Sentenza n. 353 del 1991

 

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SENTENZA N. 353

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 178, lettera c), e 409 del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1. - ordinanza emessa il 22 novembre 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Asti nel procedimento penale a carico di Insolia Concetto, iscritta al n. 146 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1991;

2. - ordinanza emessa il 12 novembre 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona nel procedimento penale a carico di Scarponi Giovanni Maria ed altri, iscritta al n. 153 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nella camera di consiglio del 5 giugno 1991 il Giudice relatore Giuliano Vassalli;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il pubblico ministero presso la Pretura circondariale di Asti, ricevuta, dopo l'archiviazione di una notizia di reato disposta con decreto dal Giudice per le indagini preliminari presso la locale Pretura, una richiesta di prosecuzione delle indagini da parte della persona offesa che, nonostante la sua espressa domanda, non era stata avvisata dell'iniziativa del pubblico ministero di non promuovere l'azione penale, trasmetteva al detto giudice il fascicolo corredato dalla richiesta del pubblico ministero "per quanto di competenza".

Il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Asti, premesso che l'unica pronuncia che sarebbe stato legittimato ad emettere era quella di non luogo a provvedere su tale richiesta, "da qualificarsi sostanzialmente come atto di opposizione alla proposta archiviazione", sia per la tardività della stessa sia per la già avvenuta pronuncia del decreto di archiviazione, sia, infine, per l'assenza di ogni iniziativa del pubblico ministero volta alla riapertura delle indagini, ha, con ordinanza del 22 novembre 1990, sollevato, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 178, lettera c), del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede come nullità generale l'omesso avviso alla persona offesa ai sensi dell'art. 408", secondo comma, del codice di procedura penale.

L'assenza di ogni sanzione processuale conseguente all'inosservanza della norma ora ricordata svuoterebbe, infatti - non potendo nella specie operare né il regime della "nullità generale" né il regime della "nullità relativa" - il diritto di difesa dell'offeso dal reato "di qualsiasi effettività", attraverso una disciplina, oltre tutto, contrastante con lo stesso sistema complessivo del nuovo codice di procedura penale che, pure, "ha riconosciuto in capo alla persona offesa dal reato determinati diritti e facoltà". Ciò, del resto, coerentemente rispetto a quanto statuito da questa Corte sin dalla sentenza n. 132 del 1968, ricollegandosi alla posizione della persona offesa "il diritto costituzionalmente garantito di costituirsi parte civile", un diritto compromesso dalla disciplina denunciata, essendo l'opposizione all'archiviazione riconosciuta proprio "al fine di poter eventualmente esercitare l'azione civile in sede penale".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1991.

È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione venga, in via principale, dichiarata inammissibile e, in subordine, non fondata.

L'inammissibilità deriverebbe dall'essere la denuncia "palesemente irrilevante" per l'assenza nel giudice rimettente di ogni potere decisorio in merito alla richiesta di prosecuzione delle indagini presentata dalla persona offesa - non qualificabile, certo, come tardiva opposizione - e trasmessa dal pubblico ministero al giudice solo "per quanto eventualmente di competenza"; l'infondatezza dal fatto che il diritto al risarcimento della persona offesa resterebbe comunque salvaguardato attraverso l'esercizio dell'azione civile in sede propria, senza che dalla mancata affermazione della pretesa civile nel processo penale possa derivare pregiudizio alcuno alla tutela risarcitoria della persona offesa.

2. - Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona, premesso che il pubblico ministero aveva domandato la revoca (per "esclusivi motivi deontologici") di un decreto di archiviazione pronunciato omettendo, nonostante la richiesta formulata a norma dell'art. 408, secondo comma, del codice di procedura penale, di dare avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero, e che, dopo la pronuncia di tale decreto, l'offeso dal reato aveva proposto opposizione, con ordinanza del 12 novembre 1990, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, secondo comma ("violazione del diritto di difesa della parte offesa dal reato"), e 112 della Costituzione ("per quanto concerne l'esercizio obbligatorio dell'azione penale da parte del P.M."), questione di legittimità dell'art. 409 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non contempla il potere del giudice per le indagini preliminari di disporre la revoca del decreto di archiviazione allorché lo richieda ilp.m. in base a nuove valutazioni degli stessi fatti anziché motivare detta revoca ex art. 414 stesso Cod. con l'esigenza di nuove investigazioni".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata anch'essa pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, del 1991.

È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata, in via principale, inammissibile e, in subordine, non fondata.

