SENTENZA N. 317
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Aldo CORASASANITI, Presidente
- Prof. Giuseppe BORZELLINO
- Dott. Francesco GRECO
- Prof. Gabriele PESCATORE
- Avv. Ugo SPAGNOLI
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
- Prof. Antonio BALDASSARRE
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, 9 e 11 della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia del l'attuazione della legge), promosso con ordinanza emessa il 16 dicembre 1991 dal Pretore di Fermo nel procedimento civile vertente tra la S.T.E.A.T. - Società Trasporti Ete Aso Tenna e le Organizzazioni Sindacali F.I.L.T.C.G.I.L., F.I.T.-C.I.S.L., U.I.L.- Trasporti e C.I.S.N.A.L.-Trasporti, iscritta al n. 146 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visti l'atto di costituzione della F.I.L.T.-C.G.I.L. nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 16 giugno 1992 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;
uditi l'avv. Massimo D'Antona per la F.I.L.T.-C.G.I.L. e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza del 16 dicembre 1991 (R.o. n. 146/1992) il Pretore di Fermo, quale giudice del lavoro - premesso che la S.T.E.A.T. - Società Trasporti Ete Aso Tenna aveva chiesto la condanna delle organizzazioni sindacali F.I.L.T.-C.G.I.L., F.I.T.-C.I.S.L., U.I.L.-Trasporti e C.I.S.N.A.L.-Trasporti, al risarcimento dei danni che essa assumeva di aver subito a causa di uno sciopero che tali organizzazioni sindacali avevano Proclamato illegittimamente e cioé in violazione della legge 12 giugno 1990, n. 146 - ha rilevato che tale legge, avendo previsto, per la violazione delle proprie prescrizioni, soltanto sanzioni di carattere amministrativo (artt. 4 e 9) ed avendo abrogato, con l'art. 11, gli artt. 330 e 333 cod. pen., ha escluso l'irrogabilità di qualsiasi sanzione penale o civile per l'illegittimo esercizio del diritto di sciopero. Ciò premesso, il Pretore dubita della legittimità costituzionale di tale disciplina ed al riguardo osserva che la legge n. 146 dei 1990, pur rivolta alla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, come recita il suo titolo, introduce in realtà una tutela assolutamente labile e inconsistente, perchè demanda l'irrogazione delle sanzioni al datore di lavoro o ad autorità amministrative, senza consentire il diretto accesso del danneggiato alla, tutela giudiziaria, ed escludendo addirittura la tutela fondamentale, costituita dalla possibilità di ottenere il risarcimento del danno. Il giudice a quo ritiene che, così disponendo, la legge impugnata abbia vanificato la tutela precedentemente offerta dalla normativa penale (con gli abrogati artt. 330 e 333 cod. pen.) e dalla normativa civile relativa alla responsabilità per fatto illecito, tutela che invece la Corte costituzionale aveva ritenuto compatibile con la libertà di sciopero (sentenze nn. 31 del 1969, 1 e 54 del 1974, 4 del 1977 e 165 del 1983). Di conseguenza, la legge n. 146 - nel suo complesso (e il Pretore di Fermo, a sostegno della censurabilità di un intero testo normativa, richiama le sentenze di questa Corte nn. 53 del 1962 e 152 del 1982), o, quanto meno, negli articoli che regolano le sanzioni per la violazione delle sue prescrizioni (artt. 4, 9 e 11) - contrasti con gli artt. 40 e 2 della Costituzione, "non assicurando la tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo ' sia nelle formazioni sociali " poichè non consente che l'esercizio dello sciopero, qualora leda tali diritti inviolabili, di rango costituzionale, sia adeguatamente represso e che sia idoneamente tutelato chi subisca il danno derivante da un esercizio illecito del diritto di scio ero, riconoscendo al danneggiato il diritto al risarcimento, e attribuendogli azione per- far valere tale diritto".
2.- Nel giudizio davanti alla Corte si é costituita la F.I.L.T.-C.G.I.L. di Fermo, deducendo che la questione sottoposta all'esame della Corte, per la parte in cui si risolve in una censura di globale inadeguatezza della legge n. 146 del 1990 e del sistema sanzionatorio da essa apprestato, é inammissibile, non essendo possibile individuare con precisione i termini della censura di incostituzionalità con riferimento a specifiche norme della Costituzione.
