ORDINANZA N.33
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giovanni CONSO Presidente
Prof. Ettore GALLO Giudice
Dott. Aldo CORASANITI “
Prof. Giuseppe BORZELLINO “
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Dott. Renato GRANATA “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 36 della legge 10 aprile 1951, n.287 (Riordinamento dei giudizi di assise), come sostituito dall'art. 1 della legge 25 ottobre 1982, n.795, e dall'art. 12 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273, promosso con ordinanza emessa il 23 maggio 1990 dal Presidente della Corte d'assise di appello di Caltanissetta sulle istanze proposte da Olla' Luigi ed altri, iscritta al n. 472 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell' anno 1990;
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 28 novembre 1990 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;
Ritenuto che il Presidente della Corte d'assise di appello di Caltanissetta, in sede di liquidazione della indennità di missione richiesta in misura diaria anziché oraria da taluni giudici popolari, convocati ai sensi dell'art. 25, commi 3 e 4, della legge 10 aprile 1951, n. 287, per la costituzione del collegio della sessione, e residenti fuori della sede dell'ufficio giudiziario di destinazione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 36 della citata legge 10 aprile 1951, n. 287, come sostituito dall'art. 1 della legge 25 ottobre 1982, n. 795, e dall'art. 12 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273, in riferimento agli artt. 3, 36, 53 e 97 della Costituzione;
che l'autorità rimettente, nel presupposto di una applicazione a suo dire "lassista" della norma - "non suffragata da alcuna giurisprudenza" - nel senso di riconoscere comunemente a detti giudici popolari la indennità di missione giornaliera, in luogo di quella oraria che sarebbe loro dovuta, dubita della conformità della disposizione denunziata, così applicata, con il principio di eguaglianza (in tal modo creandosi una disparità di trattamento fra giudici popolari e giudici togati, cui spetta invece l'indennità nella misura meno favorevole ragguagliata alle ore in cui la missione si è effettivamente svolta), con il principio della giusta retribuzione (perché le maggiori somme corrisposte a tale titolo ai giudici popolari verrebbero a costituire una elargizione senza causa, non proporzionata alla qualità del lavoro svolto), con il principio del buon funzionamento della pubblica amministrazione (cui è comunque collegata una corretta gestione della spesa pubblica) e con il principio della capacità contributiva (perché tali emolumenti aggiuntivi, "camuffati" come rimborso delle spese di soggiorno, sarebbero esenti da imposte, così favorendosi anche l'evasione tributaria);
che non si sono costituite le parti private, mentre è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, eccependo il difetto, nel giudice rimettente, della legittimazione a sollevare incidenti di costituzionalità in sede di liquidazione delle indennità di missione, ovverosia in un procedimento di natura amministrativa, come è fatto palese dalle disposizioni in materia, che attribuiscono il potere autorizzatorio, certificativo e liquidativo delle indennità medesime al capo dell'ufficio, il quale, nella specie, è appunto il Presidente della Corte d'assise di appello;
che, sotto altro profilo, l'Avvocatura generale dello Stato eccepisce la inammissibilità della questione, in quanto basata esclusivamente su una interpretazione e su una applicazione in via amministrativa della norma denunciata, non suffragata da alcuna giurisprudenza.
Considerato che la prima eccezione di inammissibilità della questione, formulata dall'Avvocatura generale dello Stato in rappresentanza dell'interveniente, è fondata;
che, difatti, il procedimento di liquidazione della indennità di missione ai giudici popolari non ha natura di "giudizio" (art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948), non avendo il giudice rimettente esercitato in concreto funzioni giurisdizionali risolutive di una lite o di volontaria giurisdizione, bensì, nella veste di direttore dell'ufficio giudiziario, funzioni amministrative (sentenze nn. 132 del 1973, 72 del 1975, 96 del 1976, 103 e 166 del 1984, 115 del 1986, e ordinanze nn. 93 e 307 del 1984), sì che, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non è legittimato a sollevare incidente di costituzionalità;
che, pertanto, mancando uno dei presupposti necessari per la legittima instaurazione di un processo costituzionale, la questione è manifestamente inammissibile;
Visti gli artt. 26, secondo comma della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma delle norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 36 della legge 10 aprile 1951, n. 287 (Riordinamento dei giudizi di assise), come sostituito dagli artt. 1 della legge 25 ottobre 1982, n.795, e 12 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36, 53 e 97 della Costituzione, dal Presidente della Corte di assise di appello di Caltanissetta con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 gennaio 1991.
Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.
Depositata in cancelleria il 28 gennaio 1991.