Sentenza n. 173 del 1991

 

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SENTENZA N. 173

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 11, commi primo e terzo, e 12, commi secondo, terzo, quinto e settimo, della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità), modificata con legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli), promosso con ordinanza emessa l'8 giugno 1990 dalla Corte d'appello di Torino nel procedimento civile vertente tra il Comune di Sale e Giuseppina Stella ed altre, iscritta al n. 737 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1990;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nella camera di consiglio del 27 febbraio 1991 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La Corte d'appello di Torino, con ordinanza 8 giugno 1990, ha sollevato, in riferimento all'art. 24 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 11, commi primo e terzo, e 12, commi secondo, terzo, quinto e settimo, della l. 22 ottobre 1971, n. 865, così come modificati dalla l. n. 10 del 1977, in quanto non consentono all'espropriante di agire in giudizio per contestare la determinazione dell'indennità provvisoria di espropriazione accettata dall'espropriando.

Nell'ordinanza si espone che il Comune di Sale, in data 19 maggio 1988, aveva promosso un giudizio deducendo che con decreto del 25 maggio 1977, il Presidente della Giunta regionale della Regione Piemonte aveva disposto l'espropriazione di un terreno, in favore di esso Comune, ai fini della realizzazione di uno spazio a verde pubblico e di un piazzale. Per tale espropriazione era stata determinata dapprima un'indennità provvisoria (non accettata) e poi quella definitiva (non comunicata). Successivamente, a seguito d'istanza degli espropriati, il Presidente della giunta regionale, con decreto 9 marzo 1988, aveva rideterminato l'indennità, sul presupposto che quella precedentemente fissata non era diventata definitiva e che, per l'intervenuta declaratoria d'illegittimità costituzionale dei criteri di liquidazione previsti dalla l. n. 865 del 1971, occorreva riliquidare l'indennità stessa in base all'art. 39 della legge n. 2359 del 1865.

Sulla base di tali circostanze il Comune di Sale chiedeva di dichiararsi l'intervenuta prescrizione del diritto all'indennità al momento della sua rideterminazione; in subordine, l'incompetenza del Presidente della giunta a determinare la misura dell'"indennità definitiva"; in ulteriore subordine - previo espletamento di consulenza tecnica - stabilirsi il giusto prezzo dell'area, da valere quale indennità definitiva di espropriazione, essendo eccessiva quella stabilita dal Presidente della giunta.

Le parti convenute si costituivano deducendo, in particolare, che il Presidente della giunta regionale aveva determinato non l'indennità definitiva di espropriazione, ma quella "provvisoria", di cui all'art. 11 della legge n. 865 del 1971 e che gli espropriati avevano comunicato tempestivamente per iscritto, alla regione e al comune, la loro accettazione, rendendo così inoppugnabile tale determinazione dell'indennità. Assumevano, pertanto, l'improponibilità, avverso detta indennità, della opposizione ex art. 19 della l. n. 865 del 1971 ed eccepivano il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine ai pretesi vizi del provvedimento impugnato. Contestavano, comunque, che il loro diritto all'indennità fosse prescritto e che l'indennità stabilita non fosse congruamente determinata.

La Regione Piemonte si costituiva, facendo proprie le eccezioni e conclusioni anzi dette.

Tutto ciò premesso nell'ordinanza di rimessione, il giudice a quo ha affermato che il decreto 9 marzo 1988 del Presidente della giunta regionale, dal punto di vista formale e sostanziale, è un provvedimento di determinazione dell'indennità "provvisoria", ai sensi degli artt. 11 e 12 della legge n. 865 del 1971. Ha rilevato altresì che risulta dagli atti l'accettazione di tale indennità da parte degli espropriati. Ne deriverebbe l'improponibilità dell'azione, "sotto il duplice profilo della inammissibilità dell'opposizione ex art. 19 della l. n. 865 del 1971 avverso il provvedimento di determinazione provvisoria dell'indennità di cui all'art. 11 stessa legge" (ciò secondo la giurisprudenza costante della Corte di cassazione) "e della inoppugnabilità conseguita dallo stesso provvedimento, per effetto dell'accettazione dell'indennità provvisoria da parte degli espropriati, ai sensi dell'art. 12 citato, comma secondo".

Sarebbe non manifestamente infondata, peraltro, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 11 e 12 suddetti, in quanto, non consentendo all'espropriante di agire in giudizio per contestare la determinazione dell'indennità provvisoria di espropriazione, né prima né dopo l'accettazione da parte dell'espropriato, violerebbero l'art. 24 della Costituzione.