La F.I.L.T.-C.G.I.L. ha poi sostenuto che la questione sollevata dal Pretore di Fermo é inammissibile anche sotto il diverso profilo che le norme costituzionali in riferimento alle quali é richiesto lo scrutinio di legittimità della legge (gli artt. 2 e 40 Cost.) non riguardano, neppure indirettamente, il diritto al risarcimento dei danni patrimoniali, diritto che secondo l'ordinanza verrebbe ad essere pregiudicato dalla legge a danno delle imprese erogatrici di servizi pubblici essenziali.
La questione stessa, per la parte in cui si riferisce agli artt. li (abrogazione degli artt. 330 e 333), 4 (sanzioni a carico di lavoratori, organizzazioni sindacali e dirigenti di imprese erogatrici) e 9 (sanzioni per l'inosservanza dell'ordine di precettazione), sarebbe dei tutto irrilevante ai fini della decisione del giudizio a quo, poichè nessuna delle norme richiamate - la prima concernente la repressione penale delle azioni sindacali, la seconda le sanzioni operanti sul piano del rapporto di lavoro o su quello delle relazioni sindacali e la terza addirittura l'inottemperanza all'ordine di precettazione dell'autorità amministrativa - incide direttamente o indirettamente sulla tutela risarcitoria richiesta dalla società ricorrente, nel senso preciso che nessuna di esse può essere richiamata per affermare o negare la predetta tutela.
Nel merito la RI.L.T.-C.G.I.L. ha sostenuto la manifesta infondatezza della questione, osservando che la legge n. 146 del 1990 appresta un complesso di misure, e introduce correlative sanzioni, per realizzare il "contemperamento" tra diritto di sciopero e diritti della persona costituzionalmente tutelati (si tratta quindi di una forma di tutela diversa e logicamente precedente a quella risarcitoria) e riconosce alle aziende o amministrazioni erogatrici del servizio pubblico sia ampi margini di autotutela, sia specifiche azioni di tutela preventiva, che escludono qualsiasi sospetto di eccessivo e irragionevole aggravamento per effetto della legge: le aziende erogatrici dei servizio pubblico hanno infatti facoltà di adottare, anche con ordini di servizio, tutte le misure necessarie all'erogazione delle prestazioni indispensabili, di infliggere adeguate sanzioni nei confronti dei lavoratori, di richiedere sanzioni non meno adeguate a carico dei sindacati inadempienti; e in ogni caso, al fine di evitare un pregiudizio grave ai diritti della persona, é previsto uno specifico procedimento amministrativo per l'emanazione di una ordinanza che imponga il rispetto delle misure e prestazioni essenziali.
Concludendo, la difesa dell'organizzazione sindacale ha chiesto che la Corte costituzionale dichiari: la inammissibilità della questione per inesatta e insufficiente determinazione dei termini del giudizio di costituzionalità richiesto; la irrilevanza ai fini della decisione del giudizio a quo, e comunque la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della legge n. 146 dei 1990 nel suo complesso.
3.- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ed ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, quanto meno, infondata.
Con riferimento all'eccezione di inammissibilità, l'Avvocatura ha osservato che l'ordinanza di remissione nulla riferiva circa la natura e l'oggetto del giudizio a quo e neppure specificava se lo sciopero in oggetto avesse riguardato servizi pubblici essenziali. In tale situazione non era possibile valutare la rilevanza ed i limiti della questione di costituzionalità, la quale era quindi da dichiararsi inammissibile.
L'inammissibilità della questione derivava anche dalla mancanza di una precisa individuazione delle norme sottoposte a censura. Quest'ultima, infatti, era rivolta all'intero testo legislativo, mentre era improbabile che, in effetti, essa riguardasse piú di una o due disposizioni. In particolare, l'art. 9, pur menzionato nell'ordinanza, pareva del tutto estraneo alla materia controversa.
Nel merito e con riferimento all'art. 11 della legge, l'Avvocatura ha osservato che l'abrogazione degli artt. 330 e 333 cod. pen., disposta da tale norma, non può essere demolita dalla Corte costituzionale - come invece il giudice a quo pareva richiedere - non potendosi aver ripristino di una norma sanzionatoria penale per effetto di una pronunzia della Corte. E comunque la norma impugnata non contrastava con i parametri costituzionali richiamati dal Pretore, posto che nè dall'art. 40, nè dall'art. 2 della Costituzione é consentito desumere un dovere del legislatore ordinario di criminalizzare lo sciopero illegale.
Con riferimento all'art. 4, apparivano dover essere presi in considerazione i soli commi secondo e terzo, che contengono la disciplina sanzionatoria da applicarsi nei confronti delle organizzazioni dei lavoratori che proclamano uno sciopero illegale o vi aderiscono. Ma l'eventuale scarsa incisività o efficacia di tali sanzioni non sarebbe comunque idonea a dar luogo ad un giudizio di illegittimità costituzionale.
