SENTENZA N. 132
ANNO 1973
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2, ultimo comma, della legge 5 luglio 1961, n. 641 (disposizioni sulle pubbliche affissioni e sulla pubblicità affine), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 31 marzo 1972 dal pretore di Recanati nel procedimento civile vertente tra la ditta "Affissioni Duomo" e la ditta "Circo Liana, Nando e Rinaldo Orfei", iscritta al n. 222 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 187 del 19 luglio 1972;
2) ordinanza emessa il 4 marzo 1972 dal pretore di Recanati nel procedimento civile vertente tra l'Agenzia generale italiana affissioni e pubblicità e la società Kleber Colombes, iscritta al n. 248 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 226 del 30 agosto 1972.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di Costituzione dell'Agenzia generale italiana affissioni e pubblicità;
udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1973 il Giudice relatore Paolo Rossi;
uditi l'avv. Aldo Sandulli, per l'Agenzia affissioni e pubblicità, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Del Greco, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
Il pretore di Recanati, cui erano stati sottoposti, per l'apposizione del c.d. visto di esecutività, gli atti di ingiunzione fiscale emessi dalla ditta Affissioni Duomo, e dalla società A.G.I.A.P. appaltatrici del pubblico servizio di accertamento riscossione delle imposte sulle pubbliche affissioni e sulla pubblicità affine, ha sollevato, con due ordinanze di eguale tenore, in riferimento agli artt. 97, primo comma, 51, primo comma, 54, secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione, questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 2, ultimo comma, della legge 5 luglio 1961, n. 641, che consente, mediante il rinvio disposto alla sezione VIII del t.u. 14 settembre 1931, n. 1175, sulla finanza locale, di affidare in appalto l'accertamento e la riscossione dell'imposta sulla pubblicità.
Premette il giudice a quo che l'eventuale dubbio in ordine alla ammissibilità della questione sarebbe agevolmente superabile alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui il termine "giudizio", ai fini che interessano, va inteso nel senso più lato di ogni procedimento pendente innanzi ad un giudice. Né potrebbe negarsi natura di procedimento monitorio sui generis a quello per l'apposizione del visto di esecutorietà, atteso che il pretore, prima di conferire efficacia di titolo esecutivo alla ingiunzione tributaria, deve quanto meno accertare, in via delibatoria, e sia pure sotto il profilo della mera regolarità formale, se il soggetto richiedente sia legittimamente investito della titolarità della pretesa, da farsi valere nelle forme privilegiate previste dal t.u. n. 639 del 1910.
Nel merito l'ordinanza di rimessione rileva che il rinvio disposto dall'art. 2, ultimo comma, della legge n. 641 del 1961 opera soltanto con riferimento alle norme del testo unico sulla finanza locale, e cioè agli artt. da 76 a 89, costituenti la sezione VIII del predetto t.u., e non anche alle disposizioni del relativo regolamento di esecuzione, approvato con r.d. 30 aprile 1936, n. 1138, come risulta dalla lettera della norma di rinvio e dalla prassi interpretativa applicata dagli appaltatori. Pertanto non é stato costituito l'albo dei privati appaltatori delle imposte sulle pubbliche affissioni e pubblicità affine, né questi ultimi sono obbligati ad avvalersi dell'agente abilitato e munito di apposita patente che, nella sua veste di pubblico ufficiale, garantisce l'imparzialità degli accertamenti nei confronti dei contribuenti (artt. 307 e segg. r.d. 30 aprile 1936, n. 1138).
Così interpretate, le disposizioni impugnate appaiono illegittime al giudice a quo per i seguenti motivi: a) l'accertamento dei presupposti, l'imposizione del tributo e la relativa esazione, anche coattiva, costituenti certamente una pubblica funzione amministrativa, sarebbero organizzati, nella specie, in maniera da non assicurare né il buon andamento né l'imparzialità dell'attività rimessa all'appaltatore, mancando ogni garanzia del privato avverso l'atto di accertamento, che non promana da un pubblico ufficiale, ma da dipendente dell'impresa interessata al servizio per motivi di lucro, con violazione quindi dell'art. 97, primo comma, della Costituzione; b) l'attribuzione dell'accertamento tributario ai dipendenti dell'appaltatore, anziché a pubblici ufficiali abilitati e vincolati dal giuramento, contrasterebbe con gli artt. 51, primo comma, e 54, secondo comma, della Costituzione, secondo cui, rispettivamente, tutti hanno la possibilità di accedere agli uffici pubblici "in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge", e i cittadini, "cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge"; c) la mancanza di garanzie di imparzialità nell'imposizione tributaria determinerebbe un'ingiustificata differenziazione tra la categoria di coloro che sono assoggettati all'imposta sulla pubblicità ed ogni altra categoria di contribuenti.