Infatti l'art. 11 stabilisce, al primo comma, che il Presidente della giunta regionale - entro trenta giorni dal ricevimento degli atti iniziali del procedimento espropriativo - dichiara, ove occorra, la pubblica utilità dell'opera ed indica la misura dell'indennità di espropriazione, da corrispondere a titolo provvisorio agli aventi diritto. Al quarto comma prescrive che l'ammontare dell'indennità provvisoria è comunicato ai proprietari espropriandi a cura del Presidente della giunta regionale, nelle forme della notificazione degli atti processuali civili, senza che sia prevista né una richiesta ulteriore dell'espropriante, né alcuna possibilità di contestare il quantum dell'indennità.

L'art. 12, al secondo comma, prescrive che, entro trenta giorni dalla notificazione del suddetto avviso, i proprietari possono comunicare al Presidente della giunta regionale e all'espropriante se intendono accettare l'indennità provvisoria. In caso di silenzio l'indennità si intende rifiutata, mentre una volta che essi abbiano comunicato la loro accettazione, l'espropriante è obbligato (terzo e quinto comma) al pagamento entro sessanta giorni, senza poter contestare il quantum dell'indennità e restando gravato d'interessi in misura pari al tasso di sconto in caso di ritardo nel pagamento (settimo comma).

Tale normativa, pertanto, mentre tutela gli espropriandi, non tutela l'espropriante, al quale pure si estende la garanzia sancita dall'art. 24 della Costituzione.

2. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.

Nell'atto di costituzione si osserva in proposito che, sulla base degli accertamenti compiuti dal giudice a quo, deve ritenersi che la pronuncia del decreto d'esproprio 25 maggio 1977 fosse stata preceduta dalla determinazione d'una indennità provvisoria "non accettata". Da ciò conseguirebbe che l'indennità determinata col decreto del Presidente della giunta regionale 9 marzo 1988 - diversamente da quanto affermato nell'ordinanza di rimessione - non avrebbe carattere provvisorio ma definitivo, atteso che, nel sistema delineato dalla legge n. 865 del 1971, è "provvisoria" soltanto la determinazione (o indicazione) dell'indennità che precede la pronuncia del decreto d'esproprio, di questa costituendo necessario presupposto. La determinazione successiva alla pronunciata espropriazione non rileva più agli effetti della conclusione della procedura ablativa, bensì al solo fine della quantificazione (ormai autonoma) del giusto indennizzo per l'effetto traslativo del diritto di proprietà, già verificatosi. Ne deriverebbe l'impugnabilità di tale indennità - ex art. 19 della legge n. 865 del 1971 - anche da parte dell'espropriante, con conseguente irrilevanza della questione proposta.

Quanto al merito, l'Avvocatura generale dello Stato afferma che, in conseguenza della dichiarata incostituzionalità (parziale) dell'art. 19 della legge n. 865 del 1971 (sentenza n. 68 del 1990), non costituendo più la definitiva determinazione - in via amministrativa - dell'indennità presupposto d'ammissibilità del rimedio contemplato dall'art. 19 cit., nulla impedirebbe che una domanda giudiziale relativa alla indennità venga proposta anche con riferimento ad una determinazione soltanto "provvisoria" della stessa. Né che essa venga promossa anche dall'espropriante in relazione all'indennità "provvisoria" accettata dall'espropriato, poiché la conseguente definitività in relazione alla determinazione dell'indennizzo, esplica i suoi effetti in via amministrativa: situazione - questa - ben diversa dalla inoppugnabilità in sede giudiziale, dalla cui fallace prospettiva avrebbe "tratto alimento il sospetto d'incostituzionalità manifestato con l'ordinanza di rimessione". Pertanto, non ostandovi principi di ordine generale, la sostanziale equipollenza tra l'indennità provvisoria "accettata" e l'indennità definitivamente determinata dall'U.T.E. (in via amministrativa) legittimerebbe "l'interprete ad estendere alla prima il rimedio giurisdizionale espressamente previsto per la seconda, dall'art. 19", con la conseguente infondatezza della questione sollevata.

 

Considerato in diritto

 

1. - La Corte d'appello di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 11, commi primo e terzo, e 12, commi secondo, terzo, quinto e settimo, della l. 22 ottobre 1971, n. 865, così come modificati dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10, in quanto - non consentendo all'espropriante di agire in giudizio per contestare la determinazione dell'indennità provvisoria di espropriazione accettata dall'espropriando - contrasterebbero con l'art. 24 della Costituzione.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi in giudizio col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito l'inammissibilità della questione, sotto il profilo della sua irrilevanza nel giudizio a quo, deducendo che esso aveva ad oggetto la contestazione della misura di un'indennità di espropriazione che doveva ritenersi definitiva e, come tale, impugnabile ex art. 19 della l. n. 865 del 1971. In via subordinata l'Avvocatura generale dello Stato ha dedotto l'infondatezza della questione.