L'inammissibilità deriverebbe dall'assenza nel giudice remittente di "alcun potere decisorio"; l'infondatezza, per un verso (art. 24, secondo comma), dall'essere nel procedimento penale i limiti della protezione della persona offesa - peraltro assistita di piena tutela in sede civile - affidati alla discrezionalità del legislatore e, per un altro verso (art. 112 della Costituzione), dall'adeguata attuazione del controllo giurisdizionale sulle determinazioni del pubblico ministero soddisfatta dalla norma denunciata.

 

Considerato in diritto

 

1. - Pur nella diversità degli articoli di legge sottoposti al vaglio della Corte, le ordinanze di rimessione convergono nel denunciare le norme del codice di procedura penale che non prevederebbero alcuna forma di tutela per la persona offesa dal reato cui non venga data notizia della richiesta di archiviazione del pubblico ministero, nonostante l'espressa domanda da essa proposta nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, norme individuate dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Asti nell'art. 178, lettera c), del codice di procedura penale e dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona nell'art. 409 dello stesso codice, nelle parti da ciascuno di essi indicate. Considerata l'analogia delle questioni sollevate, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - L'Avvocatura Generale dello Stato, negli atti d'intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri, spiegati in entrambi i giudizi, ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità delle questioni, deducendo, in ordine a quella sollevata dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Asti, l'assenza nel rimettente "di alcun potere decisorio in merito alla 'richiesta di prosecuzione delle indagini preliminari' presentata dalla persona offesa", richiesta "alla quale deve attribuirsi il valore di una mera sollecitazione al pubblico ministero ai fini della riapertura delle indagini" e non certo di "una tardiva opposizione all'archiviazione", eccezione reiterata con riguardo alla questione sollevata dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona al quale viene contestato di non essere "investito di alcun potere decisorio" in quanto alla richiesta del pubblico ministero di riapertura delle indagini "sembra" - anche qui - "doversi comunque attribuire il valore di mera sollecitazione di un potere del giudice che non è previsto dalla legge".

L'eccezione deve essere disattesa.

Sia nel primo sia nel secondo caso i giudici rimettenti rivendicano un potere che, stando alle prospettazioni delle due ordinanze, non sarebbe loro conferito dalla legge in violazione dei parametri costituzionali di volta in volta invocati: più in particolare, mentre il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Asti rivendica a sé il potere di dichiarare la nullità ex art. 178, lettera c), del codice di procedura penale, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona rivendica a sé il potere di autorizzare il pubblico ministero alla riapertura delle indagini; di entrambi i poteri, il cui esercizio sarebbe precluso dalle norme delle quali si afferma l'illegittimità, l'uno e l'altro dei giudici sollecitano l'attribuzione, conseguibile solo a seguito della dichiarazione d'illegittimità della norma da ciascuno di essi denunciata. Donde la rilevanza di entrambe le questioni, dipendendo dalla loro soluzione, avuto riguardo al petitum rispettivamente perseguito dai rimettenti, la definizione dei giudizi a quibus.

3. - Le questioni non sono, però, fondate.

Entrambe le ordinanze di rimessione muovono dal presupposto che il vigente sistema processuale non contempli per la persona offesa alcuno strumento di tutela per i casi in cui il giudice - nonostante l'offeso dal reato abbia adempiuto l'onere di preavvisare il pubblico ministero, nella notizia di reato o successivamente, quanto alla sua volontà di essere avvertito della richiesta di archiviazione, e ciò al fine di valutare se proporre o no opposizione ex art. 410 del codice di procedura penale - abbia pronunciato il decreto di archiviazione senza che alcun avviso della detta richiesta sia stato ad essa notificato. In effetti, ove tale presupposto trovasse riscontro nel vigente assetto normativo, la denunciata omessa previsione si presenterebbe di dubbia compatibilità con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, considerato che il diritto di difesa, riconosciuto da questa Corte anche alla persona offesa dal reato sotto il vigore del codice del 1930 talora pure a prescindere dalla sua qualità di eventuale parte civile (v. sentenze n. 132 del 1968, n. 206 del 1971, n. 169 del 1975), risulta, nel sistema del nuovo codice di procedura penale, particolarmente valorizzato proprio nello stadio delle indagini preliminari, entro il quale si colloca il procedimento di archiviazione. E ciò non soltanto "per il rapporto di complementarità tra le garanzie per essa apprestate nella fase delle indagini preliminari e quelle riconosciute alla parte civile nella fase successiva all'esercizio dell'azione penale", da cui deriva una "partecipazione all'assunzione di prove" nell'ambito di tale fase, e che è "funzionalmente" da considerare "come anticipazione di quanto ad essa spetterà una volta che la costituzione di parte civile sarà formalizzata", ma anche per "un complessivo rafforzamento, rispetto al codice previgente" del ruolo ad essa attribuito (v. sentenza n. 559 del 1990). Se, dunque, durante le indagini preliminari - il cui "collegamento funzionale e sistematico" con il vero e proprio processo "sta a base della regola di cui all'art. 178, lettera c)" (v., ancora, sentenza n. 559 del 1990) - il detto "rafforzamento" risulta ancor più accentuato, ciò non avviene, come vorrebbe il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Asti, soltanto in funzione della sua qualità (peraltro non immancabile) di titolare della pretesa di danno derivante da reato, esercitabile solo quando si sarà dato accesso, con l'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero, alla fase del processo, ma soprattutto in funzione della sua qualità di titolare dell'interesse protetto dalla norma penale violata: un interesse da cui deriva la possibilità di esercizio di plurimi diritti o facoltà, in "una sfera di azione" che se certamente "non può in alcun modo, restare subordinata alla rilevanza di pretese di natura extra penale, tende a realizzare, mediante forme di 'adesione' all'attività del pubblico ministero ovvero di 'controllo' su di essa, una sorta di contributo all'esercizio dell'azione penale, secondo un principio puntualmente ricavabile dall'art. 2, n. 2 e n. 51 della legge-delega" (così la Relazione al progetto preliminare, pag. 41).

