Sentenza n. 189 del 1991

 

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SENTENZA N. 189

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 7, primo comma, n. 2 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti) nel testo sostituito con l'art. 24 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 16 novembre 1990 dal Pretore di Genova nel procedimento civile vertente tra Stefania Parodi e l'I.N.P.S., iscritta al n. 758 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1991;

2) ordinanza emessa il 23 novembre 1990 dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente tra Margarete Palme e l'I.N.P.S., iscritta al n. 67 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visti gli atti di costituzione di Stefania Parodi, Margarete Palme e dell'I.N.P.S.;

Udito nell'udienza pubblica del 9 aprile 1991 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;

Udito l'avv.to Pasquale Vario per l'I.N.P.S.;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 16 novembre 1990 (R.O. n. 758 del 1990) il Pretore di Genova, nel procedimento civile vertente tra Stefania Parodi e I.N.P.S., ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 31 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, primo comma, n. 2, della legge 12 agosto 1962 n. 1338 (come riformulato dall'art. 24 della legge 30 aprile 1969 n. 153), nella parte in cui esclude dal diritto alla pensione prevista dall'art. 13 del r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636 (modificato dall'art. 2 della legge 4 aprile 1952 n. 218), il coniuge del pensionato che abbia contratto matrimonio in età superiore a 72 anni, quando il matrimonio sia durato meno di due anni.

L'ordinanza premette che Stefania Parodi vedova Valle aveva, a seguito del decesso in data 17 marzo 1984 del proprio coniuge, presentato all'I.N.P.S. domanda per ottenere la pensione di riversibilità, che peraltro era stata respinta dall'Istituto per essere il matrimonio con il Valle (nato il 26 luglio 1908 e coniugato con la Parodi il 31 gennaio 1983) durato meno di due anni, sicché non sussistevano i requisiti di legge.

Secondo il giudice a quo la norma appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, giacché introduce discriminazioni della cui ragionevolezza è a dubitarsi anche alla luce dell'evolvere del costume sociale, apparendo carente di giustificazione la presunzione, posta a fondamento della norma stessa, di non rispondenza del matrimonio contratto dal pensionato di oltre 72 anni, qualora durato meno di un biennio, ai contenuti ed agli scopi del vincolo coniugale.

Le limitazioni sarebbero, poi, in contrasto anche con i principi di tutela del matrimonio e dell'istituto familiare posti dagli artt. 29 e 31 della Costituzione, per la remora alla formazione di un nucleo familiare nei confronti di una categoria di soggetti individuati solo in base all'età; in contrasto, infine, con l'art. 38 della Costituzione, atteso che viene negata, in assenza di una apprezzabile esigenza di interesse generale, la garanzia costituzionale di assistenza e previdenza che, anche nella pensione di riversibilità, trova concreta attuazione.

A ulteriore sostegno delle motivazioni addotte rileva l'ordinanza che, con sentenza n. 123 del 16 marzo 1990, è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 81, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092, che subordinava, appunto, il diritto alla pensione di riversibilità per il coniuge superstite, in caso di matrimonio avvenuto dopo la cessazione dal servizio e dopo il compimento di 65 anni, alla condizione che il matrimonio fosse durato almeno due anni.

2. - Con ordinanza emessa il 23 novembre 1990 (R.O. n. 67 del 1991) il Pretore di Torino, nel procedimento civile vertente tra Margarete Palme ed I.N.P.S., ha dichiarato "infondata ma certo non in maniera manifesta" la medesima questione di legittimità costituzionale, senza peraltro indicare direttamente alcun parametro di raffronto.

Premesso che Margarete Palme, coniugata in data 14 novembre 1979, aveva chiesto la pensione di riversibilità a seguito della morte del marito Luigi Sessa, nato il 18 agosto 1897 e deceduto il 18 novembre 1979, l'ordinanza, pur precisando di non condividere la considerazioni formulate dalla Corte nella sentenza n.123 del 1990, afferma nondimeno di non poter utilmente aggiungere nulla a quanto forma oggetto della sentenza stessa.

3.1 - Con atto depositato il 15 febbraio 1991 - nel giudizio iscritto al R.O. n. 67 del 1991 - si è costituita la Signora Palme rappresentata e difesa dall'avv. Salvatore Cabibbo, insistendo perché venga dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 24 della legge n. 153 del 1969 per violazione del principio di cui all'art. 3 della Costituzione.

In entrambi i giudizi, con atto depositato, rispettivamente, il 5 febbraio e il 9 marzo 1991, si è costituito l'I.N.P.S. deducendo che la pensione di riversibilità al coniuge superstite non può assurgere a causa giustificativa di un sentito bisogno per la vita di coppia ovvero per l'attuazione di una unione per meglio affrontare insieme le esigenze quotidiane della esistenza.