2. - L'eccezione d'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza deve essere respinta.

Va osservato in proposito che, secondo quanto risulta dall'ordinanza di rimessione, il Presidente della Giunta regionale del Piemonte, con decreto 25 maggio 1977, aveva disposto l'espropriazione di un terreno in favore del Comune di Sale. In relazione a detta espropriazione era stata determinata dapprima l'indennità provvisoria e poi - non essendo stata questa accettata - quella definitiva, che non era stata comunicata ai proprietari dei suoli espropriati.

Intervenuta la declaratoria d'illegittimità costituzionale dei criteri fissati dalla l. n. 865 del 1971 per la liquidazione delle indennità di espropriazione relative ad aree edificabili (sentenza n. 5 del 1980), il Presidente della giunta regionale aveva riliquidato l'indennità con decreto 9 marzo 1988, facendo applicazione dei criteri stabiliti dall'art. 39 della l. n. 2359 del 1865.

Il Comune di Sale aveva impugnato sotto vari profili la nuova determinazione dell'indennità, deducendo - tra l'altro - che era eccessiva e chiedendone una più equa liquidazione da parte della Corte d'appello. I proprietari dei suoli avevano eccepito l'improponibilità della domanda, sostenendo che il Presidente della regione aveva riliquidato l'indennità provvisoria ai sensi dell'art. 11 della l. n. 865 del 1971 e quindi, avendo essi accettato detta indennità ai sensi dell'art. 12, l'espropriante non aveva azione per contestarne la misura.

Il giudice a quo, con una valutazione che è di sua esclusiva competenza - e non può essere, pertanto, oggetto di riesame da parte di questa Corte, implicando valutazioni di fatto e di diritto del tutto estranee al giudizio di legittimità costituzionale - ha ritenuto che il Presidente della giunta regionale, con il suo decreto 9 marzo 1988, ha rideterminato l'indennità provvisoria prevista dall'art. 11 della l. n. 865 del 1971. Di conseguenza sarebbe fondata l'eccezione d'improponibilità formulata dai proprietari dei beni espropriati, in quanto gli artt. 11 e 12 della l. n. 865 del 1971 non attribuiscono all'espropriante alcun rimedio giurisdizionale avverso la determinazione dell'indennità di espropriazione, effettuata ex art. 11 e divenuta definitiva ex art. 12 per accettazione da parte degli espropriati.

Osserva inoltre la Corte che la proponibilità della domanda proposta dinanzi al giudice a quo, non può fondarsi sull'art. 19 della l. n. 865 del 1971, che disciplina l'opposizione alla stima effettuata in via definitiva ex art. 16 della stessa legge. Secondo giurisprudenza consolidata, infatti, tale norma, devolvendo alla cognizione in unico grado della Corte d'appello l'opposizione alla stima è di carattere eccezionale e non è applicabile, quindi, per analogia.

Deve dichiararsi infondata, pertanto, l'eccezione d'inammissibilità della questione prospettata dall'Avvocatura generale dello Stato.

3. - Nel merito la questione è fondata nei limiti che saranno indicati.

Secondo la procedura espropriativa regolata dalla l. n. 865 del 1971 il Presidente della giunta regionale (art. 11) nel decreto, col quale dichiara la pubblica utilità delle opere, "indica la misura dell'indennità di espropriazione, da corrispondere a titolo provvisorio agli aventi diritto". Tale decreto è pubblicato per estratto nel bollettino ufficiale della regione e nel foglio degli annunci legali della provincia e l'ammontare dell'indennità è comunicato ai proprietari espropriandi, nelle forme previste per la notificazione degli atti processuali civili.

Della liquidazione dell'indennità non va data comunicazione all'espropriante; né è a questo attribuito alcun mezzo di contestazione della misura di essa.

I proprietari espropriati (art. 12), entro trenta giorni, possono comunicare al Presidente della giunta e all'espropriante l'accettazione dell'indennità: in tale caso ne viene ordinato il pagamento da parte dell'espropriante agli espropriati entro sessanta giorni.

Qualora l'indennità non sia accettata, si apre (art. 15, primo comma) la procedura amministrativa per la riliquidazione dell'indennità a titolo definitivo.