4. - La regola per cui tra più interpretazioni possibili va preferita quella conforme a Costituzione (v., ancora, sentenza n. 559 del 1990), rende, quindi, necessario verificare se il presupposto alla base delle censure prospettate dai giudici a quibus corrisponda all'effettiva disciplina riservata alla persona offesa nel procedimento di archiviazione. Al riguardo, nessuno dei giudici rimettenti ha ritenuto di accennare - sia pure per affermarne l'inapplicabilità al caso di specie - come l'offeso dal reato possa usufruire di una disciplina che consente di esperire un mezzo di gravame avverso il provvedimento conclusivo di tale procedura. Si allude, cioè, all'art. 409, sesto comma, del codice di procedura penale, a norma del quale l'ordinanza di archiviazione è ricorribile per cassazione nei casi di nullità previsti dall'art. 127, quinto comma, dello stesso codice. Dall'esame congiunto dei precetti ora ricordati risulta che essi hanno, in tema di archiviazione, espresso riferimento, integrandosi reciprocamente, alla sola archiviazione pronunciata con ordinanza a seguito dell'udienza in camera di consiglio fissata dal giudice che non accolga la richiesta del pubblico ministero (o di sua iniziativa o a seguito di opposizione della persona offesa ritenuta non inammissibile e in presenza di una notizia di reato non infondata: v. art. 410, terzo comma), udienza da celebrarsi nelle forme previste dall'art. 127, il cui quinto comma, espressamente richiamato dall'art. 409, sesto comma, come la norma che descrive le ipotesi di nullità dei provvedimenti pronunciati a seguito di udienza in camera di consiglio assoggettati al regime della ricorribilità per cassazione, ricomprende in tali ipotesi l'omesso o il non tempestivo "avviso alle parti" e "alle altre persone interessate" della "data dell'udienza" (al primo comma dell'art. 127 fa, appunto, espresso rinvio il suo quinto comma). Sembra perciò evidente che il detto articolo, contenente la norma generale, descrittiva dello schema procedimentale dell'udienza in camera di consiglio, debba essere integrato dai precetti che disciplinano le modalità di attuazione dei singoli, specifici modelli procedimentali. Più in particolare, poiché, con riguardo al procedimento di archiviazione, i destinatari dell'avviso dell'udienza in camera di consiglio si identificano con le persone indicate nell'art. 409, quarto comma, tra le quali è compreso pure l'offeso dal reato, ne discende che tale soggetto, se non avvisato dell'udienza, potrà proporre ricorso per cassazione invocando la nullità del provvedimento per violazione dell'art. 127, quinto comma. Quanto al termine per impugnare, non essendo prescritta la notificazione dell'ordinanza di archiviazione, non potrà farsi ricorso al precetto dell'art. 585, primo comma, lettera a), che, per il gravame avverso i provvedimenti emessi in camera di consiglio, fissa come dies a quo l'avvenuta notificazione o comunicazione del provvedimento stesso.

5. - Stabilito che la legge riconosce espressamente alla persona offesa la legittimazione a ricorrere per cassazione contro l'ordinanza di archiviazione pronunciata dal giudice per le indagini preliminari in esito all'udienza in camera di consiglio celebrata senza che di tale udienza le sia stato dato avviso, resta da verificare se un simile rimedio possa ricavarsi dal sistema anche a favore della persona offesa che venga privata dell'avviso della richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, nonostante la sua espressa domanda di essere preavvertita.