É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atti depositati l'8 agosto ed il 19 aprile 1972, chiedendo dichiararsi l'inammissibilità o quanto meno l'infondatezza della questione proposta.
La difesa dello Stato premette che la Corte costituzionale, nell'interpretare l'espressione "giudizio" ai fini dell'ammissibilità delle questioni (legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1), ha richiesto che l'autorità giurisdizionale fosse stata chiamata "ad attuare la legge e cioè ad esercitare la giurisdizione" (sentenza n. 129 del 1957). Secondo la comune interpretazione, dottrinaria e giurisprudenziale (Cass. 19 aprile 1955, n. 1079 e da ultimo 19 marzo 1968, n. 878), la vidimazione che il pretore deve apporre sull'ingiunzione, ai sensi dell'articolo 2 del t.u. 14 aprile 1910, n. 639, non é atto di giurisdizione né volontaria né contenziosa, ma é atto di carattere amministrativo, come analogamente é un atto amministrativo l'ingiunzione fiscale. Poiché quindi la questione risulta sollevata da un giudice nell'esercizio di una funzione amministrativa, essa va dichiarata inammissibile per difetto di legittimazione.
Per mero tuziorismo l'Avvocatura dello Stato esamina comunque il merito delle eccezioni sollevate, osservando in primo luogo che il rinvio operato dall'art. 2 della legge 641 del 1961 alle norme compatibili disciplinanti l'accertamento e la riscossione delle imposte di consumo, consente tanto la gestione diretta delle imposte sulle affissioni e sulla pubblicità affine, quanto il sistema della gestione appaltata.
In sede di interpretazione delle norme richiamate deve quindi stabilirsi se é obbligatoria o meno l'opera dell'agente accertatore, prevista dal regolamento 30 aprile 1936, n. 1138, in tema di imposte di consumo. Il ricorso a tale figura di collaborazione non costituisce, ad avviso dell'Avvocatura, l'elemento determinante per riconoscere se il sistema é conforme agli invocati principi costituzionali sul "buon andamento ed imparzialità" (art. 97 Cost.), posto che tale agente può essere nominato e revocato dal servizio proprio ad opera dell'appaltatore, anche se la nomina richiede l'approvazione prefettizia (artt. 312, 317, citato regolamento). Il legislatore ha invece circondato di particolari garanzie l'attività dell'appaltatore fissando rigorosi requisiti perché il privato possa assumere tale incarico (artt. 77 e segg. t.u. finanza locale), sicché l'obbligatorietà del ricorso all'opera dell'agente non sembra dunque involgere questioni di carattere costituzionale, ma sostanzialmente problemi d'interpretazione, che vanno tuttavia risolti tenendo conto che, a differenza di quanto accade in tema di imposta di consumo, l'accertamento dell'imposta di pubblicità richiede operazioni estremamente semplici ed a volte elementari, così come accade per il diritto di peso pubblico (art. 213 t.u. finanza locale), e per l'imposta di soggiorno (r.d.l. 24 novembre 1938, n. 1926, e succ. modif.).
La difesa dello Stato obietta quindi, in ordine alle altre censure prospettate, che la legge impugnata determina i requisiti necessari dell'appaltatore per la funzione dell'accertamento e riscossione dell'imposta sulla pubblicità così come prescritto dall'art. 51 della Costituzione; per i singoli collaboratori degli appaltatori non sono richiesti particolari requisiti in relazione alla responsabilità civile gravante sull'appaltatore per il loro operato. Neppure può aversi violazione dell'art. 54 della Carta, posto che tale norma demanda espressamente al legislatore ordinario di fissare i casi in cui debba essere stabilita la prestazione del giuramento. Né, infine, vi sarebbe violazione del principio d'uguaglianza tra i cittadini soggetti all'imposta di pubblicità e le altre categorie di contribuenti, attesa l'evidente differenza esistente, sul piano oggettivo, tra l'accertamento di questa e delle altre imposte.