Avvenuta la determinazione definitiva, l'espropriante "comunica le indennità ai proprietari degl'immobili ai quali le stime si riferiscono, mediante avvisi notificati nelle forme degli atti processuali civili" (art. 15, secondo comma) e deposita la relazione di stima nella segreteria comunale, dandole pubblicità con avviso da affiggere nell'albo del comune e da inserire nel foglio degli annunci legali della provincia. Entro trenta giorni da tale inserzione (art. 19) i proprietari, gli altri interessati al pagamento dell'indennità e l'espropriante possono proporre opposizione alla stima davanti alla Corte d'appello competente per territorio.

4. - Da tale quadro normativo emerge che l'espropriante, mentre ai sensi dell'art. 19 può proporre opposizione alla stima avverso la determinazione dell'indennità effettuata ai sensi dell'art. 16, non può proporla avverso quella effettuata ai sensi dell'art. 11, divenuta definitiva in base all'art. 12 per l'accettazione dei proprietari dei beni espropriati.

Detta disciplina, pertanto, come ha dedotto il giudice a quo, si pone in contrasto con l'art. 24 Cost., che garantisce a tutti il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti.

Va osservato al riguardo che l'art. 42, terzo comma, Cost., prescrive che la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.

Tale disposizione conferisce una posizione costituzionalmente protetta al soggetto espropriato, con la conseguente pretesa diretta ad ottenere la corresponsione dell' indennità, intesa come congruo ristoro per la perdita del bene (e non necessariamente come corrispettivo commisurato al suo valore reale: cfr. da ultimo la sentenza n. 216 del 1990). Peraltro, il contenuto della disposizione non si esaurisce in ciò.

Essa, stabilendo il principio dell'indennizzo, da quantificarsi entro il limite massimo del valore reale del bene (sentenza n. 1022 del 1988), garantisce anche all'espropriante la pretesa di non essere tenuto a pagare, in conseguenza dell'espropriazione, nulla di più del congruo ristoro.

Questo si configura, infatti, come misura economica unitaria, diretta a regolare i rapporti tra i diversi soggetti interessati; la sua sfera di applicabilità non si limita, dunque, alla posizione originaria dell'espropriato, ma, operando gli stessi presupposti e finalità, comprende anche l'espropriante, per ragioni di omogeneità di trattamento e, quindi, di eguaglianza nell'ambito dello stesso procedimento espropriativo.

Invero, l'espropriante, essendo il beneficiario del trasferimento del bene (e dell'opera alla quale il bene serve), si pone come il soggetto sostanzialmente interessato all'acquisizione della cosa trasferita e come obbligato alla corresponsione dell'indennizzo liquidato ed accettato.

5. - Le anzidette garanzie dell'espropriato e dell'espropriante, debbono trovare (alla stregua dell'art. 24 della Costituzione) tutela giurisdizionale, che le leggi regolatrici dei procedimenti espropriativi non possono pretermettere.

Incorre pertanto nella violazione dell'art. 24 Cost. l'art. 12, quinto comma, della l. 22 ottobre 1971, n. 865. Tale norma, per l'ipotesi dell'accettazione, da parte dell'espropriato, dell'indennità provvisoria liquidata ai sensi dell'art. 11, stabilisce che l'espropriante deve procedere al pagamento di essa entro sessanta giorni dal provvedimento col quale il Presidente della giunta regionale dispone detto pagamento, senza prevedere che l'espropriante - ove ritenga l'indennità eccedente i limiti innanzi indicati - possa agire in giudizio per contestarne la misura.

La norma anzidetta (nel testo modificato dall'art. 14 della l. n. 10 del 1977), va quindi dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui non prevede che l'espropriante, in alternativa al pagamento dell'indennità accettata, possa esperire, entro sessanta giorni, opposizione ai sensi dell'art. 19.

Pronunciata l'illegittimità anzidetta, nessuna violazione dell'art. 24 Cost. residua negli art. 11, commi primo e terzo, e 12, commi secondo, terzo e settimo della l. n. 865 del 1971 - riguardanti la determinazione dell'indennità provvisoria, la pubblicità che ne deve essere data, le modalità della sua accettazione da parte dei proprietari espropriati e del suo pagamento da parte dell'espropriante - cosicché la questione va dichiarata infondata in parte qua.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara l'illegittimità costituzionale del quinto comma dell'art. 12 della l. 22 ottobre 1971, n. 865 (Programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per pubblica utilità), così come modificato dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme per la edificabilità dei suoli), nella parte in cui non prevede che l'espropriante, in alternativa al pagamento dell'indennità accettata dall'espropriato, possa esperire entro sessanta giorni opposizione ai sensi dell'art. 19;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 11, commi primo e terzo e 12, commi secondo, terzo e settimo, della predetta l. 22 ottobre 1971, n. 865, così come modificato dalla l. 28 gennaio 1977, n. 10, sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Torino, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 aprile 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 22 aprile 1991.