Concludendo, l'Avvocatura osserva che l'ordinanza di remissione, ritenuta la sussistenza di lacune o inadeguatezze nella normativa denunziata, appare richiedere alla Corte una pronunzia additiva - ovvero una pronunzia interpretativa nel senso dell'addizione _ volta a superare le lacune suddette o ad ovviare alle ritenute inadeguatezze della disciplina legislativa. Sennonchè - rileva l'Avvocatura - colmare opinate lacune in via interpretativa é compito del giudice ordinario, e non della Corte; nè spetta a quest'ultima costruire autonomi precetti legislativi ad integrazione di quelli reputati insufficienti.
4.- Con memoria integrativa depositata il 1° giugno 1992, l'Avvocatura ha rettificato la precedente impostazione e, anche con riferimento alle difese svolte dalla F.I.L.T.-C.G.I.L., ha dedotto che la questione prospettata dall'ordinanza di rimessione era rilevante ai fini della decisione del giudizio a quo, mentre la incidenza o meno delle disposizioni impugnate sulla c.d. tutela risarcitoria rappresentava semmai un posterius logico rispetto al giudizio richiesto a questa Corte. Nè vi é - osserva l'Avvocatura - alcuna precedenza logica tra le sanzioni previste dall'art. 4, commi secondo e terzo, rispetto all'eventuale sorgere di crediti risarcitori, sicchè la questione non potrebbe essere dichiarata infondata in ragione di tale ipotizzata precedenza. U Avvocatura ha espresso quindi l'avviso che la questione prospettata nell'ordinanza di rimessione debba essere risolta mediante una sentenza così detta interpretativa di rigetto, posto che le disposizioni sub judice non escludono affatto, e neppure posticipano o condizionano, il risarcimento dei danni cagionati da sciopero illecito, e quindi non contrastano con parametri costituzionali (oltre ai due considerati dal remittente, occorrerebbe tener conto anche dell'art. 3, dell'art. 24, commi primo e secondo e dell'art. 41 Cost., nonchè - per il settore dei trasporti - dell'art. 16 Cost.).
É pertanto da auspicare - secondo l'Avvocatura - che, rimosso ogni dubbio circa l'ammissibilità della questione, sia reso dalla Corte un insegnamento nel senso che il principio generale del neminem laedere non subisce, nè (a livello di normativa costituzionale) potrebbe subire, alcuna compressione o deroga dalle disposizioni contenute nel citato art. 4, commi secondo e terzo.
Era, infatti, da rammentare che i limiti del "diritto di sciopero" sono previsti in attuazione dell'art. 40 Cost. ("nell'ambito delle leggi che lo regolano"), e perciò sono limiti che il legislatore ordinario é costituzionalmente obbligato a porre. D'altro canto, detti limiti costituiscono il risvolto negativo di una pluralità di precetti costituzionali posti a salvaguardia di interessi costituzionalmente riconosciuti (sanità, igiene pubblica, "libertà di circolazione" delle persone, istruzione pubblica, etc.); e non é pensabile che la salvaguardia di interessi di tanto spessore sia affidata a norme minus quam perfectae, e, contraddittoriamente, sia negata nel momento stesso in cui, in attuazione di precetti costituzionali, la si riconosce e proclama.
Occorre anche considerare - aggiunge l'Avvocatura - che l'area dei soggetti eventualmente danneggiati é ben più ampia di quella dei soggetti partecipanti ai rapporti lato sensu contrattuali e/o ai rapporti sindacali; la previsione di sanzioni specifiche (e modeste) riguardanti questi rapporti e soggetti non può tradursi in "licenza di illiceità" ed in "irresponsabilità" nei confronti di; tutti gli altri soggetti "terzi" eventualmente danneggiati.
Proprio lo strumento della responsabilità aquiliana consente di adeguare la reazione all'illecito alle molteplici e differenziate conseguenze concrete di esso; sarebbe quindi sommamente irrazionale, oltre che contrastante con precetti costituzionali, esentare da responsabilità aquiliana gli autori ed in genere i responsabili dell'illecito, ossia concedere a costoro una "licenza di danneggiare" e di sacrificare gli interessi altrui della cui rilevanza anche costituzionale si é detto (si pensi al caso del paziente che muore, perchè illecitamente abbandonato da chi dovrebbe curarlo). Tra lecito ed illecito é bene che non si formino "zone grigie" di ambiguità e di incertezza del diritto: chi tiene un comportamento contra legem sia esso anche un lavoratore, un datore di lavoro, o un'associazione sindacale datoriale o dei lavoratori - deve subire tutte le normali conseguenze del suo illecito, senza esoneri o "sconti", a presidio anzitutto della legalità.