Si é costituita in questa sede l'Agenzia italiana affissioni e pubblicità (A.G.I.A.P.), rappresentata e difesa dal prof. avv. Aldo Sandulli, con atto depositato il 4 luglio 1972, istando per una pronuncia di reiezione.
La difesa della A.G.I.A.P. eccepito il difetto di legittimazione del giudice a quo, rileva che in materia di imposta sulla pubblicità il mancato ricorso a complesse procedure per l'accertamento del tributo, é giustificato dall'estrema semplicità dell'accertamento stesso, sicché il sistema previsto, adottato anche in numerosi altri casi analoghi, non può dirsi contrastante con i principi di imparzialità e buon andamento della pubblica Amministrazione, sanciti dall'art. 97, primo comma, della Costituzione. Comunque tale norma si riferisce espressamente "ai pubblici uffici", sicché é del tutto inconferente il richiamo all'organizzazione interna dell'impresa privata incaricata di pubblici servizi o funzioni.
Altrettanto infondato é il riferimento agli artt. 51 e 54 della Carta: invero la prima norma riguarda soltanto gli "uffici pubblici e le cariche elettive" e non gli incaricati di pubbliche funzioni; la seconda riserva espressamente al legislatore di stabilire i casi in cui va prestato giuramento. Né può opinarsi che il t.u. sulla finanza locale, e le disposizioni che assicurano la tutela amministrativa e giurisdizionale dei privati, lascino in balia dell'appaltatore le persone assoggettate alle imposte sulla pubblicità.
Risulta quindi parimenti errata la censura relativa alla violazione del principio di eguaglianza, posto che la diversità oggettiva esistente in ordine ai presupposti d'imposta dei vari tributi può legittimamente autorizzare il legislatore a stabilire diverse procedure, variamente articolate, a seconda della complessità delle necessarie operazioni di accertamento.
Nella memoria illustrativa la difesa della società appaltatrice ha particolarmente insistito sul difetto di legittimazione del giudice a quo, che avrebbe sollevato la questione non in pendenza di un giudizio, così come richiesto dall'art. 1 della legge cost. 9 febbraio 1948, n. l, bensì nell'esplicazione di una attività amministrativa.
Alla pubblica udienza le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni.
Considerato in diritto
L'Avvocatura generale dello Stato e la difesa della società A.G.I.A.P. hanno eccepito, in via pregiudiziale, la inammissibilità delle questioni proposte dal pretore di Recanati, per difetto di legittimazione del giudice a promuoverle, rilevando che in sede di vidimazione di ingiunzioni fiscali il pretore svolge attività di natura meramente amministrativa.
L'eccezione é fondata.
É ben vero che secondo l'interpretazione di questa Corte l'espressione "giudizio", di cui agli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve essere intesa in senso lato, tuttavia é pur sempre necessario, secondo quanto numerose altre volte già statuito (sentenze nn. 74 del 1971, 81 del 1970, 216 del 1972 e 85 del 1969), che l'intervento del giudice non si esplichi nell'ambito di un procedimento amministrativo, suscettibile di un successivo controllo giurisdizionale, poiché nella prima fase, quella amministrativa, mancano i presupposti richiesti dal sistema perché egli possa sollevare questioni incidentali di legittimità costituzionale.
Nella specie é pacifico, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, che la funzione svolta dal pretore nell'apporre il visto di esecutorietà alla ingiunzione fiscale non é giurisdizionale ma amministrativa, l'ingiunzione fiscale costituendo un provvedimento amministrativo sui generis, caratteristico del procedimento di riscossione delle imposte ed, in genere, delle entrate patrimoniali dello Stato (art. 1 e segg. r.d. 14 aprile 1910, n. 639).
É soltanto con l'opposizione del debitore che si apre la fase giurisdizionale, ed é pertanto in quella sede che avrebbe potuto essere sollevata dal giudice la questione di legittimità prospettata ora a questa Corte.
S'impone pertanto una pronuncia di inammissibilità.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, ultimo comma, della legge 5 luglio 1961, n. 641 (disposizioni sulle pubbliche affissioni e sulla pubblicità affine), sollevate, in riferimento agli artt. 97, primo comma, 51, primo comma, 54, secondo comma, e 3 della Costituzione, con le ordinanze in epigrafe indicate.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1973.
Francesco PAOLO BONIFACIO – Giuseppe VERZÌ – Luigi OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 16 luglio 1973.