La soluzione positiva sembra quella più adeguata alla ratio dell'art. 409, sesto comma, conformemente, del resto, all'esigenza, avvertita dal legislatore, di disciplinare l'archiviazione come istituto unitario, a prescindere dalla diversità sia delle cadenze procedimentali sia della tipologia del provvedimento conclusivo, un'esigenza già altra volta sottolineata da questa Corte proprio considerando la "finalità che accomuna tutte le varie ipotesi di archiviazione" (sentenza n. 409 del 1990), oltre tutto, risultando non intaccato, per l'assenza di ogni necessità di ricorrere all'analogia, il limite segnato dal principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, ribadito nel nuovo sistema dall'art. 568 del codice di procedura penale.

Una conferma quanto all'assenza di ostacoli insuperabili ad un'interpretazione dell'art. 409, sesto comma, nel senso di ricomprendervi anche l'ipotesi dell'omesso avviso di cui all'art. 408, secondo comma, può ricavarsi pure dalla genesi dell'una delle due norme che, non figurante nei corrispondenti articoli del progetto preliminare (art. 406) e del progetto definitivo (art. 406), venne introdotta, solo in corso di redazione del testo definitivo del codice, allo scopo di limitare l'impugnabilità del provvedimento conclusivo della procedura, una "limitazione che, da un lato, garantisce adeguatamente dai vizi che possono aver afflitto il rito camerale e, dall'altro, evita una proliferazione di ricorsi avverso un provvedimento a struttura e funzioni affatto peculiari, quale è l'ordinanza di archiviazione, di per sé caducabile in rapporto alla sempre possibile riapertura delle indagini" (v. Relazione al testo definitivo del codice, pag. 188). Una ratio da ritenere a fortiori adattabile all'ipotesi di un procedimento, come è quello di specie, da definire de plano solo perché la parte offesa, non informata della richiesta di archiviazione, è stata privata della facoltà di proporre opposizione. Tale vizio - con l'impedire all'offeso dal reato ogni possibilità di contestare la detta richiesta - viene, infatti, a colpire all'origine la stessa potenziale instaurazione del contraddittorio proprio dell'udienza in camera di consiglio ed è vizio da ritenere ancor più grave di quello derivante dall'omesso avviso alla persona offesa che abbia proposto opposizione, della data fissata per la stessa udienza, in ordine al quale, pure, l'art. 409, sesto comma, la legittima espressamente a ricorrere per cassazione.

6. - Che l'art. 409, sesto comma, del codice di procedura penale debba essere interpretato quale norma in grado di conferire alla persona offesa dal reato una posizione di tutela non rigorosamente circoscritta entro i limiti fissati dalla sua previsione espressa, appare confermato da una recente pronuncia della Corte di cassazione (Cass., Sez. VI, 24 gennaio 1991, n. 253) che, per quanto non costituisca ancora orientamento consolidato, diviene significativa di una tendenza giurisprudenziale attenta a rimarcare il ruolo decisivo che la persona offesa dal reato assume nel procedimento di archiviazione; anche in tale occasione, nel silenzio della legge sulla specifica fattispecie, si è ritenuto la persona offesa legittimata a ricorrere per cassazione contro il decreto di archiviazione - un provvedimento pronunciato, quindi, senza la previa fissazione dell'udienza in camera di consiglio - nonostante dal suo contesto risultasse che il giudice, valutando gli elementi di prova proposti dalla persona offesa, avesse considerato implicitamente ammissibile l'opposizione: un vizio da ritenere, certo, non maggiormente lesivo dei diritti dell'offeso rispetto a quello derivante dall'omesso avviso della richiesta di archiviazione nonostante la previa domanda di essere preavvertito di detta richiesta.

Così interpretate, le norme oggetto di censura si sottraggono a tutti i vizi di legittimità costituzionale denunciati dai giudici a quibus.

7. - Resta, peraltro, il problema dei termini dai quali far decorrere la proponibilità del ricorso, ma, come si è già visto, si tratta di problema comune al gravame avverso l'ordinanza di archiviazione espressamente contemplato dall'art. 409, sesto comma, del codice di procedura penale. Sarà compito della giurisprudenza ricavare dal sistema un criterio a cui riferire il momento di decorrenza del termine per ricorrere, non ultimo dei quali quello della effettiva conoscenza del provvedimento, una regola da ritenere di ordine generale nel sistema del nuovo codice tutte le volte in cui non si sia provveduto a notiziare il destinatario di un atto nei confronti del quale sia esperibile un qualche mezzo di gravame (v., per esemplificare, artt. 175, secondo comma, 485, primo comma, del codice di procedura penale).

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1. - Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 178, lettera c), del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Asti con ordinanza del 22 novembre 1990;

2. - Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 409 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 112 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona con ordinanza del 12 novembre 1990.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 1991.

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1991.