VASSALLI

 

-          Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), come modificato dall'art. 2 della legge 2 maggio 1983, n. 175 (Interpretazione autentica dell'articolo 24 e integrazione e modifica di norme della legge 20 settembre 1980, n. 576 concernente la riforma della previdenza forense), promosso con ordinanza emessa il 3 gennaio 1992 dal Pretore di Genova nel procedimento civile vertente tra De Benedictis Pasquale e la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore degli avvocati e procuratori, iscritta al n. 66 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visti l'atto di costituzione di De Benedictis Pasquale nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 16 giugno 1992 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

 

udito l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Il Pretore di Genova, con ordinanza emessa il 3 gennaio 1992 nel corso del giudizio promosso dall'avv. Pasquale De Benedictis contro la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore degli avvocati e procuratori, ha sollevato d'ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), come modificato dall'art. 2 della legge 2 maggio 1983, n. 175 (Interpretazione autentica dell'articolo 24 e integrazione e modifica di norme de legge 20 settembre 1980, n. 576 concernente la riforma della previdenza forense), "nella parte in cui limita la base di computo per il calcolo della pensione di vecchiaia ai soli redditi dichiarati escludendo da tale base l'ammontare dei redditi risultanti dai successivi accertamenti svolti dagli organi fiscali e dalle successive definizioni con gli stessi".

 

Il giudice rimettente premette che la misura della pensione a carico della Cassa é determinata, per quanto riguarda il reddito professionale, con riferimento alla media decennale dei redditi risultanti dalle dichiarazioni a suo tempo presentate dall'iscritto ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (I.R.P.E.F.), nei quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto alla pensione. Osserva quindi che il sistema previdenziale forense rissa secondo criteri irragionevolmente diversi la base di computo della pensione e quella relativa al contributo soggettivo obbligatorio, che é invece dovuto in una percentuale "del reddito professionale netto prodotto nell'anno, quale risulta dalla relativa dichiarazione ai fini dell'I.R.PE.F. e dalle successive definizioni".

 

Il Pretore di Genova ricorda che altre volte la Corte costituzionale ha ravvisato un contrasto tra l'art. 36 della Costituzione e le disposizioni che sancivano la perdita o la riduzione della pensione quale sanzione conseguente ad un reato (sentenze n. 3 del 1966, n. 78 del 1967, n.112 del 1968, n. 144 del 1971, n. 25 del 1972). Nel caso prospettato il calcolo dell'ammortare della pensione sulla base del reddito dichiarato, e non anche di quello successivamente definito, verrebbe ad assumere carattere sanzionatorio.

 

L'art. 3 della Costituzione sarebbe violato in quanto la norma denunciata stabilirebbe una irragionevole disparità di trattamento fra gli iscritti alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli avvocati e procuratori e gli altri titolari di pensione che, a seguito della legge 8 giugno 1966, n. 424, non vedono limitato il loro diritto alla pensione per effetto di sanzioni. La legge n. 424 del 1966, che ha abrogato le disposizioni che prevedevano, a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare, la riduzione o la sospensione del diritto del dipendente dello Stato o di altro Ente pubblico al conseguimento e al godimento della Pensione, trova applicazione, in forza dell'art. 3, "anche nei riguardi delle persone diverse dal dipendente dello Stato o di altro Ente pubblico che a norma delle disposizioni vigenti hanno od avevano comunque titolo alla pensione (…)".

 

2.- Si é costituito l'avv.Pasquale De Benedictis, unendosi ai dubbi di legittimità costituzionale sollevati dal Pretore di Genova e rilevando che, al fine di garantire al cittadino i mezzi adeguati alle esigenze di vita, l'ammontare della pensione deve essere determinato in proporzione all'effettivo reddito percepito in costanza di attività lavorativa.

 

La difesa della parte privata segnala che la legge 11 febbraio 1992, 141, recante modifiche alla legge n. 576 del 1980, non ha mutato la norma oggetto del sindacato di costituzionalità, continuando a prevedere che la pensione sia calcolata in base ai redditi dichiarati dall'iscritto alla Cassa e senza alcun riferimento agli eventuali redditi successivamente accertati.