Per quanto precede - conclude l'Avvocatura - la legge n. 146 del 1990 non può essere reputata - in parte qua - nè lacunosa nè inadeguata. Essa traccia il confine tra lecito ed illecito, per quanto riguarda lo sciopero, e si inserisce nel tessuto dell'ordinamento normativo, dal quale discende l'obbligo di risarcire le conseguenze dannose dell'illecito.
Considerato in diritto
1. - Il Pretore di Fermo ritiene che la legge 12 giugno 1990, n.146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), considerata sia nel suo complesso sia con specifico riferimento agli artt. 4, 9 e 11, contrasti con gli artt. 2 e 40 Cost. Tale normativa-sostiene infatti il giudice a quo-pur essendo diretta alla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, non assicura ad essi una tutela adeguata, avendo eliminato la sanzione penale per la violazione di tali diritti attuata mediante l'esercizio illegittimo dello sciopero ed avendo invece previsto, per tali ipotesi, soltanto sanzioni disciplinari o amministrative, con conseguente esclusione della possibilità, per chi ha subìto la lesione, di adire egli stesso il giudice al fine di ottenere, in particolare, il risarcimento del danno subìto.
2.-La questione di costituzionalità formulata con riferimento all'intero testo della legge 12 giugno 1990, n. 146, deve essere dichiarata inammissibile per genericità della prospettazione. É giurisprudenza costante di questa Corte che ogni questione di legittimità costituzionale deve, a pena di inammissibilità, essere definita nei suoi termini precisi, al fine di rendere possibile l'inequivoca determinazione dell'oggetto del giudizio e la verifica del requisito della rilevanza della questione proposta rispetto alla definizione del giudizio a qua Perchè sia ammissibile una questione di costituzionalità rivolta ad un intero testo legislativo occorre quindi che le specifiche censure formulate siano tali da investire tutte le norme contenute nel provvedimento denunciato e così invece palesemente non è nel caso in esame.
3. - La questione di costituzionalità formulata con specifico riferimento agli artt. 4, 9 e 11 della medesima legge è, sotto ogni profilo, priva di rilevanza e deve pertanto essere dichiarata inammissibile.
Nell'ordinanza di remissione, infatti, non è in alcun modo specificato se l'azione risarcitoria che formava oggetto del giudizio a quo fosse effettivamente collegata alla lesione di un diritto della persona costituzionalmente garantito. Risulta, al contrario, che il danno di cui si chiedeva il risarcimento derivava dalla lesione di interessi meramente patrimoniali (minori incassi, esborsi, riduzione di capacità concorrenziale), in nessun modo inquadrabili nella garanzia dell'invocato art. 2 della Costituzione.
In secondo luogo deve essere rilevato che l'azione risarcitoria che forma oggetto del giudizio a quo è stata proposta dalla società datrice di lavoro. Ora, le norme della legge 12 giugno 1990, n. 146 si riferiscono esclusivamente ai rapporti tra l'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici ed i diritti della persona propri degli utenti di tali servizi o dei cittadini in generale. Esula invece dagli scopi e dal contenuto della legge in esame la disciplina dei rapporti tra l'esercizio del diritto di sciopero e gli interessi dell'impresa in quanto tale, pur se costituzionalmente tutelati. I c.d. limiti esterni al diritto di sciopero riferibili alla salvaguardia di tali interessi e le relative tecniche di tutela restano pertanto affidati ai princìpi e alle regole che la giurisprudenza ha elaborato al riguardo, desumendoli direttamente dal dettato costituzionale con particolare riferimento alla così detta < produttività> dell'azienda, intesa, sia pure con interpretazioni non sempre coincidenti, come salvaguardia dell'integrità degli elementi materiali e strutturali dell'organizzazione aziendale (cfr., da ultimo, Cass., 28 ottobre 1991, n. 11477). La legge 12 giugno 1990, n. 146 non ha in alcun modo inciso su tale materia, sicchè le norme investite dalla censura di illegittimità costituzionale non hanno alcun rilievo per la definizione della controversia che il Pretore di Fermo deve giudicare.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia del l'attuazione della legge), sollevata dal Pretore di Fermo con ordinanza del 16 dicembre 1991 con riferimento sia alla legge nel suo complesso sia, in particolare, agli artt. 4, 9 e 1l.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29/06/92.
Aldo CORASANITI, Presidente
Ugo SPAGNOLI, Redattore
Depositata in cancelleria il 08/07/92.