D'altra parte, pur avendo previsto la sentenza della Corte n. 123 del 1990 un tendenziale avvicinamento fra il rapporto di lavoro pubblico e privato, non risulta essersi ancora verificato un processo di osmosi integrale fra i diversi tipi di rapporto.

Dal che discenderebbe che la disomogeneità fra lavoro pubblico e privato comporta la non comparabilità degli specifici differenti sistemi pensionistici, restando pertanto ininfluente, in punto, la sentenza n. 123, inapplicabile ai trattamenti pensionistici previsti dall'assicurazione generale obbligatoria.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le ordinanze concernono identica questione: i relativi giudizi vanno riuniti per formare oggetto di un'unica pronuncia.

2.1 - L'art. 7, primo comma, n. 2 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento del trattamento di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti) nel testo riformulato dall'art. 24 della legge 30 aprile 1969, n.153, recante revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale, subordina il diritto alla pensione di riversibilità per il coniuge, quando il lavoratore pensionato abbia contratto matrimonio dopo il compimento del settantaduesimo anno d'età, alla condizione che il matrimonio sia durato almeno due anni.

2.2 - Il Pretore di Genova (ord. n. 758/90) dubita della legittimità del disposto, assumendolo discriminatorio - ex art. 3 Cost. - e carente di ragionevole giustificazione la presunzione, posta a fondamento della norma, di mancata rispondenza del matrimonio, così contratto, ai contenuti e agli scopi del vincolo coniugale. Le anzidette limitazioni si porrebbero in contrasto altresì, secondo il remittente, tanto con i principi di tutela del matrimonio e dell'istituto familiare posti dagli artt. 29 e 31 della Costituzione, quanto - venendo meno la garanzia di assistenza e previdenza - con quelli insiti nel successivo art. 38.

3. - La questione è fondata.

La Corte ha avuto già modo di riconoscere ed affermare come nella sfera personale di chi si sia risolto a contrarre il matrimonio non possa, e non debba di conseguenza, sfavorevolmente incidere alcunché che vi sia assolutamente estraneo, al di fuori cioè di quelle sole regole, anche limitative, proprie dell'istituto: infatti, il relativo vincolo, cui tra l'altro si riconnettono valori costituzionalmente protetti, è e deve rimanere frutto di una libera scelta autoresponsabile, attenendo ai diritti intrinseci ed essenziali della persona umana e alle sue fondamentali istanze. In conclusione, esso si sottrae a ogni forma di condizionamento indiretto ancorché eventualmente imposto, in origine, dall'ordinamento.

Così, ricorda la Corte, sono stati già espunti, di recente, dall'ordinamento medesimo disposizioni di stato, nell'ambito della subordinazione militare, introducenti remore ostative alla libera contrazione del vincolo (sentenza n. 73 del 1987); così, ancora, normative consimili a quella ora in esame ed influenti sulla regolamentazione previdenziale nell'area dell'impiego pubblico (sentenza n. 123 del 1990). D'altronde, in punto di tale ultima vicenda, si è rilevato come con il crescere dell'età media sempre più va considerata, in tutte le sue implicazioni sociali, la propensione da parte di soggetti in età non giovanile per un rapporto di rimedio alla solitudine individuale.

Talché va osservato e riconfermato che per la loro immediata incidenza sull'istituto matrimoniale, principi e disposizioni del genere qui descritto si pongono del tutto irrazionali nel quadro specifico, proprio al vincolo di coniugio.

Il che comporta, assorbita ogni altra prospettazione, anche per la fattispecie odierna una declaratoria di illegittimità, ex art. 3 della Costituzione.

4. - Il Pretore di Torino (ord. n. 67 del 1991) solleva incidente con analoghi contenuti. Tuttavia, il remittente, a parte il non aver indicato i puntuali parametri costituzionali che si assumono violati, dichiara espressamente "infondata, ma certo non in maniera manifesta, la questione": la contraddittoria rimessione in tali ambigui termini comporta l'inammissibilità dell'incidente medesimo.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Riuniti i giudizi, dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, primo comma, n. 2 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti) nel testo sostituito con l'art. 24 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), sollevata dal Pretore di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe;

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, primo comma, n. 2 della legge 12 agosto 1962, n. 1338 (Disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti) nel testo sostituito con l'art. 24 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), sollevata dal Pretore di Genova con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1991.

 

Ettore GALLO; Giudici:Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 2 maggio 1991.