 

3.-É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

 

4.- In prossimità dell'udienza la parte privata ha depositato una memoria, argomentando ulteriormente in ordine alle tesi già prospettate. In particolare si riafferma che l'art. 36 della Costituzione risulterebbe violato dal criterio di determinazione della base di computo della pensione erogata dalla Cassa, criterio che si risolve in una sanzione inflitta al professionista che abbia reso, ai fini dell'I.R.PE.F., una dichiarazione non veritiera. La diversità dei criteri dettati dal legislatore per determinare la base di calcolo della pensione e quella della contribuzione previdenziale si tradurrebbe in una riduzione della prima rispetto non soltanto ai redditi effettivamente percepiti dall'iscritto, ma anche alla base di calcolo dell'obbligazione contributiva, che é fissata in relazione ai redditi successivamente accertati.

 

5.- Ha depositato una memoria anche l'Avvocatura dello Stato, ribadendo la richiesta di dichiarazione di infondatezza della questione ed ipotizzando una eventuale interpretazione che non escluda dal calcolo della pensione i redditi accertati dagli organi fiscali ed assoggettati a contribuzione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Pretore di Genova dubita della legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), modificato dall'art. 2 della legge 2 maggio 1983, n. 175 (Interpretazione autentica dell'art. 24 e integrazione e modifica di norme della legge 20 settembre 1980, n.576 concernente la riforma della previdenza forense), < nella parte in cui limita la base di computo della pensione di vecchiaia ai soli redditi dichiarati escludendo da tale base l'ammontare dei redditi risultanti dai successivi accertamenti svolti dagli organi fiscali e dalle successive definizioni con gli stessi>.

 

La questione è stata sollevata esclusivamente in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione. Quanto al primo profilo, la disposizione denunciata determinerebbe, ad avviso del Pretore di Genova, una irragionevole disparità di trattamento fra gli iscritti alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli avvocati e procuratori ed i titolari di pensione a carico dello Stato o di altro ente pubblico, per i quali la legge 8 giugno 1966, n. 424, esclude la riduzione del diritto al godimento della pensione a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare.

 

Il contrasto con l'art. 36 della Costituzione è prospettato su un duplice presupposto: che si sia in presenza di una sanzione per la non veritiera denuncia resa ai fini della liquidazione e del pagamento della imposta sui redditi delle persone fisiche; che ancorare al reddito denunciato, e non a quello successivamente definito, il calcolo dell'ammontare della pensione inciderebbe sulla equiparazione della stessa ad una retribuzione differita.

 

2.-La questione, nei termini in cui è stata sollevata, non è fondata.

 

L'art. 3 della Costituzione è richiamato dal giudice a quo esclusivamente per valutare una asserita disparità di trattamento in danno degli avvocati e procuratori. A tal fine viene indicato un elemento di comparazione non utile, non tanto per la non assimilabilità, ai fini della generale disciplina pensionistica, tra le categorie dei lavoratori dipendenti (dallo Stato e dagli altri enti pubblici) e dei liberi professionisti, quanto piuttosto sotto il profilo oggettivo. Non vi è difatti utile comparabilità di situazioni: nel caso in esame si versa non già in una riduzione del trattamento pensionistico per effetto di sanzioni penali o disciplinari (situazione presa in considerazione dalla legge n. 424 del 1966), ma nel calcolo dell'ammontare della pensione sulla base dei redditi dichiarati dall'interessato e dei contributi per essi corrisposti nell'anno di riferimento. La irrilevanza dei redditi successivamente ed eventualmente accertati esula dal meccanismo della < riduzione> della pensione per sanzione penale o disciplinare.

 

Il riferimento all'art . 36 della Costituzione (e non ad altre norme volte a fissare i princìpi del sistema di previdenza per la generalità dei cittadini che vivono con il proprio lavoro) non può egualmente portare ad una pronuncia di accoglimento, trattandosi di una disposizione che ha trovato applicazione anche in materia pensionistica, con la equiparazione della pensione alla retribuzione differita, ma esclusivamente per i rapporti di lavoro dipendente.

 

La questione di legittimità costituzionale proposta dal Pretore di Genova non può quindi essere accolta.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), come modificato dall'art. 2 della legge 2 maggio 1983, n. 175 (Interpretazione autentica dell'art.24 e integrazione e modifica di norme della legge 20 settembre 1980, n. 576 concernente la riforma della previdenza forense), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 36 della Costituzione, dal Pretore di Genova con ordinanza emessa il 3 gennaio 1992.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/07/92.

 

Aldo CORASANITI, Presidente

 

Cesare MIRABELLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 27/07/92.